CHE PRIVILEGIO CAMMINARTI ACCANTO!
Questa pagina sarebbe stata la sua, ne avevamo parlato come sempre nella preparazione del menabò. In agguato, però, c’era un nemico subdolo che nel giro di poche ore ha portato via il nostro amato compagno di viaggio. Proprio così: padre Pierino Di Eugenio ha terminato i suoi giorni su questa terra a causa di una devastante emorragia cerebrale. Ci eravamo salutati un’ora prima, stavamo andando a pranzo e come sempre aveva qualcosa da fare. “Scappo via perché devo sistemare una cosetta di là, al santuario. Buon fine settimana lungo…, ci vediamo lunedì”. L’indomani, sul presto, dovevo andare a Roma per un’intervista e lui era venuto a consegnarmi la macchina fotografica digitale. Nel pomeriggio, infatti, non sarei tornato in redazione, mi ero preso il permesso per i colloqui scolastici di mio figlio. Poco dopo, però, da casa avevo sentito, forte, il grido disperato di un’ambulanza e successivamente la telefonata di un collega di lavoro mi aveva atterrito con la triste notizia. L’ho rivisto un paio d’ore dopo in ospedale, l’ossigeno al naso, due flebo alle braccia e lo sguardo della sofferenza. Non poteva parlare, ma credo mi abbia riconosciuto e salutato con gli occhi. Quegli occhi vispi e intelligenti che in serata ha chiuso per sempre. In quel momento il dolore si è impadronito della mia anima e come d’incanto i tredici anni trascorsi insieme hanno iniziato a rincorrersi, giorno dopo giorno, nella mia mente.
Davanti alla morte, si sa, la retorica è sempre a portata di mano, accompagnata a volte, ahinoi, anche dall’ipocrisia. Nel caso del mio direttore, però, nulla è costruito, tantomeno regalato… Se ne è andato un giornalista di grande spessore, un professionista dalla penna agile ed entusiasmante, pronto a cogliere e a raccontare in maniera mirabile ogni sfumatura della società. Se ne è andato un uomo sedotto dalla vita, rispettoso del prossimo, sensibile nel cuore e nella mente. Una persona sempre pronta a tendere la mano; alla sua porta bussavano in tanti e quando non doveva mettere le mani in tasca riusciva sempre a trovare una parola giusta per tutti. Se ne è andato un religioso come pochi, un autentico servitore di Dio, un innamorato di san Gabriele dell’Addolorata di cui quotidianamente ricordava virtù e insegnamenti. Un uomo di chiesa e della chiesa con le sue fragilità, proprie dell’essere umano, ma anche portatore di una fede granitica. Camminava assai lontano dal bigottismo e la sua modernità di pensiero e conoscenza in tutti i campi dell’umano sapere lasciava a bocca aperta. Nell’esercizio delle sue funzioni di religioso e di operatore dell’informazione poneva sempre al centro la persona.
“La chiesa ha pochissimi dogmi – mi ripeteva spesso – però a volte noi uomini di chiesa ce ne dimentichiamo assumendo atteggiamenti rigidi e bacchettoni che nulla hanno a che fare con gli insegnamenti di nostro Signore. Basta poco, infatti, per rendere felice una coppia di sposi, oppure dei genitori che vogliono battezzare o avvicinare all’eucaristia il proprio figlio. Viviamo in un mondo dove aumentano agnostici e atei, persone che non credono in Dio perché non si sentono coinvolti da questa presenza. Sta a noi allora avvicinarli e non allontanarli ulteriormente con prese di posizioni quantomeno discutibili”. Parole sante, le stesse di papa Francesco di cui era un entusiasta sostenitore. Lui ha sempre celebrato i sacramenti come atti di preghiera e di incontro con il Signore. Lui, sempre nel rispetto delle gerarchie ecclesiastiche, ha avuto come aratro il buonsenso raccogliendo nella missione di apostolo di Dio frutti in abbondanza. Non c’è un solo parrocchiano che non si sia innamorato del suo modo di fare chiesa, che non abbia toccato con mano cosa significhi veramente mettersi al servizio degli altri. Essere sacerdote vuol dire diventare amico di Gesù, donarsi totalmente a lui senza se e senza ma. Cosa che il mio direttore ha sempre fatto.
Con lui la rivista, nel solco già tracciato dallo storico e apprezzato direttore padre Ciro Benedettini e poi dall’altrettanto stimato e professionale successore padre Vincenzo Fabri, ha assunto grande autorevolezza nel panorama dei periodici italiani e dell’informazione in genere. Non un giornale impregnato di sagrestia, bensì una rivista moderna e sempre più vicina ai problemi e alle aspettative delle gente e di una società spesso irrequieta e in continua trasformazione. Con la gente e tra la gente, senza tabù e colorazioni politiche, ma solo con l’obiettivo di informare e, possibilmente anche formare.
È naturale, allora, che il distacco da una persona del genere lasci un vuoto incredibile dipingendo di tristezza i ricordi e caricando d’ansia la quotidianità. Noi cristiani, però, sappiamo che ci aspetta la vita eterna, proprio lì dove già si trova, ne sono certo, il mio direttore. Allora via le lacrime, via la tristezza, via ogni ombra e paura. Custodendo le sue parole di verità e i suoi insegnamenti sarà sempre presente in mezzo a noi.
Addio direttore, addio maestro di vita. Che privilegio averti avuto vicino in un tratto lungo e importantissimo della mia vita professionale, di marito e di genitore. Noi tutti de L’Eco ti salutiamo e ringraziamo con infinito amore, come anche i tanti lettori e i tuoi numerosi estimatori.
Riposa in pace nella luce del Risorto.