“SOLO PAPA FRANCESCO SA PARLARE AL MONDO”
“Una delle poche figure che in questo anno e mezzo di paura terribile ha utilizzato un linguaggio chiaro e rassicurante – osserva l’infettivologo di fama mondiale – è stata quella del pontefice… Occorre prendersi cura di chi vive ai margini, al disoccupato dobbiamo dare un lavoro e non gli ansiolitici…”.
Mai nessun’altra cosa, come questa funesta pandemia, ha messo a nudo le tanti e pesanti diseguaglianze del nostro pianeta. In maniera per nulla “democratica”, infatti, il Covid-19 ha allargato ancor di più la forbice esistente tra il mondo ricco e opulento e quello povero e fragile. Cure e assistenza nel Sud del pianeta Terra rappresentano un miraggio. Qui i poveri diventano sempre più poveri, guerre e violenze sono all’ordine del giorno e le popolazioni, ormai allo stremo, fuggono dalle case di melma e di cartone in cerca di granelli di speranza.
Tanti pagano per le colpa di pochi, quelli che hanno messo in piedi un sistema profondamente ingiusto. E naturalmente egoista. Eppure basterebbe poco per eliminare tante iniquità, magari alzando lo sguardo e rendersi conto che ogni vita è uguale alle altre, che tra il non avere l’essenziale e il vivere nel superfluo c’è una grande differenza. Tra le cose essenziali rientrano anche i vaccini, che in questo momento rappresentano l’unica via per uscire dall’inferno.
Aldo Morrone, apprezzato direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano di Roma, infettivologo di fama mondiale e professionista dalle grandi doti umane, oltre trent’anni fa ha scelto di fare un ulteriore passo che desse valore alla sua vita. Stare dentro la sofferenza reale accettando tutto ciò che essa propone. E quindi sensibilizzare l’attenzione, di pubblico e istituzioni, verso chi vive ai margini della società, chi non ha denari e voce, ma tanta dignità e amore per la vita.
Oltre a essere direttore scientifico anche dell’Istituto Internazionale Scienze Mediche Antropologiche Sociali (Iismas) e fondatore della rivista International Journal of Migration and Transcultural Medicine, il professor Morrone è infatti coordinatore e responsabile di numerose missioni clinico-scientifiche in Africa, India, America Latina e Asia Sud-Orientale. Professore di Igiene all’università RomaTre, di Dermatologia Tropicale all’università Sapienza di Roma, è anche Visiting Professor alle università di Addis Abeba e Rio de Janeiro nonché consulente su Salute e Povertà dell’Ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità. Potremmo continuare ancora a lungo a sbirciare il suo ricco curriculum, ma chi è capace di condividere i bisogni degli ultimi facendo diventare il quotidiano un disegno che soddisfa chi lo compie e nello stesso tempo essere d’aiuto e conforto a chi ti tende la mano, non necessita di ulteriori parole e nastrini.
Questo tempo pandemico ha portato nel mondo tanti lutti e dolori, ma proprio le persone che hanno più bisogno di aiuto sono quelle in grado di trasmettere forza, anche alla ricerca scientifica e agli operatori sanitari. Come l’attesa di chi aspetta un farmaco, magari anche solo per vivere la sofferenza e la malattia con tanta dignità.
Professor Morrone, dopo un anno e mezzo siamo in grado di quantificare i danni causati dalla pandemia, soprattutto dal punto di vista sociale?
No, non è possibile… Tutte le componenti economiche, sociali, culturali, scolastiche e produttive sono state stravolte da una pandemia che sta cambiando completamente il nostro pianeta. Potremmo dire quanti milioni di posti di lavoro abbiamo perso, quale aumento dei fenomeni di impoverimento ha prodotto, il numero delle persone malate, quelle contagiate e quelle purtroppo decedute, il tutto attraverso la lettura delle cifre proposte dai vari siti dell’Organizzazione mondiale della sanità. Su tante altre cose, però, non possiamo esprime certezze o numeri precisi. Ad esempio non sappiamo ancora cosa accadrà alle persone che sono guarite dal virus. Per capirci parliamo della sindrome long Covid, cioè degli effetti collaterali dopo la guarigione dall’infezione.
Lei ha definito il Covid-19 il virus delle diseguaglianze…
Proprio così. Questo virus ha squarciato il velo di ipocrisia del nostro pianeta dove si continua a fare beneficenza senza cercare un principio di giustizia sociale. Ha messo a nudo le differenti condizioni economiche e sociali tra i paesi impoveriti e quelli arricchiti. In pratica ci siamo resi conto che questa epidemia si diffonde più facilmente nei paesi più poveri. C’è voluto papa Francesco a ricordarci che “nessuno può salvarsi da solo da questa pandemia”. Perché anche se dovessero rimanere nel pianeta pochissime decine di persone in uno stato ancora contagioso, potrebbero diffondere nuovamente la malattia a tutti.
La disparità, oltre all’accesso ai vaccini tra paesi poveri e ricchi, riguarda purtroppo anche la possibilità di curarsi presto e bene…
La riforma sanitaria nazionale del 1978, a mio avviso, è stata la grande conquista, una delle migliori del mondo. Sottolineava l’importanza di creare per tutti, indipendentemente dalle condizioni sociali ed economiche dei cittadini, un soddisfacente servizio socio-sanitario nazionale. Prima del 1978, infatti, in Italia c’erano le mutue che di fatto creavano una certa disparità…
Esattamente. I cittadini economicamente forti avevano mutue che rimborsavano tutto e offrivano servizi buoni. I poveri, invece, erano assistiti solitamente dall’Inam, un’assistenza sanitaria di basso profilo. La riforma sanitaria, invece, ha detto finalmente che tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla salute. Quindi partendo dall’articolo 32 della Costituzione si arrivò a una splendida riforma. Fu creato il Servizio socio sanitario nazionale e quindi le Ussl (Unità socio sanitaria locale) Successivamente, però, si trasformarono in Usl (Unità sanitaria locale) e poi in Aziende sanitarie locali. Nel tempo, dunque, si è persa tutta la componente sociale, culturale e se mi consente anche spirituale delle persone malate.
Da cosa deve ripartire, dunque, il nostro sistema socio sanitario per guardare al futuro con maggiore fiducia?
Bisogna mettere al centro le persone più fragili, le più vulnerabili, individuando le varie categorie. Le persone anziane, le persone che non hanno un lavoro, le persone che vivono per strada, le persone che hanno una condizione di irregolarità, le persone malate. Solo garantendo la salute e la dignità di queste persone potremmo garantire la salute e la dignità di tutti gli altri. Attenzione, non si tratta di solidarietà o di bontà, ma di una politica intelligente socio-sanitaria. Ad esempio, anziché fornire inutili ansiolitici a chi ha perso il lavoro sarebbe meglio provare a trovargliene un altro… E quindi ricollocare queste persone in un percorso di integrazione socio-sanitario che recuperi la loro dignità e la loro salute.
Rispetto alle pandemie ed epidemie del passato, penso alla Spagnola e all’Aids, cosa contraddistingue il Covid-19?
La velocità. Una pandemia terribile che nel giro di pochi mesi ha contagiato l’intero pianeta, sempre più piccolo e interconnesso. La velocità che non c’era, ad esempio, ai tempi della Spagnola e neanche a quelli dell’Aids, essendo quest’ultima una malattia che si diffondeva in particolare, e non esclusivamente, attraverso i rapporti sessuali. All’epoca perdemmo tantissimi giovani che erano malati di emofilia proprio perché avevano fatto trasfusioni di sangue infetto. Ripeto, quello che colpisce del Covid-19 è la velocità per cui da un continente all’altro non ha bisogno di passaporto. Ride dei confini, dei fili spinati, delle sbarre…
Tra le tante fake news girate sotto la pandemia, quali ritiene siano state le più pericolose?
Intanto quella secondo cui si trattava di un virus nato in laboratorio e che qualche pazzo avesse messo in giro per scopi e interessi personali o di gruppo. L’altra, poi, per me la più deleteria, che si trattava di una malattia banale come il raffreddore e l’influenza – patologie che tra l’altro non sono per nulla banali – e che quindi sarebbe scomparsa da sola. Queste fake hanno fatto sì che noi ponessimo attenzione con ritardo a questa pandemia. E mi riferisco anche ai rappresentanti istituzionali di molti Paesi. Un ritardo molto grave.
Lei che con progetti umanitari e di volontariato ha trascorso diverso tempo in India, ci spiega il paradosso di questo paese? Il principale produttore mondiale di vaccini, ovviamente in gran parte su licenza, costretto a bruciare in strada le vittime del Covid-19…
Ha detto proprio bene, direi che siamo dinanzi a un doppio paradosso essendo l’India anche uno dei più grandi produttori al mondo di farmaci. Ad esempio tutti i farmaci che utilizzo in Africa sono prodotti in India e hanno dei prezzi sostanzialmente più bassi rispetto a quelli prodotti negli Stati Uniti, in Giappone o in Europa. L’India è un paese che ha vissuto una povertà estrema, ricorderà che Paolo VI nel 1964, in occasione di una delle più feroci carestie in India, decise di vendere la tiara e tutto ciò che poteva aiutare quel popolo. È un paese meraviglioso sottoposto, però, a una colonizzazione selvaggia da parte della Gran Bretagna, che lo ha depredato di tutte le ricchezze determinando un’enorme classe povera. Negli anni successivi la classe media ha cercato di recuperare, però con grande fatica. Tutto ciò ha creato diseguaglianze spaventose tra ricchi e poveri che ho toccato con mano lavorando in diversi ospedali, dal Nord al Sud dell’India. Quando purtroppo i malati morivano e non c’erano familiari che potessero venire in ospedale, il problema era come realizzare una pira, cioè fare il funerale bruciando il corpo. Per farlo era necessaria la legna, di conseguenza chi era ricco poteva permettersi una pira diciamo sostanziosa che assicurava che il corpo venisse bruciato completamente. La maggior parte dei poveri, però, – spesso era lo stesso ospedale che cercava di racimolare un po’ di legna – avevano pire piccole e di conseguenza per strada rimanevano frammenti di cadavere, con una condizione igienico sanitaria drammatica…
Attualmente come procede la distribuzione dei vaccini ai Paesi più poveri? Si parla solo di un misero 0,3 per cento…
Parlerei di situazione drammatica. Da tempo lavoro anche in Africa, in particolare in Etiopia e in Eritrea dove recentemente c’è stata una guerra sanguinaria. Stupri e violenze di ogni genere che hanno portato la maggior parte delle persone a fuggire nel Sud Sudan. Tanto per dare la misura attraverso qualche numero, la Cina ha somministrato 354 milioni di dosi, gli Stati Uniti 264 milioni, in Vietnam zero dosi, nel Sud Sudan 947e in Camerun 11 mila, che all’incirca coprono circa 5mila persone. Parliamo, dunque, del nulla. Il Sud del mondo è stato lasciato ai margini della distribuzione dei vaccini. Tra l’altro oltre a essere una vergogna è anche una stupidità scientifica. L’immunità di gregge non la raggiungeremo mai, però più persone riusciamo a vaccinare minore è il rischio della diffusione del virus. E ovviamente minore sarà anche la produzione di varianti che, un giorno, potranno non rispondere più ai vaccini…
Augurandoci che al più presto ogni abitante del pianeta possa aver accesso ai vaccini, occorrerà vaccinarsi ogni anno contro il Covid-19?
Attualmente non siamo ancora in grado di dirlo. Se il virus diventa endemico, e quasi tutti i coronavirus lo diventano, è probabile che si vada verso una vaccinazione periodica. Il virus potrebbe perdere una parte di virulenza, però per avere la certezza di contrastare la trasformazione in un virus sempre più aggressivo o che non risponda ai vaccini dobbiamo assolutamente vaccinare il più alto numero di persone. Noi, invece, nel mondo ne abbiamo vaccinate pochissime, senza considerare poi che in tanti paesi diventa complicato se non impossibile farlo. Se ad esempio, come l’esperienza purtroppo mi ha insegnato, non ho le strade, non ho i frigoriferi, non ho il personale, non ho un ospedale, come faccio a vaccinare la popolazione?
Come mai l’iniziativa Covax, nata per distribuire circa 2 miliardi di dosi entro la fine di quest’anno ai paesi poveri, sta incontrando difficoltà?
Parliamo di un’ottima iniziativa, una sorta di commercio equo-solidale. Poi, però, non tutti quelli che dicono di essere d’accordo sulla Covax lo sono realmente… A cominciare dalle industrie farmaceutiche, alcuni governi e fondazioni…
Il motivo?
Perché significherebbe non soltanto investire nelle dosi ma soprattutto nella formazione del personale locale: medici, infermieri, scuole, università, strade, infrastrutture. Se non metto insieme tutto questo il vaccino nelle aree più povere del mondo arriverà solamente in quelle urbane, ma nelle zone rurali, dove s’impiega un giorno per fare 200 chilometri, è chiaro che non arriverà mai…
In tempi di pandemia sarebbe naturale che la ricerca scientifica e tecnologica fosse condivisa in tutto il mondo. Perché, allora, non si sospendono temporaneamente i brevetti per i vaccini anti Covid-19?
Normalmente si dice che chi investe nella ricerca ha un rischio di impresa. È bene ricordare, però, che le imprese che stanno producendo e produrranno vaccini hanno tutti ricevuto i finanziamenti dai loro stati. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno investito su Moderna e Pfizer/ Biontech, la Gran Bretagna e l’Unione Europea hanno investito anche su altri vaccini. Ciò significa che per queste industrie il rischio d’impresa si è ridotto notevolmente: se il vaccino funziona guadagneranno, se non dovesse funzionare comunque hanno avuto i finanziamenti pubblici per la ricerca e quindi non ci rimetteranno nulla. A fronte, dunque, di vaccini finanziati dai singoli Stati attraverso i soldi dei cittadini, sarebbe giusto e opportuno sospendere temporaneamente i brevetti per consentire a tutti i paesi di poter produrre o di partecipare alla produzione dei vaccini e quindi effettuare una larga vaccinazione. Proprio come è accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale, quando si decise di produrre la penicillina che era determinata anche quella da industrie private ma che dinanzi alla morte di militari e civili si decise di sospendere momentaneamente il brevetto. E a Roma fu realizzata una grande fabbrica di penicillina, alla cui inaugurazione partecipò addirittura Alexander Fleming.
Qual è la posizione delle case farmaceutiche?
Lei sicuramente ricorderà che alla semplice notizia dello sviluppo dei vaccini e delle sperimentazioni che assicuravano risultati tra il 90 e il 95% di efficacia – anche se nessun vaccino ha il 95% nella realtà… – ci fu un enorme boom dei mercati finanziari. Molti amministratori delegati vendettero una buona fetta di azioni guadagnando milioni e milioni di dollari… È evidente, allora, che se metto a confronto il gran numero di morti per Covid-19 e chi in questa situazione non ha ritenuto corretto un guadagno giusto, puntando invece al massimo profitto, non c’è partita… Ecco perché occorre la sospensione temporanea dei brevetti.
Lasciando liberi i brevetti, si obietta, quanti e quali industrie sarebbero in grado di produrre vaccini?
Intanto liberiamo i brevetti temporaneamente… Anche l’Italia, che prima del disinvestimento sulla ricerca scientifica lo faceva, potrebbe cercare di produrre vaccini, anche su licenza, magari collaborando con altri Paesi. Credo sia la solita scusa per paura di vedere ridotti i propri guadagni. Sia chiaro, io sono favorevole al profitto, però a un giusto guadagno che si rapporti con la condizione di salute dell’intero pianeta. Parlo di sindemia globale (l’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici, ndr,) perché la situazione è veramente grave. Abbiamo perso milioni di posti di lavoro, tanta gente non ha più nulla da mangiare, e non parlo solo del Sud del mondo. Attraverso la collaborazione con altri colleghi lo scorso anno abbiamo creato la possibilità di eseguire i tamponi gratuiti ai senzatetto di Roma attraverso il supporto delle Elemosineria apostolica, del Comune e della Regione. Abbiamo fatto un gran lavoro di volontariato, siamo arrivati a oltre 4mila persone senza fissa dimora. Gente che, nella gran parte, fino allo scorso febbraio aveva un lavoro, una casa, una famiglia. Nel giro di tre mesi il Covid-19 li ha letteralmente buttati per strada, di colpo si sono ritrovati senza più un soldo in tasca e senza lavoro, bruciando in poco tempo tutti i risparmi.
A proposito di vaccini, cosa ne pensa di AstraZeneca?
È un buon vaccino, come lo sono Pfizer, Moderna, Johnson&Johnson e come lo sarà tra poco Curevac.
L’efficacia e la sicurezza sono legate a una determinata fascia di età oppure funziona su tutte?
Nessun vaccino è perfettamente sicuro così come non lo è nessun farmaco. Quando si dice, ad esempio, prendi una compressa di paracetamolo, per capirci una Tachipirina, oppure una compressa di Aspirina, io mi preoccupo comunque… Tutti i farmaci, infatti, possono avere degli effetti collaterali e reazioni avverse. Ovviamente i vaccini messi in commercio hanno una notevole efficacia e sicurezza, ma al 100% non esiste sicurezza. Ripeto, AstraZeneca è un buon vaccino ed è anche quello che costa meno. Ovviamente la campagna di comunicazione che si è avuta in questi mesi ha finito inevitabilmente di confondere il cittadino. La popolazione, infatti, bombardata anche da numerose fake news, si è trovata completamente sconvolta, impaurita. Tanti pazienti mi hanno scritto e telefonato semplicemente per essere rassicurati. Avremmo dovuto lanciare una campagna di sensibilizzazione maggiore. Purtroppo la classe sanitaria, la classe culturale e quella politica del paese hanno perso gran parte della loro autorevolezza. Una delle poche figure che in questo anno e mezzo di paura terribile ha utilizzato un linguaggio chiaro e rassicurante è stata quella di papa Francesco…