CHI CEDE, CHI RESISTE
Erano meglio i genitori di un secolo fa? O meglio quelli d’anteguerra? O i migliori in assoluto sono quelli dell’anno del Signore 2021? Potremmo stare ore a parlare delle differenze fra ieri e oggi ma dovremmo bandire subito la nostalgia. Perché il tempo tutto trasforma e scolora. E proietta il passato in una lontananza rosea quando tutto andava bene e sembrava perfetto. Forse non tutto andava bene però c’erano dei limiti invalicabili, una specie di colonne d’Ercole che non si poteva oltrepassare.
Se riguardo indietro mi accorgo che la famiglia poteva anche dire “no”. Ed era un “no” indiscutibile, non c’erano soluzioni alternative o vie di mezzo. “No”, era no.
Siamo passati da un estremo all’altro, dalla negazione al permissivismo, dall’autorità alla discussione in un compromesso che simboleggia la di-sciplina elastica di oggi.
Nessuno sostiene che quel “no” fosse il miglior sistema pedagogico e tuttavia faceva dei genitori delle autorità indiscusse, un punto – sia pure sbagliato – di riferimento morale. Oggi – e con oggi intendo da almeno quarant’anni – sono radicalmente cambiati i rapporti fra genitori e figli, è nata una nuova filosofia educativa. Non si dice più “no”, ma si discute, si esamina assieme il problema. Al confronto è succeduta la collaborazione, al divieto la responsabilità personale. Certo, sarebbe meraviglioso se questa fosse la realtà odierna del rapporto genitori-figli. La verità, la verità vera, è che i genitori hanno ceduto su tutta la linea e al “no” di un tempo è succeduto il “sì”. Si perde meno tempo, non si è accusati di essere all’antica, si sceglie la strada meno impervia. “Sì” a ogni richiesta, a ogni progetto anche a ogni capriccio.
Non vedo più padri e madri che tengono il punto, che rivendicano la loro autorità. Semplicemente, cedono.
Conosco genitori che – giustamente – hanno detto “no” a un adolescente per l’acquisto di un motorino con la scusa che ci sono oggi troppi incidenti, spesso mortali. Ma che poi si sono piegati al “sì” perché così fan tutti. Vedo ragazzi tredicenni che vanno a cena da soli con amici che non si conoscono o dormono presso qualche compagno di scuola, da famiglie che si sono sentite solo al telefono. Nessuno vorrebbe dare questi permessi, tutti vorrebbero opporsi ma non ne hanno la forza e forse il prestigio, e battono in ritirata. Potrei citare il cellulare che ormai si dà assieme al biberon, ed è sul cellulare, sui tanti Instagram o Facebook che si cimentano le amicizie, spesso con persone sconosciute, contatti informatici incontrollabili che i genitori vorrebbero invece controllare. Però cedono.
Mi rendo conto che opporsi richiederebbe oggi un altro modello di famiglia, e mi pongo una domanda: siamo sicuri che quelle rare, rarissime famiglie autoritarie siano proprio fallimentari? Siamo proprio sicuri che siano simboli di valori ormai decotti? E poiché in questa rubrica mi piace portare solo esempi e non teorie, vorrei citare un caso. Un caso limite, certamente ma che invita a qualche meditazione. Un padre autoritario, anche manesco, allergico a ogni compromesso ha avuto tre figli. E noi che conoscevano la famiglia abbiamo pensato che questi figli sarebbero venuti su con tanti complessi. E invece contro ogni previsione sono stati tre figli modello, con splendide carriere internazionali, e ancora adesso ci chiediamo com’è stato possibile. Un caso, una rarità? Però mi sorge il dubbio che la politica del “sì” sia una strada lastricata di delusioni e fallimenti. Formare il carattere è la cosa più importante per l’avvenire dei figli e il carattere si forma nella disciplina. Diceva il Dalai Lama che “una mente disciplinata porta alla felicità e una mente indisciplinata conduce alla sofferenza”. Chissà se è vero ancora oggi.