ARRICCHITO DALLA NATURA, IMPOVERITI DALL’UOMO…

Intervista a padre Giulio Albanese sul dramma del Congo
By Gino Consorti
Pubblicato il 31 Marzo 2021

Se tutte le ricchezze possedute da questo Paese – afferma il missionari comboniano nonché apprezzato giornalista e scrittore – fossero distribuite agli abitanti, oggi sarebbero più ricchi dei cittadini del Canton Ticino… Meno male che ci sono religiosi e religiose che da quelle parti rappresentano i caschi blu di Dio…”

Che rabbia, che tristezza vedere la maggior parte della gente di questo pianeta pagare per poche persone che si sentono i padroni del mondo. I dati sono sotto gli occhi di tutti: attualmente un miliardo di esseri umani vive con un dollaro al giorno, mentre oltre tre miliardi, quelli considerati fortunati, con meno di 2,5 dollari. A ciò, poi, aggiungiamo oltre un miliardo di persone che non sa né leggere né scrivere e la moltitudine di vittime di annose guerre, violenze gratuite, malattie e carestie. Noi occidentali, però, seguitiamo a sentirci onnipotenti, troviamo una soluzione a tutti i problemi, tranne per gli ultimi… Ovviamente non si parla in termini assoluti, ci sono infatti tante brave persone che hanno scelto di mettersi in gioco condividendo la loro vita con quella dei meno fortunati. Gente, religiosi e laici, che non ha esitato a mettere la propria vita a disposizione di valori autentici. Purtroppo, però, quelli che rispondono alle grida di aiuto sono sempre pochi. Basta pensare allo scempio che quotidianamente avviene in Congo. C’è voluta l’uccisione del giovane ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci, che fungeva da scorta e che fino alla fine ha cercato di proteggerlo e del loro autista Mustapha Milambo, per accendere qualche riflettore su una vicenda, che da lunghissimi anni ha reso un popolo schiavo e stremato da fame e violenze.

Secondo le ultime informazioni che filtrano dagli inquirenti, Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci sono morti nel disperato tentativo di fuggire durante la sparatoria seguita al loro rapimento. L’ambasciatore era uno di quelli che aveva scelto di “sporcarsi le mani”, di non restare fuori della mischia. Andando ben oltre il ruolo istituzionale, si spendeva quotidianamente nel tentativo di aiutare i tanti disperati di un paese ricco ma dannato. Una dannazione procurata dalla sete di denaro dell’uomo. Sì perché, forse è bene ricordarlo, la Repubblica Democratica del Congo possiede la metà della riserva mondiale di cobalto utilizzato per le fibre ottiche, ma anche per la produzione di armamenti, ed è il quarto produttore di diamanti, con immense riserve di uranio, oro, coltan, rame e petrolio. Insomma, un paese con risorse inestimabili, probabilmente il più ricco per risorse minerali e agricole, popolato da 90 milioni di abitanti sparsi su un territorio grande quasi quanto l’intera Europa occidentale, ma incredibilmente impoverito dall’avidità dell’uomo. E soprattutto abbandonato dalla cecità di chi, parte di un sistema consolidato, non si accorge o fa finta di non vedere il disperato grido di aiuto. Una sordità figlia di coscienze incrostate da valori sballati.

Per meglio comprendere le dinamiche e le verità di un Paese segnato da numerose tragedie e vittima di una miseria dilagante nonostante il tesoro su cui è seduto, abbiamo chiesto aiuto a chi ha scelto il rischio della testimonianza. Padre Giulio Albanese, missionario comboniano nonché giornalista e scrittore di successo, è un grande conoscitore del continente africano. Ha vissuto in Africa per diversi anni, dove ha svolto la duplice attività giornalistica e missionaria. È stato per alcuni anni in Kenya direttore del New People Media Centre e di due testate sull’attualità africana in lingua inglese: il New People Feature Service e il New People. Magazine. Nel 1997 ha fondato Misna (Missionary Service News Agency), agenzia di stampa on line in tre lingue (italiano, inglese e francese), un progetto editoriale che ha conseguito un notevole successo a livello internazionale. Docente di Giornalismo missionario/Giornalismo alternativo presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e collaboratore di varie testate giornalistiche, oggi è apprezzato editorialista de L’Osservatore Romano e Avvenire nonché direttore responsabile del mensile per i diritti degli ultimi Amici di Follereau. Un’intensa attività giornalistica-pastorale, dunque, che nel 2003 lo ha visto insignito, da parte del presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, del titolo di Grande ufficiale della Repubblica Italiana per meriti giornalistici nel Sud del mondo. I suoi tanti scritti risultano spesso “scomodi e indigesti” perché raccontano la realtà senza filtri, omissioni e menzogne intellettuali. Un pugno nello stomaco di quanti vivono nella mediocrità dei sentimenti e delle coscienze, religiosi o laici che siano.

Al termine della nostra chiacchierata mi ha inviato una serie di foto riferite a uccisioni, avvenute dopo l’attentato all’ambasciatore italiano, da parte di alcune bande armate che terrorizzano quei territori. Foto impubblicabili per lo scempio dei corpi martoriati a colpi di machete, una vera e propria aberrazione dell’animo umano. La prova incontrovertibile dell’esistenza del demonio…

Direttore, conosceva l’ambasciatore Luca Attanasio?

L’ho incontrato in un paio di circostanze, però ne ho sentito parlare molto bene. Dal mondo missionario, dai volontari, dai cooperanti nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare quelli del Nord Kiwu, coloro che conosco meglio. Una figura molto attenta al sociale, soprattutto molto attenta alla cooperazione dello sviluppo. Come dicono i francesi, quindi, chapeau, nel vero senso della parola…

Che idea si è fatta di quell’orribile agguato?

Credo sia importante seguire le indicazioni forniteci dalla Farnesina, sicuramente si continuerà a investigare e probabilmente ci sarà una commissione sotto l’egida delle Nazioni Unite che cercherà di capire la dinamica dei fatti. Inizialmente si è trattato di un tentativo di sequestro, poi, però, è avvenuta l’uccisione dei due nostri connazionali e dell’autista. Quest’ultimo, stando alla ricostruzione degli inquirenti, sembra abbia perso la vita per primo. Certamente ci sono tante altre cose che vanno approfondite, tanti punti interrogativi su cui fare luce.

Ad esempio?

Sul fatto che non ci fosse una scorta adeguata alle due macchine. Quella su cui viaggiava l’ambasciatore, poi, non era un mezzo blindato. È vero che la macchina blindata sarebbe dovuta arrivare a Goma ma avendo tardato, per non perdere tempo si sarebbero mossi con le auto del Pam (Programma alimentare mondiale, ndr). Sono tutti aspetti che a mio avviso necessitano di ulteriori approfondimenti.

Come giudica il ruolo dei caschi blu dell’Onu? Sono in grado di garantire l’incolumità della popolazione?

No, l’esercito governativo, soprattutto nel Nord Kiwu non è in grado. È una storia che va avanti da troppo tempo, la seconda guerra congolese, infatti, è esplosa il 1° agosto del 1998 ed è durata circa cinque anni e mezzo con un bagno di sangue indicibile. Hanno perso la vita circa 5 milioni di persone e formalmente quella guerra si è conclusa con gli accordi di Sun City, in Sudafrica. Mentre però c’è stato un graduale processo di pacificazione nella gran parte del paese, il Nord Kiwu in particolare, e anche la provincia del Lituri, sono rimasti fondamentalmente instabili.

La task force peacekeeping, dunque, ha fallito…

Direi proprio di sì, alla prova dei fatti in tutti questi anni non sono stati in grado di garantire l’incolumità della stremata popolazione. Sia la società civile, sia il mondo missionario, in termini generali, hanno sempre lamentato il fatto che i caschi blu non riuscissero ad adempiere il loro compito. Proprio recentemente ci sono state delle proteste nella diocesi di Butembo-Beni da parte di molti attivisti ed esponenti della Chiesa cattolica.

È vero che non possono intervenire senza il placet del governo di Kinshasa?

Il mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu è molto chiaro, loro hanno il compito di difendere i civili quindi possono anche intervenire militarmente per garantire la protezione di questa stremata popolazione civile.

Il loro atteggiamento, dunque, come possiamo spiegarlo?

Alla base sono stati commessi diversi errori.

Tipo?

Solitamente da quelle parti non vengono mandati contingenti Onu di élite…

Cosa intende per élite?

Sono caschi blu che provengono da paesi che non hanno alle spalle la giusta preparazione, le competenze idonee a far fronte a questo tipo di crisi armata. E quindi, inevitabilmente, si producono questi risultati. La verità è che ci sono caschi blu di serie A e caschi blu quelli di serie B…

Comunque si tratta di una guerriglia sempre più asimmetrica che coinvolge numerose formazioni ribelli…

Proprio così. La formazione dei gruppi armati – parliamo di circa 160 con circa 20 mila ribelli di varie estrazioni – è dovuta in gran parte al fatto che lo stato di diritto, in quei territori, non è stato mai affermato dal governo centrale di Kinshasa. E anche al fatto che dietro le quinte si celano interessi occulti, spesso legati proprio allo sfruttamento delle materie prime. Questi gruppi armati, in pratica, hanno il compito di terrorizzare la popolazione e costringerla alla mobilità, alla migrazione. In questo modo preparano l’arrivo delle varie multinazionali che possono fare il bello e il cattivo tempo in quei territori. Il governo, quindi, c’è sulla carta ma non nei fatti. Nel caso delle vicende del Nord Kiwu, poi ci sono anche grandi responsabilità da parte delle nazioni limitrofe, mi riferisco al Rwanda e all’Uganda.

La dinamica degli scontri dei vari movimenti armati comprende anche una natura etnica?

Ci sono varie componenti, compresa quella a sfondo etnico. C’è ad esempio l’ADF (Allied Democratic Forces) di matrice ugandese e anche islamica. Ci sono poi i Mai-Mai, patrioti congolesi che sono delle schegge impazzite, una volta sostengono il governo e un’altra lo contrastano… E poi ancora i ribelli di matrice ruandese e ugandese che ultimamente si sono spinti più al Nord. Inoltre ci sono gruppi locali che sbarcano il lunario ammazzando la gente. Quello che è avvenuto in questi ultimi tempi è sintomatico del malessere in cui versa questa regione. Può darsi che con il rapimento dell’ambasciatore mirassero al riscatto, sono però ipotesi che lasciano il tempo che trovano.

Tutti attratti dalla miniera a cielo aperto della Repubblica Democratica del Congo…

Nel Nord Kiwu c’è una concentrazione smisurata di commodity (prodotto primario o materia prima che costituisce un fondamentale oggetto di scambio internazionale, ndr). Parliamo del cobalto, attualmente estratto dai cinesi e utilizzato per le fibre ottiche; del coltan, detto anche rutilio (una lega naturale di columbio e tantalio); il columbio, che insieme al titanio è il miglior superconduttore al mondo, utilizzato anche per assemblare i satelliti essendo resistente alle variazioni di temperatura. Nel coltan, inoltre, c’è anche il tantalio che viene utilizzato nella tecnologia militare perché ha una forte capacità di penetrazione. Si usa anche in sostituzione dell’uranio impoverito oltre che nella tecnologia digitale per la componentistica interna di tutti i nostri gadget. Non solo i cellulari ma anche, ad esempio, il telecomando del televisore, la centralina elettronica delle macchine, eccetera. Senza dimenticare, infine, petrolio, gas naturale e dei giacimenti di oro. Lascio immaginare, quindi, che tipo di business possa esserci dietro l’estrazione di queste ricchezze. Ricchezze che di fatto rappresentano un fattore altamente destabilizzante, ingolosendo fortemente gli appetiti stranieri …

Nonostante ciò il Congo è uno dei paesi più poveri e fragili. Un paradosso senza eguali…

Recentemente sono stati richiesti aiuti umanitari per oltre un miliardo di dollari alla comunità internazionale per far fronte all’emergenza alimentare in Congo. Tutto ciò rappresenta un’assurdità… Se tutte le ricchezze possedute da questi territori fossero distribuite a tutti gli abitanti, oggi i cittadini del Congo sarebbero più ricchi di quelli del Canton Ticino… Quindi quando si dice che vogliamo aiutarli a casa loro diciamo una cosa non vera… Ciò che interessa sono le ricchezze, ce lo dice anche la storia. Le interferenze straniere affondano le radici nell’epoca coloniale, non dimentichiamo, infatti, che l’uranio utilizzato nelle bombe di Hiroshima e Nagasaki veniva dallo Zaire (all’epoca la Repubblica popolare del Congo si chiamava così, ndr). Spesso le classi dirigenti sono state corrotte, mi viene in mente il leader storico che per tanti anni ha governato questo paese: Mobutu Sese Seko. Aveva messo da parte una fortuna. Ricordo quello che disse l’ex segretario di Stato americano Cyrus Roberts Vance, “durante la guerra fredda”: L’alleanza degli Stati Uniti con lo Zaire è imbarazzante ma necessaria…”. Era necessario per motivi geopolitici e anche economici. Tutto ciò ha aumentato a dismisura la corruzione. Attenzione, però, quando si parla di Paese tra i più corrotti al mondo, dobbiamo raccontarla tutta la storia… Se la corruzione è un’operazione di business, da una parte c’è il corrotto e dall’altra il corruttore… Per capirci: da una parte c’è il presidente padrone di turno e dall’altra la multinazionale di turno. Bene, se dovessimo fare un computo dei denari che circolano da una parte all’altra scopriremmo che i Paesi più corrotti al mondo sono quelli che vogliono esportare la democrazia…

A suo avviso, quindi, dovrebbe cambiare l’atteggiamento dell’Europa e delle altre potenze mondiali…

La sfida è questa: l’Africa non è povera ma è stata impoverita, l’Africa invoca giustizia, ha bisogno di democrazia e di partecipazione. Ha bisogno di crescere, bisogna investire nella formazione delle classi dirigenti. Il contrario di ciò che si sta facendo oggi, cioè corrompere sempre più le élite. È sintomatico quello che è accaduto nelle ultime elezioni presidenziali. Ha vinto Félix Tshisekedi figlio, dell’oppositore storico di Joseph Désiré Mobutu, che di fatto godeva dell’appoggio del suo predecessore che non poteva essere rieletto. Si dice, infatti, che dietro le quinte l’abbia sempre sostenuto… Quello che interessa alle grandi potenze industrializzate è semplicemente fare business. È importante, quindi, poter contare su un presidente padrone disposto a farti fare attività estrattiva. Se poi questa non è rispettosa dell’ambiente ed è legata allo sfruttamento della manodopera a basso costo poco importa.

Che ne pensa dell’attenzione dei mezzi di informazione sulla vicenda Congo?

Il vero problema è che esiste un deficit d’informazione e quindi ci si trova dinanzi a una campagna di disinformazione. Il tutto con conseguenze devastanti sulle popolazioni locali. Io dico sempre che l’informazione è la prima forma di solidarietà. Quando si parla dell’Africa, infatti, lo si fa solo nei confronti della questione migratoria… Cioè lo sbarco dei migranti sulle coste del Bel Paese. Una cronaca nera molto riduttiva. Si dovrebbe infatti spiegare all’opinione pubblica quali sono le cause che generano la mobilità umana. In quel caso vedremmo che non è solo legata alla guerra, in alcuni paesi infatti non c’è alcuna disputa bellica ma semplicemente una miseria aberrante che comunque è determinata sempre da situazioni di instabilità e prepotenze. Ripeto, questa è la vera sfida da raccogliere e per noi cattolici ha una valenza pastorale. Nelle nostre assemblee liturgiche e nelle nostre comunità, infatti, abbiamo tanta gente che non ha coscienza e consapevolezza di quello che succede da quelle parti. E l’intolleranza nei confronti dei migranti, rispetto a quella che è la mobilità umana e via discorrendo, è legata al fatto che non c’è conoscenza dello stato di quella che è la realtà sul campo.

Davanti a un simile scenario, al di là delle buone intenzioni dei singoli, come se ne esce?

La cosa fondamentale è rilanciare un negoziato a livello internazionale, che coinvolga le istituzioni e anche i governi dei paesi limitrofi, perché è evidente che il Congo e il governo di Kinshasa da soli non sono in grado di affermare lo stato di diritto e quindi risolvere la questione. Ricordiamoci sempre, comunque, che l’instabilità va ben al di là del Nord Kiwu, ci sono sempre delle zone a livello di galleggiamento, tipo la provincia del Kasai e lo stesso Katanga, vittime di azioni predatorie. Inoltre si dovrebbe riflettere sul ruolo e l’atteggiamento dei caschi blu. Meno male che ci sono i nostri missionari, meno male che la Chiesa, meno male che ci sono religiosi e religiose che da quelle parti rappresentano i “caschi blu di Dio”. Una forza pacifica di interposizione tra gli opposti schieramenti. Stanno dalla parte della gente, sono quelli che danno voce a chi non ce l’ha. Quello che oggi sappiamo del Congo lo dobbiamo a loro, se non avessimo i nostri missionari, i volontari, i cooperanti, le cosiddette sentinelle della solidarietà, noi del Congo non sapremmo assolutamente nulla.

Attualmente chi fa affari nel Congo?

L’Africa è parcellizzata… Con il crollo del muro di Berlino tutti i paesi africani sono parcellizzati in aree di interesse. Ci sono i cinesi, i russi, i francesi, i belgi, ci sono in pratica quasi tutte le nazioni. L’Africa oggi è una terra di conquista, tra l’altro è bene ricordare che le 10 migliori economie africane nel bel mezzo della pandemia sono state declassate dalle agenzie di rating, riducendo a carta straccia i titoli obbligazionari di questi paesi. Di conseguenza gli interessi sono schizzati alle stelle e il debito è cresciuto a dismisura, aprendo delle voragini nelle casse degli Stati sovrani. E tra queste 10 economie c’è anche quella della Repubblica Democratica del Congo. Smettiamola quindi di ripetere che li stiamo aiutando a casa loro…

In una situazione già così precaria, la pandemia quali effetti ha sortito?

Proprio perché l’Africa non rappresenta una priorità può immaginare cosa significhi e su cosa si regga il sistema sanitario continentale… Dovremmo smettere di essere ipocriti, in Africa i vaccini stanno arrivando con il contagocce, quei pochi arrivano dalla Cina e una dose qui costa tre volte in più di quella venduta in Europa. Questo perché loro, gli africani, non possono vantare diritti, la loro proprietà intellettuale, poverini, non sono all’altezza… Quindi i poveri devono pagare di più dei benestanti… Ma non solo, in Africa il Coronavirus è l’ultima delle preoccupazioni. Loro hanno le malattie tropicali neglette che si potrebbero curare e debellare facilmente se solo ci fosse la volontà politica di farlo… Ci sono poi Malaria, Tbc e Aids sulle quali sostanzialmente qualcosa è stato fatto con i farmaci retrovirali, soprattutto per quanto concerne l’Aids. Ma si potrebbe fare molto di più. Senza dimenticare il problema delle false medicine…

Cioè?

In Africa ci sono alcuni paesi in cui addirittura il 60% dei farmaci in circolazione è contraffatto. Fake medicines, provenienti dai paesi dell’Oriente, Turchia, India, Cina, che anziché curare fanno morire… Tornando alle malattie da contrastare avevo dimenticato l’Ebola, che ormai da quelle parti sta diventando quasi endemica. L’Oms, qualche mese fa aveva, comunicato che in termini generali finalmente era terminata la pandemia di Ebola nel Nord Kiwu. Salvo, poi, fare retromarcia segnalando altri casi. È chiaro, quindi, che con tutte queste problematiche il Covid-19 certamente è un problema, ma uno dei tanti che si aggiunge alla lunga lista…

Come mai solo la Cina si è impegnata nella esportazione dei vaccini?

Sicuramente vuol fare bella figura, vuole mantenere le relazioni con i governi africani su un certo piano. La Cina sta investendo alla grande, sfrutta le miniere, le risorse naturali dell’Africa ma al contempo porta avanti progetti infrastrutturali come sorta di compenso. Però tante di queste opere lasciano a desiderare a livello qualità. Ma questa è un’altra storia. Di certo i Paesi africani si stanno indebitando mostruosamente nei confronti della Cina. Da questo punto di vista sta prendendo il sopravvento. Ma non c’è solo la Cina, come dicevo, quindi dobbiamo essere molto attenti. Insomma non ci resta che pregare il buon Dio affinché scriva dritto sulle righe storte…

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