FERMIAMO I BULLI PRIMA CHE SIA TARDI
“I genitori – afferma il giornalista e scrittore Antonio Murzio – dovrebbero tornare a fare i genitori, mentre gli insegnanti devono formare i giovani non solo da un punto di vista didattico”. La fascia d’età più interessata è quella tra 11-13 anni
Una foto shock, senza censure del figlio di soli 12 anni nella bara. È l’immagine pubblicata su Facebook da Cheryl Hudson, una mamma del Mississippi, per mostrare a tutti “fino a dove può spingersi il bullismo”. Suo figlio, Andrew Michael Leach, non ha retto alle continue prese in giro dei compagni sul suo orientamento sessuale e si è suicidato. “A scuola era diventato vittima degli attacchi di un gruppo di bambini – ha raccontato ai quotidiani locali – il mio cuore è spezzato ma continuerò a fare prevenzione contro il bullismo. Vogliamo assicurarci che la voce di Andy sia ascoltata e che non sia morto invano”.
Parlava di sé in terza persona ed era molto fragile Michele Ruffino, 17 anni, di Torino. Si è suicidato lo scorso 23 febbraio dopo essere stato vittima di bullismo per lungo tempo. La mamma, che ha scoperto alcune lettere all’interno del suo computer, ha subito denunciato la vicenda: “Mio figlio è nato sano. Poi, a sei mesi, dopo un vaccino, si è ammalato. Aveva problemi alle braccia e alle gambe e faticava a muoversi. E c’erano le prese in giro, gli sfottò. Era vittima di bullismo e per questo, prima di compiere 18 anni, si è ammazzato”. Nelle lettere, Michele confessava: “La mia passione più grande poco alla volta sta svanendo. Ancora adesso vengo preso in giro, mi chiamano asociale, apatico, depresso, anoressico, problematico, quello che è meglio che vada a suicidarsi, quello che non doveva mai nascere…ma loro non sanno contro cosa sto combattendo, loro non vivono quello che vivo io, non sanno proprio niente di me. Io non ce la faccio più e, soprattutto, ho troppo odio verso queste persone che mi stanno portando via tutto”.
Basta incrociare i casi di cronaca con i dati che registrano un aumento di questi fenomeni per capire che siamo di fronte a un quadro preoccupante. Il giornalista Antonio Murzio si è addentrato in questo universo oscuro fatto di intimidazioni, violenze, scuole e famiglie in crisi. Ne è uscito un libro dal titolo forte: Educati alla violenza. Storie di bullismo e baby gang (Imprimatur editore). Perché la scelta di questo titolo? “Ho ritenuto che specificasse immediatamente il tema trattato, senza ambiguità di sorta – spiega Murzio – l’educazione alla violenza è, in un certo senso, anche quella delle vittime di bullismo, che conoscono fin da piccole solo il linguaggio della sopraffazione, sia fisica che psicologica, e per questo ne crescono segnate. Non si diventa bulli e violenti per caso o per distrazione o inadeguatezza di chi ha responsabilità educative. Alla violenza si viene ‘educati’ dall’intera società, purtroppo sempre più violenta”.
Murzio non lascia spazio ad ambiguità, attribuisce anche ma non solo all’educazione sbagliata delle famiglie la responsabilità del dilagare di questo fenomeno. “I genitori, sempre più spesso, commettono l’errore di porsi in una relazione di ‘amicizia’ con i figli, in un rapporto alla pari che lascia intendere al ragazzo di avere il via libera, e l’appoggio, per qualsiasi azione intraprenda. E sempre più spesso – continua – i ragazzi sono lasciati soli. I bulli sono ragazzi a cui manca l’ascolto e il contenimento adeguato per gestire la rabbia che hanno dentro, che solitamente reprimono e che trova una via d’uscita in condotte devianti, senza riflettere sul fatto che, con i loro comportamenti, possono anche arrivare ad uccidere una persona. Non hanno punti di riferimento e vivono il nulla che li circonda. I genitori dovrebbero tornare a fare i genitori, mentre gli insegnanti devono formare i giovani non solo da un punto di vista didattico, ma anche aiutandoli ad acquisire gli strumenti necessari per affrontare la vita”.
La scuola è l’altra trincea dove si combatte duramente e il bullismo è arrivato ad annoverare fra le sue vittime anche alcuni professori come nel caso dell’Istituto Carrara di Lucca. Nel suo libro, Murzio oltre ai bulli e le vittime, sottolinea la presenza degli spettatori degli atti di violenza. Che ruolo hanno? Alimentano, inconsciamente, il fenomeno? “Il ruolo degli esterni, di chi non prende parte in maniera attiva agli episodi di bullismo ma non fa nulla per fermare le prevaricazioni – spiega l’autore – è fondamentale nel mantenimento della dinamica che si instaura tra bullo e vittima. Se tutti intervenissero e non rimanessero in silenzio a guardare o, peggio ancora, a ridere, commentare e condividere in rete e nelle chat, il bullismo si fermerebbe perché i bulli verrebbero spogliati del ruolo e del pubblico di cui hanno bisogno”.
Dando uno sguardo ai dati, emerge come la fascia d’età più interessata è quella tra 11-13 anni. Ci si chiede come mai l’età dei minori coinvolti in questo fenomeno si è abbassata. “Purtroppo -conferma Murzio – i dati riportati nel libro, forniti dalla dottoressa Maura Manca, psicologa e presidente dell’Osservatorio nazionale adolescenza, confermano l’abbassamento della fascia d’età dei protagonisti di episodi di bullismo, che possono cominciare già durante le ultime classi della scuola elementare e raggiungono il picco alle scuole medie”.
L’indagine svolta nel corso del 2017 dall’Osservatorio, su un campione di 8000 ragazzi, ha evidenziato come, nella fascia tra i 14 e i 18 anni, il 28% dei ragazzi sia stato vittima di bullismo tradizionale e l’8,5% di cyberbullismo. Nella fascia tra gli 11 e i 13 anni i numeri sono più alti: il 30% dei preadolescenti, infatti, è stato vittima di bullismo tradizionale e il 10% di cyberbullismo. Il fatto che i ragazzi siano sempre più allo sbaraglio nella rete e senza un adeguato controllo genitoriale, porta a una maggiore diffusione di episodi di bullismo digitale e al dilagare di nuove forme di violenza in rete, che vedono le ragazze come vittime predilette dai cyberbulli (70%), che sono per oltre il 60% di sesso maschile. Le chat di messaggistica istantanea, i famosi gruppi su WhatsApp, se usati in modo distorto, diventano terreno fertile per i cyberbulli: 3 adolescenti su 10 vengono intenzionalmente esclusi dai gruppi classe e, quando invece restano all’interno, vengono presi di mira, derisi ed esortati a fare silenzio e a non intervenire perché non hanno nessun diritto di parlare. In altri casi, invece, si arriva a creare gruppi specifici, con il nome delle vittime, in cui scambiare foto, video, immagini ritoccate e modificate, frasi, battute, rigorosamente alle loro spalle. Un dato allarmante è rappresentato dal 4% degli adolescenti dai 14 ai 19 anni e da un 5% proprio dagli 11 ai 13 anni, che ha filmato o fotografato un coetaneo nel mentre che qualcuno gli faceva del male, senza intervenire, pur di immortalare il momento e renderlo poi virale.
Un altro aspetto, forse meno conosciuto, è quello del cyberbullismo sessuale. In cosa consiste? “È il cosiddetto fenomeno del sexting, che vede gli adolescenti scattarsi e condividere selfie intimi e senza vestiti o a sfondo sessuale – spiega Murzio – emerge già dagli 11 anni, coinvolge il 33% dei ragazzi ed è legato proprio allo scambio di questo tipo di immagini. Le ragazze – continua, rappresentano la categoria più a rischio dal punto di vista della diffusione di materiale intimo e privato, e il 4% racconta di essere stata vittima della vendetta pornografica o revenge porn, ossia il vendicarsi, solitamente per essere stati lasciati o traditi sia in amore che in amicizia, attraverso la pubblicazione sui social o nelle chat di materiale compromettente, con lo scopo di colpire ferocemente l’altro e di esporlo alla gogna mediatica”.
Un innesco potente al bullismo è dato anche dalla facilità d’accesso a smartphone e cellulari. “Sicuramente la diffusione delle tecnologie, ormai alla portata di tutti, ha contribuito ad alimentare il fenomeno”, riflette l’autore che invita a non demonizzarle.“Come per qualsiasi cosa, è l’uso distorto che se ne fa a renderle ‘complici’ le nuove tecnologie. Il cyberbullismo, nato proprio con la disponibilità dei nuovi dispositivi, ha aggravato decisamente le cose perché ci può essere una sistematicità che toglie il respiro alle vittime: si può essere sempre un potenziale bersaglio, sia di giorno che di notte, nella chat, nei social, in tutti i luoghi di aggregazione online. Le proporzioni che può raggiungere il cyberbullismo sono allarmanti, in pochissimo tempo si può rischiare di essere esposti in una vetrina di migliaia di utenti che commentano e condividono andando a comportarsi alla stregua dei cyber bulli”.
Murzio ha raccolto tante storie: “Nessuna mi ha lasciato indifferente – precisa – come cronista, quando ho parlato con le vittime e le loro famiglie, ho cercato di mantenere il necessario distacco per non lasciarmi coinvolgere e riportare fedelmente quanto mi si raccontava; ma come padre di due ragazzi adolescenti sono stato portato a riflettere molto”.
Ma chi è il bullo? Un violento che necessita di cure o un insicuro che va aiutato? E si può uscire da questa spirale di violenza? “I bulli – spiega Murzio – presentano nella maggior parte dei casi delle personalità dominanti, che tendono a sottomettere, sovrastare e prevaricare gli altri, coloro che sono considerati più deboli da un punto di vista fisico e psicologico. Una delle caratteristiche dei bulli è la scarsa empatia, non sono in grado, cioè, di mettersi nei panni dell’altro e di sintonizzarsi con le sue emozioni, non si rendono conto dell’esito delle loro azioni, delle conseguenze da un punto di vista fisico e psichico nella vittima, di ciò che dicono e che fanno. Sono convinti che la vittima meriti le loro prevaricazioni e non provano sensi di colpa, per cui difficilmente si mettono in discussione per analizzare i propri atteggiamenti e comportamenti. Parliamo di bambini e adolescenti che spesso hanno problemi nel riconoscimento, nella gestione e nella regolazione delle emozioni e nell’autocontrollo, e tollerano con difficoltà le frustrazioni. Possono manifestare anche un modo particolare di stabilire amicizie, poiché tendono ad essere coercitivi, controllanti e non altruisti. Possono evidenziare una maggiore propensione all’aggressività e alla violenza, ai sotterfugi, allo sfruttamento, anche nelle piccole cose, alla delega o alla strumentalizzazione delle situazioni”. C’è una cura? “La migliore cura, ferme restando la bontà e la necessità dell’azione sanzionatoria, sia in famiglia che a scuola, resta la capacità degli adulti di cogliere i segnali e a intervenire prima che sia troppo tardi. Magari con l’aiuto e la guida di esperti di psicologia dell’età evolutiva”.