DOMANDE CHE ATTENDONO RISPOSTE

By Stefano Pallotta
Pubblicato il 31 Marzo 2016

La vicenda dell’assessore di un comune abruzzese che ha pubblicato su facebook, alla vigilia del 14 febbraio, San Valentino, festa degli innamorati, frasi pesantemente sessiste nei confronti delle donne induce a qualche riflessione.

Prima di ogni altra cosa ci pare che le reazioni a frasi così becere e misogine, siano state liquidate in maniera frettolosamente sbagliata come goliardata mal riuscita. In realtà la vicenda pone questioni che non possono essere trattate con la superficialità con le quali strumentalmente la politica le ha archiviate. Esaminiamone solo alcuni aspetti. Può un amministratore comunale, quindi uomo pubblico, sottovalutare o addirittura ignorare le conseguenze che può determinare la pubblicazione su un social media di frasi offensive? Può un amministratore comunale, quindi uomo pubblico, ignorare la potenza comunicativa dei social media in un modo pressoché votato alla condivisione digitale? Ultima questione: l’etica, ossia il complesso di valori che ispirano i nostri amministratori pubblici. Le generalizzazioni, si sa, sono sempre arbitrarie. Ci sono uomini pubblici che i social li usano oculatamente, in modo intelligente e produttivo, ma a noi interessano coloro che, invece, non hanno la più pallida idea di cosa può significare un uso distorto di questi strumenti.

Procediamo con ordine precisando che la vicenda in questione è solo uno degli esempi che il mondo dei social media ci regala ogni giorno in fatto di sbracamento dei personaggi più o meno pubblici quando scrivono i loro post su facebook. Ce n’è per tutti i gusti. Sembra che per costoro la libertà di parola possa trovare piena attuazione solo nell’insulto, nella volgarità, nel grossolano doppio senso e che lo si possa fare solo sui social media. Compassati nelle loro attività professionali, irreprensibili nella loro vita familiare, quando, però, postano le loro riflessioni sui social sembrano come sdraiati sul divanetto dell’analista che consente loro di parlare a ruota libera e di riportare a galla le psicotiche rimozioni alla scoperta di compensazioni neurotiche di quotidiane frustrazioni di vita.

Ma torniamo alle domande iniziali. Un uomo politico, oggi, non può ignorare che la sfera pubblica si sia ampiamente dilatata tanto da ricomprenderne a pieno titolo i social media. Attraverso di essi oggi si promuovono iniziative culturali; si fanno campagne politiche, sociali e culturali; si lanciano appelli e consultazioni. Come può un assessore pensare che quello spazio su facebook possa considerarsi come un luogo privato dove si fanno quattro chiacchiere tra amici? C’è una grossolana incapacità di comprendere, quindi, l’evoluzione della sfera pubblica nella società della comunicazione. Non sarebbe una colpa grave per una persona qualunque, ma lo è per un uomo pubblico.

Le colpe anche gravi, però, si possono perdonare a patto di pubbliche scuse senza se e senza ma. Arrampicarsi sugli specchi con la giustificazione che qualcuno possa aver gonfiato la vicenda per usarla politicamente dimostrerebbe non solo inconsapevolezza della potenza dei social media ma addirittura inadeguatezza politica. Tutto questo, però, andrebbe bene se alla fine della fiera non ci fosse un nodo difficile da sciogliere a meno di non reciderlo con un colpo netto ritenendolo un arcaico inutile orpello. Passi per l’ignoranza sui meccanismi del web, ma come la mettiamo con l’etica? Al netto di ogni conoscenza sui processi comunicativi, può un assessore comunale, ovunque si trovi e comunque comunichi, pronunciare frasi così profondamente lesive della dignità delle donne? Come può un’amministrazione co-munale, che ha nel suo seno un assessore sessista, dotarsi anche di una commissione per le pari opportunità?

Domande a cui andrebbero date risposte: il silenzio, le prese di distanza a metà o peggio le giustificazioni pelose finiscono per elevare i vizi privati a pubbliche virtù.

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