APPUNTAMENTO AL 2050

c’è da crederci...?
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 30 Giugno 2019

In un periodo in cui è difficile prevedere cosa accadrà alla nostra economia da qui a tre mesi, c’è chi si è preso la briga di azzardare una previsione fino al 2050! A cimentarsi in un’impresa che difficilmente potremo seguire nel suo evolversi trentennale, è stata l’agenzia di rating statunitense Moody’s che nel suo rapporto The World nel 2050 prende in considerazione le proiezioni per la crescita economica di 32 delle maggiori economie mondiali, le quali, insieme, rappresentano circa l’84 per cento del Pil mondiale. Le proiezioni indicano che la crescita media dell’economia raggiungerà poco più del 3% all’anno fino al 2050; entro il 2037 raddoppierà e nel finale triplicherà. Tuttavia, è previsto un rallentamento della crescita globale dopo il 2020, poiché il tasso di espansione della Cina e di altre grandi economie emergenti sarà regolato verso una maggiore sostenibilità a lungo termine e la crescita della popolazione dell’età produttiva rallenterà molte delle grandi economie.

Nel prossimo trentennio – sempre secondo la stessa agenzia – continuerà il cambiamento della potenza economica mondiale che si verifica nelle economie avanzate come quelle del Nord America, dell’Europa occidentale e del Giappone. Le proiezioni indicano che le nuove economie emergenti, come il Messico e l’Indonesia, saranno più grandi del Regno Unito e della Francia entro il 2030; Nigeria e Vietnam potrebbero essere le economie in più rapida crescita, mentre la Turchia potrebbe crescere più dell’Italia. Su questo aspetto legato a noi, in soccorso di Moody’s viene il sesto rapporto di BlackRock Global investor pulse, sondaggio su oltre 27.000 investitori tra i 25 e i 74 anni in 13 paesi, nel quale si analizzano salute e benessere finanziari e la modalità degli investimenti in un’ottica di medio-lungo termine.

Gli italiani vengono ancora considerati un popolo di risparmiatori: così, infatti, si definisce il 78 per cento degli intervistati, ben 9 punti percentuali in più rispetto alla media globale (69%), e leggermente oltre la media europea (76%). Se per “risparmiatori” si intende gente che prende pochi o zero rischi, e si accontenta delle briciole, la definizione calza a pennello. Inoltre, lo studio dice che il 75% degli italiani blocca in depositi bancari e risparmi il proprio patrimonio, contro il 66% in Europa e il 74% mondiale. Dal 2007 a oggi, la giacenza totale sui conti correnti italiani, calcolata dall’Abi, è salita da circa 1.000 a quasi 1.400 miliardi di euro. Un mare di soldi che non solo non finisce nel sistema produttivo, ma che non viene neppure remunerato dalle banche, visto che i tassi di interesse sono vicinissimi allo zero. Solo il 47% degli italiani investe i propri risparmi: più che nel resto d’Europa e meno del 55% medio globale. Chi investe lo fa in azioni (per il 24%), immobiliare (21%), obbligazioni (18%) e fondi monetari (12%). Quindi, la maggioranza degli italiani non ama il rischio e va avanti con i piedi di piombo. Un aspetto che, secondo Moody’s, sarà accentuato dal progressivo invecchiamento della nostra popolazione: oggi gli over 65 sono il 20 per cento, nei prossimi 21 anni diventeranno il 33 per cento. Ciò dovrebbe determinare una diminuzione di alcuni consumi quali il carburante, i viaggi anche in aereo, i pedaggi autostradali, l’abbigliamento, l’acquisto di case e di auto e la ristorazione. Questo perché – a giudizio dell’agenzia di rating – più si invecchia, meno soldi e voglia ci sono per consumare.

Sugli altri punti nessuno se l’è sentita ancora di controbattere, ma su quello della ristorazione la Federazione italiana dei pubblici esercizi (Fipe) ha subito contestato Moody’s sostenendo che già ora si nota la crescita di offerte di prodotti e servizi rivolti in particolar modo ai consumatori più maturi. Nella sua analisi, sostiene la Fipe, Moody’s non tiene conto del significativo cambiamento degli stili di vita nel nostro paese, con un numero crescente di persone che scelgono di consumare i pasti fuori casa e passare sempre meno tempo davanti ai fornelli. A questo proposito, l’ultimo Rapporto Ristorazione Fipe indica che gli italiani dedicano solo 37 minuti al giorno alla preparazione dei pasti, mentre il settore dei consumi fuori casa rappresenta il 36% della spesa alimentare totale, con un valore aggiunto di 43,2 miliardi di euro. Eventualmente, sarà necessario adeguare l’offerta alle esigenze e ai gusti dei consumatori d’età più alta che, tra l’altro, sono anche quelli che spendono di più.

Non sappiamo se fra 31 anni ci sarà qualcuno tra noi che si prenderà la briga di verificare se queste previsione risulteranno azzeccate. Nel frattempo, nutriamo un laico scetticismo anche per la natura delle agenzie di rating. E non siamo i soli. Per il presidente dell’Associazione per la tutela dei consumatori Adusbef, Elio Lannutti, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch sono un pericolo vagante per la sovranità degli stati in materia economica e finanziaria, emettono report a orologeria, visto che fra i loro soci ci sono le banche più importanti e potenti al mondo”. Più drastico il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi: a un magistrato della Procura di Trani che stava indagando proprio su Moody’s (poi prosciolta) disse: “Bisogna fare a meno delle agenzie di rating, sono altamente carenti e discreditate”. Per tutti gli altri, appuntamento al 2050.

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