LA CRISI DELLA CATALOGNA PUNTO DOLENTE DELL’EUROPA

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 1 Maggio 2018

Neppure un morto nel contrasto sviluppatosi di recente fra Madrid e Barcellona, nonostante la durezza della contestazione. Elemento positivo perché nella storia tutt’altro che pacifica della Spagna degli ultimi due secoli si registrano innumerevoli vittime: dalla resistenza all’occupante francese con spietata repressione all’inizio dell’ottocento, al sanguinoso conflitto successivo fra carlisti e anticarlisti durante lo stesso secolo, dall’offensiva anarchica alla guerra civile degli anni trenta del novecento e alla ferocia del franchismo con 250mila assassinati, ai morti nel non lontano contenzioso per l’indipendenza del Paese basco. Soltanto la lotta che i catalani hanno condotto negli ultimi decenni per i loro obiettivi, ripetiamo, non ha sparso sangue e l’unica violenza è stata quella della polizia.

Probabilmente ciò aiuta a capire (sperando che la rabbia non degeneri in futuro in esplosioni di altra natura) come mai un tribunale di Neumuen-ster in Germania abbia dichiarato “inammissibile” la richiesta di Madrid di estradare il leader autonomista Carles Puigdemont, rifugiatosi in Germania. Egli non potrà essere giudicato, anche nel caso venisse consegnato alla Spagna su altre accuse, per il reato di “ribellione”, che comporta  sino a trent’anni di reclusione: non ci sono stati assalti o distruzioni, non si è sparato contro agenti o Guardia Civil, si sono tenute solamente dimostrazioni pacifiche. In ogni caso, il tribunale si è dato due mesi di tempo per emettere la successiva sentenza. Chi sa che questa pausa non permetta alle parti di trovare una soluzione.

La Catalogna, una regione con storia, lingua e tradizioni differenti dal resto del paese, recuperò margini di autonomia dopo la caduta del dittatore Francisco Franco, nel 1978, anche se non nella misura desiderata dai catalani, almeno non quella concessa ai baschi. A partire dall’inizio del millennio gli indipendentisti avevano acquistato consensi e chiesto ulteriori concessioni, che non ottennero dal governo centrale. Iniziative di consultazioni popolari non furono ratificate da Madrid e si arrivò nel 2017 al referendum che non dette la sperata maggioranza assoluta; nonostante ciò si procedette (forse imprudentemente) come se fosse stata raggiunta l’indipendenza.

La Spagna, invece di ricercare il dialogo, ha scelto la maniera forte e  misure amministrative e giudiziarie; sintomo oltre tutto di una certa debolezza dell’esecutivo che, alla fine, si è risolta con lo schiaffo della sentenza del giudice tedesco. Sarà oltretutto difficile, al momento opportuno, giudicare Puigdemont in maniera diversa dagli altri dirigenti autonomisti,  attualmente in prigione e accusati degli stessi reati. Senza contare le conseguenze economiche dell’intera vicenda: la Catalogna copriva il venti per cento del Pil spagnolo ma la crisi ha condotto a una caduta della produzione, a una fuga di industrie e a una diminuzione del turismo. Non c’era bisogno che il problema catalano si aggiungesse alle persistenti tensioni fra valloni e fiamminghi e all’eredità irlandese e scozzese che all’Europa lascerà la Brexit. La sentenza tedesca restituisce forse un po’ di buon senso a una Unione che ogni tanto sembra sbandare.

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