ALTRE BARRIERE COSTRUITE NEL MONDO DALL’ECONOMIA E DALLA POLITICA

NEL MONDO
By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 2 Novembre 2014

Cadeva, il 9 novembre 1989, il mitico muro di Berlino che, per 28 anni, 3 mesi e 29 giorni, era stato un simbolo di di-visione non soltanto per l’Europa ma per il mondo. Un quarto di secolo è il tempo di una generazione e quel crollo resta una data-cerniera nella storia. Ci si illuse di essersi liberati da odiose barriere politiche, al punto che due paesi europei, sino ad allora artificiosamente uniti in un solo stato, la Cecoslovacchia, consentirono  in pace a una divisione che portò alla creazione della Repubblica Ceca e della Slovacchia, in seguito confluite nell’Unione Europea. L’ultimo decennio, tuttavia, contemporaneamente assisté a ricadute negative – che non sono state ancora completamente riassorbite – nelle guerre balcaniche, con le conseguenze sanguinose alle quali si è assistito prima di una faticosa ricomposizione degli equilibri.

Ma, per un muro abbattuto, da allora altri sono stati eretti o sono in via di costruzione. I mutamenti successivi al 1989 hanno condotto a una gestione cannibalica della finanza internazionale, nota come globalizzazione. Che sta restringendo, invece di favorirla, la libertà, non soltanto economica, di gran parte degli abitanti del pianeta: è sufficiente leggere i dati che registrano come un buon sesto della popolazione mondiale sia tuttora condannata alla fame, una autentica, drammatica fame.

Ed ecco che, qua e là, si mette mano alla costruzione di muri, contro i quali vana sembra la protesta di coscienze eticamente sensibili. Accade, per esempio, al confine fra gli Stati Uniti e il Messico, dove una cortina elettrificata serve a contenere la spinta immigratoria dai paesi latino-americani, con un bilancio di almeno cinquemila vittime nell’ultimo decennio (fra esse molti bambini), e che ha suscitato la protesta congiunta dei vescovi messicani e nordamericani.

L’erezione di ostacoli risponde a due tipi di motivazioni: da una parte stoppare il flusso di chi fugge da situazioni di invincibile miseria verso speranze, o illusioni, di un futuro migliore; dall’altra impostare una politica che, a torto o a ragione, respinga il “nemico”. Appartengono alla prima specie le recenti barriere fra Grecia e Turchia, fra Bulgaria e Turchia, fra India e Bangladesh. Quella greca, di poco più di dodici chilometri lungo il fiume Evros, serve a respingere la marea di fuggiaschi dalle guerre mediorientali; i trenta chilometri del muro bulgaro, appena terminato, sono destinati allo stesso scopo.

Sembra che l’Europa non abbia nulla da dire, cosa che del resto dimostra nella noncuranza con cui segue le vicende dei trasmigratori mediterranei che approdano in Italia, 130mila sino a oggi nel 2014, con 25mila annegati in un decennio. L’Eu, anzi, ha aiutato finanziariamente la Spagna a blindare i confini delle “enclave” spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla, per evitare che vi entrino i disperati d’Africa. Anche l’India – un paese in rapido sviluppo – si appresta a costruire una muraglia di quattromila chilometri che la separi dal vicino Bangladesh, fra i più poveri del mondo.

Dal punto di vista politico, sono di esempio le “recinzioni” israeliane attorno alla striscia di Gaza (si è visto con quali risultati) e in Cisgiordania: cinque chilometri di una barriera che, illegalmente, penetra all’interno del territorio palestinese, separando oltre un decimo degli abitanti dal resto della popolazione. E, ultimo nato, il muro alto sei metri che, in Egitto, per 320 chilometri cinge sulle due sponde il Canale di Suez: costerà 200 milioni di dollari ed è concepito come difesa dagli attacchi islamisti in provenienza dal vicino Sinai e che minacciano le navi in transito.

Tutto questo 25 anni dopo il crollo di quel muro berlinese definito “della vergogna”. E oggi?

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