I CENTO ANNI DEL CONI

By Fabrizio Cerri
Pubblicato il 3 Luglio 2014

Cento anni ma non li dimostra. Per lo sport italiano è quasi d’obbligo parafrasare il titolo di una celebre commedia di Peppino De Filippo che si era fermato, a proposito di anni, ai 40 della sorella, nubile e da maritare. Lo sport italiano di anni ne ha vissuti addirittura cento, e non sembra avere alcuna intenzione di… maritarsi, se non forse con la sua stessa storia mutuando il modello invero fortunato che il mondo ci riconosce e ci invidia (“La storia unica del Coni – ha osservato il presidente del Cio Thomas Bach – è un metro di paragone per il comitato olimpico internazionale, e per tanti comitati olimpici nel mondo”). Questa storia e questo modello sono stati al centro di una serie di appuntamenti anche istituzionali che hanno lasciato poco spazio alla retorica e molto invece ai ricordi, alle immagini, alle storie, ora epiche ed emotive, ora tecniche e sublimi, tutte avendo alla base una concezione del momento sportivo alta e lungimirante, positiva e concreta, colta e popolare. Una concezione globale, per tutti: promuovere un esempio formidabile per favorire la diffusione di un modello che punti alle medaglie partendo dall’attività di base. Di questi cento anni chi scrive ha avuto il privilegio di viverne in presa diretta ben più della metà, inizialmente come protagonista naturalmente in erba (molto in erba…) delle prime vicissitudini agonistiche, successivamente avendo abbracciato una professione e un settore specifico che lo ha portato a contatto diretto proprio con i protagonisti di gesti atletici memorabili e indimenticabili che meritassero di essere raccontati: da Livio Berruti a Sara Simeoni, da Pietro Mennea a Klaus Di Biasi, da Oreste Perri a Gustavo Thoeni, da Marcello Guarducci a Dino Zoff, da Franco Menichelli a Giovanni Johnny Pellielo… Testimone di imprese, chi scrive, e anche di scaramucce social politiche, come quella che intorno agli anni sessanta vide il presidente del Coni, Onesti, battagliare contro un presunto assalto all’autonomia gestionale dello sport che sarebbe stato in mente ad alcuni esponenti politici democristiani vicini alla Libertas, ente di promozione sportiva di non secondaria importanza.

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