Non poche volte papà Sante è costretto a fare la faccia severa e a rendere burbero il tono della voce per calmare il capriccioso Checchino (così chiamavano Gabriele prima che entrasse in convento); ma il bambino già gli si è buttato al collo e lo copre di baci per strappargli il perdono. “Fatti, ragazzo mio, fatti e non parole”, continua a ripetere Sante che intanto si sforza di nascondere la commozione e le lacrime trattenute a stento davanti agli affettuosi gesti del bambino e alle sue promesse di essere più buono e meno capriccioso.
Niente di male che Checchino sia “il più vispo ed esuberante” dei figliuoli, ma è anche “collerico, rissoso, pieno di fuoco”, facile ad accendersi e fare scintille. Dall’amore “ai passatempi fanciulleschi”, con lo scorrere degli anni scivola all’amore “dei divertimenti, del vestire ricercato”. E’ attratto “dalla vanità alla quale pare soverchiamente inclinare”. Orgoglioso e leggero preoccupa non poco. Prega spesso il padre perché lo porti con sé nelle conversazioni serali quando lui si reca presso qualche nobile famiglia spoletina.
Checchino non è insensibile al fascino di una brillante carriera, vuole primeggiare ad ogni costo, è “imperioso” anche con la governante Pacifica Cucchi. Insomma è lontano da quello spirito di umiltà e docilità tanto familiare ai santi. Come asseriscono i testimoni “la bella vita non gli dispiace… Ama gli spassi, la compagnia allegra e vivace”. In casa di amici, sebbene di rado e sempre sotto l’occhio vigile dei genitori, qualche volta si balla anche. E in materia Checchino non è davvero l’ultimo arrivato o il più sprovveduto.
Il suo divertimento preferito è la caccia. Lui stesso, entrato in convento, dirà al suo direttore padre Norberto Cassinelli di esserne stato straordinariamente appassionato. Esperto nel richiamare gli uccelli con fischi e gorgheggi, abile e preciso nel colpire con i sassi, vive ore serene e spensierate tra il verde silenzio di Monteluco, periferia di Spoleto (PG). In seguito racconterà anche “degli strapazzi presi, delle sudate rimesse, di inedie sofferte, delle cadute né poche né piccole” durante la caccia. In una di queste cadute, dal fucile parte accidentalmente un colpo che gli sfiora il viso facendogli correre un grave pericolo. Dio mio che spavento! … Al solo ricordo Gabriele sentirà brividi vivissimi scuotergli il corpo e per tutta la vita ringrazierà la Madonna per esserne uscito miracolosamente vivo.
“Un po’ bizzarro” si profuma, si pettina con cura. Insegue avidamente ciondoli e ninnoli. Chiede al cugino Pietro Possenti di Terni un orologio e una catenina d’oro: orgoglioso e compiaciuto ne farà sfoggio tra gli amici. Veste a puntino. Lo chiamano a ragione “il damerino elegante”. Ha iniziato anche a fumare: quella nuvola grigia che si perde per aria gli mette addosso una strana euforia e lo fa sentire ormai già grande. Colto in flagrante dal fratello Michele per le vie di Spoleto, farfuglia affannosamente cercando una possibile giustificazione, riuscendo però soltanto a dire: “Ma anche tu fumi!…”. “Io sono più grande di te, precisa Michele, e ho il permesso di papà”. Checchino capisce che è meglio smettere sia di scusarsi che di fumare. Ama il teatro e i romanzi. Un giorno deplorerà questa mania e chiamerà “maledetti” questi libri che ora lo tengono inchiodato a trame e avventure. Ma nonostante tutto papà Sante ha un amore particolare per Checchino che, come vedremo in seguito, è fondamentalmente buono e ha un cuore d’oro.
“Vanitoso, leggero, irascibile…”. Chi si picca di avere intuito e naso fino non lo pronostica un santo. E come dargli torto?… Andando a Morrovalle per diventare passionista Checchino si fermerà a Loreto e farà la sua confessione generale. E’ così minuzioso e deciso che non sentirà più il bisogno di tornarvi sopra. Il suo mondo frivolo viene seppellito lì ai piedi della Madonna. Da religioso il difetto di Gabriele sarà l’eccessivo fervore; il direttore dovrà frenarlo più che stimolarlo.
“Come si porta questo giovane?”, domanda il gesuita padre Andrea Rossi che ha conosciuto molto bene il Checchino di Spoleto e che ora lo sa in convento da meno di un anno. “Ottimamente”, risponde compiaciuto e quasi con orgoglio padre Norberto. “Ma… era un giovane un po’ leggero…”, azzarda scettico il gesuita. Certo “era” leggero. Ora di leggero in Gabriele c’è soltanto il volo inarrestabile che lo porta sempre più in alto verso la santità.
Gabriele non nacque santo, né lo divenne per miracolo, ma perché lo volle fermamente, facendo sempre più spazio a Dio nel suo giovane cuore.