ATENE METTE IN CRISI LA POLITICA DI AUSTERITà

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 28 Febbraio 2015

Democrazia è una parola greca, non latina, araba o anglosassone. L’Europa sen-za la Grecia perderebbe una delle sue radici storiche. è questa la ragione per la quale i cittadini dell’Unione Europea si devono rallegrare per il fatto che i recenti vincitori delle elezioni elleniche non abbiano espresso intenzioni di rottura o di scissione, ma semplicemente la volontà politica di trattare i loro problemi non come sotto un mandato coloniale, restando nella comunità. La vittoria del partito Syriza (gli è mancato un seggio per la maggioranza assoluta) e del suo leader Alexis Tsipras è un colpo d’orgoglio e al tempo stesso un manifesto di protesta del popolo greco per una gestione molto mercantilistica da parte dell’Ue.

La crisi viene da lontano e vi si innescano interessi di piazze borsistiche, di banche d’affari, di strutture di potere economico multinazionale, comprese quelle che distribuiscono criteri di credibilità finanziaria (e alle quali si può chiedere: “chi c’è dietro?”). Una crisi che è stata scaricata sui più deboli: non soltanto la Grecia, ma anche il Medioriente, numerosi paesi d’Africa, d’Asia e d’America latina. Si spiegano così (anche se si preferisce glissare dinanzi a realtà spiacevoli) le guerre, le rivolte, le stragi, le tensioni civili, spesso mascherate sotto motivi religiosi, mentre – è cronaca – aumentano le ricchezze di “pochi felici” e si allarga l’area della povertà.

In Europa è stata chiamata “politica di austerità”. Soltanto pochi se ne sono avvantaggiati, attraverso un’accorta gestione di meccanismi politico-amministrativi che, per dirla con le parole di un nostro uomo di governo, misurano la lunghezza del pesce spada ma si disinteressano del migrante in fuga dai disastri. Certamente la Grecia ha qualche responsabilità per non aver controllato con accortezza flussi e crediti monetari; ma si ha anche l’impressione che gli altri non abbiano fatto molto per correggere l’andazzo. è opinione diffusa che il peso del debito greco sarebbe meno gravoso se non si fosse privilegiato il salvataggio di importanti banche europee.

Ora Atene si scrolla di dosso una sorta di protettorato che le era stato imposto forse al di fuori di legittime regole comunitarie (persino il parlamento europeo sembra dubitare della correttezza formale della cosiddetta troika e in proposito ha avviato un’inchiesta) e chiede di negoziare situazioni che rispettino la dignità e anche la fame di un popolo. Qui si proverà la capacità greca di fare politica e di esportare, in qualche modo, la protesta degli ultimi (come sta accadendo in Spagna). Per sollecitare, insieme con altri paesi europei, nella crescita l’elemento portante dello sviluppo dell’Unione.

I primi passi del nuovo governo sono diretti a ottenere una più lunga rateizzazione del debito (oltre duecento miliardi di euro); ma si contesta e non si riconosce il protettorato appunto della troika, cioè Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Nei prossimi mesi si assisterà a un duro negoziato, che possiamo definire “di recupero”. Qualche segno di cedimento si avverte tra i fautori a oltranza dell’austerità, oltretutto messi in crisi da alcune mosse a sorpresa del presidente della Bce Mario Draghi, verso l’attenuazione del rigore.

Il successo di Syriza segna probabilmente un punto di svolta della politica europea, ed è sintomo di una maggiore attenzione (significative a questo proposito le posizioni dei governi italiano e francese) ai problemi della gente piuttosto che agli interessi delle banche e delle multinazionali. Forse a favore dell’Europa.

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