I NIPOTI DI DOPODOMANI

By carlo napoli
Pubblicato il 31 Marzo 2021

Quando penso al mondo del lavoro non di domani ma di dopodomani mi viene in mente quella bellissima canzone della cantante argentina Mercedes Sosa Todo cambia: “Tutto cambia, quello che è cambiato ieri, di nuovo cambierà domani così come cambio io in questa terra lontana”.

Saranno i nostri nipoti a fare esperienza di questi mutamenti radicali che – dicono alcuni – miglioreranno la nostra vita o – come dicono altri – la peggioreranno.

Lasciatemi fare un esempio personale. Quando ho cominciato a lavorare, appartenevo a quella generazione che sognava il posto fisso. Lo sognava l’impiegato, il burocrate statale, il funzionario di banca, l’elettricista, il pompiere, il cameriere, il giornalista. Il posto fisso era la garanzia per il futuro, la possibilità di mettere su famiglia, di avere dei figli, il senso di una stabilità finanziaria, la certezza (salvo incidenti) di una vita affettiva. Una società poteva certamente fallire e questo era un dramma ma generalmente un lavoro poteva durare tutta la vita e quando si finiva c’era la pensione per la vecchiaia. Era un mondo di relativa tranquillità anche se di questo mondo si sperimentava già la fragilità.

Oggi stiamo entrando lentamente in un’epoca completamente nuova di cui non si scorgono ancora gli approdi, dove tutto è incerto: incerto cosa si farà, dove si farà, incerto il lavoro, incerto il paese, incerta la lingua, incerto il futuro. Ha prevalso il modello americano che stabilisce che “si lavora dove c’è lavoro”. Questo significa che se c’è lavoro a Pechino si va a Pechino, se in Scozia si va in Scozia. E se dopo qualche anno la società sarà comprata dai giapponesi o fallirà, si dovrà piazzare la propria tenda in altro paese e a cinquantacinque anni non ti prenderà più nessuno. Viviamo in un mondo globalizzato e questa sembra essere la regola. Mi diceva un giovane quasi trentenne di fronte al mio stupore: “Bisogna abituarsi ormai a cambiare in una vita cinque o sei lavori”.

Non sono un economista e non azzardo ricette ma certamente questo modello avrà profonde ripercussioni sulla vita personale di ragazzi e ragazze, da domani eterni viandanti in un mondo che cambia.

Ci sono alcune domande che possono apparire ingenue: ma che famiglia potrà nascere domani quando saremo costretti a una vita zingaresca? E come sarà il lavoro di lei quando non troverà un posto per stare con lui? Sarà costretta, presa per fame, a spostarsi di cento o di mille o di duemila chilometri?

Questi spostamenti, spessissimo all’estero, appartenevano fino ad alcuni anni fa a un certo ceto ma oggi il modello abbraccia ogni mestiere o professione qualunque sia il contesto sociale di appartenenza. Ha vinto l’economia che ha sconfitto l’uomo e ha ragione il Papa quando denuncia questa sudditanza al denaro.

Lo spunto per questa “lettera familiare” mi è venuto da un colloquio che ho carpito fra un mio nipote e la sua ragazza, lei giovane architetta che non trova una sistemazione in Gran Bretagna: “Ma perché non ci spostiamo a Singapore dove l’architettura in questo momento tira?”. Ma potrei citare decine di esempi dove moglie e marito lavorano in città diverse o in paesi diversi, con viaggi del venerdì sera in macchina o in aereo, o con ricongiungimenti familiari ogni mese. Questo “modello” si sta imponendo quasi dovunque, è un cambio radicale di cui vediamo solo gli inizi ma che condizionerà la vita delle prossime generazioni. Assistiamo a un trasferimento globale, dai paesi poveri verso l’Europa e dall’Europa verso paesi più ricchi, che farà di tutti noi degli emigranti a vita. Non sono un sociologo, ma avverto questo rimescolio e questa trasformazione del lavoro. E sommessamente mi chiedo se si salverà la famiglia, se l’educazione dei figli sarà traumatizzata, se esisterà una vecchiaia dignitosa per tutti, se si salveranno le nostre radici di uomini. Di cristiani. E anche di europei. Non ho risposte.

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