IN “RETE” PRIMA DI NASCERE…

L’abitudine di condividere e pubblicare sui social immagini e foto dei figli
By antonio sanfrancesco
Pubblicato il 31 Maggio 2023

Questo fenomeno si chiama sharenting, è l’unione di due parole: “share”, che significa condividere, e “parenting”, genitorialità. Una sovraesposizione che fa male ai piccoli ed è foriero di molti pericoli

Internet è un mare ricco di opportunità e vantaggi ma anche di pericoli e rischi. Soprattutto per i bambini. Oggi sono in rete già prima di nascere. Il 14 per cento delle madri, ad esempio, condivide sui social l’ecografia del pancione. A un anno, fra progressi, coccole e dentini, le foto sono già trecento. “Entro il secondo compleanno, il 70% dei genitori ha raccontato al web i progressi del figlio”, sottolinea Pietro Ferrara, pediatra al Campus Biomedico a Roma e responsabile del gruppo sui diritti del bambino della Sip, Società italiana di pediatria. Il fenomeno sembra più diffuso per i piccoli (da 0 a 3 anni), le cui immagini sono condivise, in totale buona fede, dall’86% dei genitori, e tende a calare con l’età, con il 68% dei genitori che ammette di condividere immagini dei loro bimbi dopo il quarto anno di età. In media, secondo uno studio pubblicato sulla Rivista Italiana di Educazione Familiare un bambino di 5 anni sarà apparso in un migliaio di scatti postati pubblicamente dai propri genitori, quasi 20 all’anno.

Questo fenomeno si chiama sharenting, è l’unione di due parole: “share”, che significa condividere, e “parenting”, genitorialità, e indica l’abitudine, diffusissima, di condividere e pubblicare sui social immagini e foto dei figli. La parola è entrata l’anno scorso nell’Oxford English Dictionary, l’enciclopedia della lingua inglese.

Una sovraesposizione che fa male ai piccoli ed è foriero di molti pericoli. I primi a dare il (cattivo) esempio sono i personaggi famosi, dall’attore Luca Argentero alla coppia di influencer Chiara Ferragni e Fedez. Ma la tentazione di documentare passo dopo passo i progressi dei neonati, i momenti privati familiari, le coccole, il primo compleanno è all’ordine del giorno per tutti. Quando alla Ferragni è stato chiesto se i figli non potrebbero chiederle conto, in futuro, dell’esposizione sui social media, ha risposto così: “Ognuno ritiene di fare il meglio per i propri figli. Se riterranno, lo faranno loro quando cresceranno. Tutti credono che io passi 24 ore al giorno sui social. Chiaramente non è così. Ci sono una marea di cose che non vengono postate. Ma sicuramente cerco di mettere sui social delle cose spontanee, questo sì”.

La prima a muoversi per arginare questo fenomeno è stata la Francia che a marzo ha approvato una legge che vieta di postare in rete le foto dei figli minorenni. A proporla, tra gli altri, Bruno Studer, ex insegnante e deputato del governo di Emmanuel Macron, e segue un’altra legge francese proposta da Studer e già approvata nel 2020 con il nome di legge sui “child influencer”, nata per regolamentare gli orari e le entrate dei minori le cui immagini vengono diffuse sulle piattaforme video, a cui l’Assemblea nazionale francese si è rivolta qualche settimana fa votando in prima lettura l’obbligo per TikTok, Snapchat e Instagram di verificare l’età dei propri utenti e di richiedere il consenso dei genitori per la registrazione dei minori di 15 anni.

Nella sua proposta di legge, Studer cita un dato del rapporto 2018 del Children’s Commissioner for England: “Si stima che un bambino appaia in media in 1300 fotografie pubblicate online prima dei 13 anni, sui propri account, su quelli dei genitori o dei familiari”. Sono le fotografie delle vacanze, le immagini della scuola e dello sport postate su Facebook o Instagram, ma anche i video condivisi su varie piattaforme. Spesso questi video, soprattutto se i bambini sono in situazioni divertenti o se sono vestiti in modo simpatico. L’Observatoire de la Parentalité & de l’Éducation numérique dice che il 53% dei genitori francesi ha condiviso contenuti riguardanti il proprio figlio, il 43% lo ha fatto fin dalla nascita. Nelle società occidentali oltre il 40% dei genitori nelle società occidentali pubblica foto o video dei propri figli. Concretamente, la legge francese stabilisce che la protezione della vita privata è uno dei compiti e responsabilità dei genitori, che i figli devono essere consapevolmente associati alle scelte che li riguardano che, nel caso un genitore sia in disaccordo con la condivisione di una foto, il giudice può vietare all’altro di pubblicarla e che, nei casi gravi di violazione della dignità e integrità morale, l’esercizio del diritto all’immagine del minore può essere tolto ai genitori e affidato ad un giudice.

Il messaggio di questa legge per i genitori è che il loro compito sia anche quello di proteggere la privacy dei figli – ha spiegato Studer, – in una società sempre più digitalizzata, il rispetto della privacy dei minori è ormai imprescindibile per la loro sicurezza, il loro benessere e il loro sviluppo”.

I rischi dello sharenting sono diversi. I principali sono la pedopornografia: come chiarisce uno studio citato dallo stesso Studer il 50% delle foto presenti sui siti pedopornografici sono state originariamente pubblicate proprio dai genitori. Anche Save the Children che ha dichiarato che la pubblicazione di foto di minori crea vere e proprie tracce digitali incontrollate che si sedimentano nella rete creando un’identità digitale del giovane. Poi c’è il rischio di adescamento: i dati sensibili dei bambini, come lo sport praticato o la scuola frequentata possono offrire materiale utile nei processi di avvicinamento e adescamento. Le foto possono avere ripercussioni sociali: ciò che pubblichiamo oggi può creare un disagio o un danno psichico domani. Non è detto che le foto che un genitore trova buffe oggi, non possano diventare causa di disagio e di scherno domani, persino di bullismo. Soprattutto quando riguardano bambini con problemi comportamentali. La totale perdita di controllo delle foto, perché ciò che finisce in rete non è mai più recuperabile: resta lì per sempre. Non importa quanto privato sia il tuo account, c’è sempre il pericolo screenshot. La violazione della privacy dei dati personali (e sensibili). Ad essere leso è il diritto del minore a gestire la propria immagine, all’anonimato in futuro. Tutto avviene senza il suo consenso.

Come per molti aspetti social, c’è un vuoto normativo da colmare. In Europa se ne discute da tempo, e anche in Italia c’è chi propone di imitare il modello francese.

Lo sharenting è un fenomeno, non da ora, all’attenzione del Garante soprattutto per i rischi che comporta sull’identità digitale del minore e, quindi, sulla corretta formazione della sua personalità – ha spiegato, il Garante per la privacy Pasquale Stanzione – inoltre, tutte le volte in cui la diffusione delle immagini del minore, non sia da questi condivisa rischia di creare tensioni anche importanti nel rapporto tra genitori e figli. È necessario rendere gli adulti consapevoli dei pregiudizi cui l’esposizione delle foto dei figli in Rete (e quindi tendenzialmente per sempre) può esporli anche in termini di utilizzo delle immagini a fini pedopornografici, ritorsivi o, comunque, impropri da parte di terzi. Per questo l’Autorità, già con la scorsa Relazione annuale, ha proposto di estendere a questi casi la particolare tutela assicurata dal Garante sul terreno del cyberbullismo”. Ossia quello di estendere a questi casi la tutela prevista dalla Legge 71/2017 che consente ai minori di chiedere la rimozione di contenuti a loro riferiti.

Carla Garlatti, dal 2020 Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, ha sollecitato più volte sia il governo Draghi che quello di Giorgia Meloni a intervenire sulla questione: “Purtroppo non c’è abbastanza sensibilità verso i giovani – sottolinea – sullo sharenting sto insistendo e investendo molto in tutte le occasioni pubbliche. Ormai i ragazzi pensano che una cosa esista solo se viene postata. Una ricerca americana chiarisce che il 50% delle foto che circolano sui social pedopornografici sono state originariamente pubblicate proprio dai genitori”. Anche il fenomeno dei baby influencer è ovviamente nel mirino dell’Autorità, che vuole in tutti i modi arginarlo: “Online si riescono a fare manipolazioni incredibili – spiega Garlatti – nel tavolo costituito durante il governo Draghi con il ministero della Giustizia, guidato dal sottosegretario Anna Macina, avevamo previsto la possibilità del minore di chiedere la rimozione della sua immagine una volta compiuti i 14 anni, estendendo quanto già previsto nelle norme contro il cyberbullismo. La nostra proposta, all’interno di una molto più articolata, prevede di introdurre norme che vincolino i profitti effettuati attraverso questi bambini”.

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