UN SOSTEGNO ALLA LA VITA
Il servizio, nato nel 1994, offre un aiuto economico alla mamma per consentirle di portare a termine con serenità il periodo di gestazione, accompagnandola nel primo anno di vita del bambino. Un’idea in più per collaborare con gli oltre 331 Centri di Aiuto alla Vita che offrono in tutta Italia accoglienza alle maternità più contrastate
I detenuti del carcere di massima sicurezza di Nuoro. Gruppi di ragazzi del catechismo. Parrocchie. Familiari di una persona scomparsa. Interi condomìni. Consigli comunali, come quelli di Verona, Recco e Caravaggio. Coppie che si sposano e decidono di risparmiare sulle bomboniere e gli addobbi. Dipendenti di un’azienda. Sono i “papà” e le “mamme” dei bambini salvati dal Progetto Gemma. L’intuizione si fa strada nei primi anni settanta (la legge 194 sull’aborto arriverà nel 1978) tra gli attivisti del Movimento per la Vita (MpV) che vogliono creare una fondazione a sostegno dei Centri di aiuto alla vita (Cav) sparsi in tutta Italia. Spesso, infatti, sono proprie le difficoltà economiche che costringono le madri a non portare avanti la gravidanza.
Il progetto funziona in questo modo: un singolo o un’associazione s’impegna a sostenere una mamma per sei mesi prima della nascita del bambino e un anno dopo, versando 160 euro al mese, per un totale di 2.880 euro. In molti casi si tratta di raccolte di denaro tra amici quando ci sono occasioni speciali. I responsabili di Progetto Gemma (gli uffici si trovano nella parrocchia di Ognissanti, zona sud di Milano) raccolgono le segnalazioni che arrivano dai 331 Cav presenti in Italia. Giovani tentate dall’aborto perché sono completamente sole o povere. Madri che hanno già tre o quattro figli e non riescono a mantenerne un altro ancora. Il Cav propone alla donna un sostegno economico e Progetto Gemma crea l’abbinamento con il donatore. Esattamente quello che avviene in una pratica d’adozione. I sostenitori vengono poi informati sul neonato e ne seguono la crescita. Nel 2019 quest’iniziativa ha compiuto venticinque anni durante i quali sono nati ventiquattromila bambini, molti dei quali oggi sono già adulti.
Il progetto, infatti, è nato ufficialmente nel 1994 dal Movimento per la vita su idea, tra gli altri, di Silvio Ghielmi, che ne è stato il responsabile fino al 2002 e oggi è la memoria storica, e sviluppato attraverso la Fonda-zione Vita Nova di Milano. “Si capì subito che Progetto Gemma – ha spiegato Ghielmi – poteva fare la differenza in quel momento cruciale e drammatico della decisione tra il sì e il no ad accogliere un bambino. Non si tratta di una semplice offerta di denaro, non è carità, ma è la possibilità che una vita possa germogliare”.
In fondo, si tratta di una vera e propria adozione dove chi adotta può, se la madre lo consente, ricevere anche la foto del bimbo. Un segnale di speranza in un’Italia a natalità sottozero e dove nascono sempre meno bambini: “Nel 2018 – ha spiegato l’attuale responsabile di Gemma, Antonella Mugnolo – i bambini ‘salvati’ e aiutati a nascere sono stati 513, intorno al 2000 la media era di oltre un migliaio l’anno, con un’impennata durante il Giubileo. Merito anche di Giovanni Paolo II e del suo impegno per la vita nascente”. Dalla Fondazione ricordano ancora l’assegno di venticinquemila euro fatto pervenire da papa Wojtyla, poco prima di morire, al MpV, che l’allora presidente Carlo Casini decise di destinare interamente a Progetto Gemma: “Con quella somma – ricorda Erika Vitale, responsabile dal 2002 al 2012 – furono aiutate 10 donne, nacquero 11 bambini: due erano gemelli. Una mamma era polacca, aveva già in mano il certificato per l’interruzione di gravidanza. Quando seppe che ad aiutarla era il papa suo connazionale ne fu orgogliosissima”.
In anni recenti la crisi economica ha invece segnato una flessione nelle donazioni, tanto che, fa sapere Mugnolo, “nel 2015 e nel 2016 non siamo riusciti a far fronte alle richieste di aiuto ricevute e sono intervenuti i Cav”.
“Le donne che bussano alle porte di Gemma – spiega la responsabile – sono minorenni, ragazze madri ma anche donne sposate e madri di famiglia di ogni età. Un tempo per lo più straniere, oggi per metà italiane e per metà di altre nazionalità e religione”. I motivi per cui vogliono abortire sono la povertà ma anche gli uomini che le istigano a farlo: “Purtroppo l’aborto è diventato fai-da-te, ai Cav arrivano donne che hanno abortito più volte. Un elemento positivo è che spesso sono i consultori pubblici a indirizzare le donne ai Cav”.
Le storie di chi è adottato sono, più o meno, simili tra loro. Quelle di chi adotta un po’ meno. L’anno scorso, per esempio, un gruppo di detenuti del carcere di massima sicurezza di Nuoro, su suggerimento del loro cappellano, si è impegnato ad adottare una mamma e il suo bambino. “In fondo, è un modo – spiega Mugnolo – per chiedere perdono e riparare al male compiuto facendo sbocciare una vita, che altrimenti non avrebbe potuto vedere la luce, dopo averne distrutte altre con la violenza”.
Ma nella storia di Gemma i gesti di generosità sono tantissimi: dall’ingegnere milanese che offrì un lascito enorme a un altro benefattore che decise di sostenere 14 mamme, alla parrucchiera che raccoglieva le mance delle clienti, al gruppo di colleghi che metteva in una cassa comune l’equivalente di un caffè al giorno, alcune persone della parrocchia di Capriolo (Brescia) che hanno aiutato la madre in difficoltà e adesso ogni anno festeggiano insieme il compleanno del bimbo.
Poi ci sono storie dolorose come quella della ragazzina dodicenne rimasta incinta, atterrita dalla prospettiva di diventare mamma a un’età del genere: “Sua mamma e sua nonna – dice la responsabile – pensavano che la soluzione migliore fosse l’aborto, ma lei si è confidata con un’insegnante che ha coinvolto le colleghe ed insieme si sono rivolte al Cav locale. Gli operatori del Centro hanno saputo contattare con sensibilità e delicatezza i genitori e la nonna della ragazzina; un lavoro paziente e complesso ma che ha portato i suoi frutti: siamo potuti intervenire tempestivamente ‘salvando’ mamma e bambino”.
Di “intuizione geniale” parla Elisabetta Pittino, presidente regionale di Federvita Lombardia, che riunisce i centri e i movimenti per la vita della regione e conta in totale circa 120 realtà: “Fatta salva la tutela della privacy, se le mamme e gli ‘adottanti’ sono d’accordo, possono essere messi in contatto dopo la nascita del bambino. Progetto Gemma è accoglienza, amicizia, possibilità di cambiare in gioia e in festa quello che prima era solitudine e angoscia. Noi continuiamo a seguire le nostre mamme e posso dire che tutte sono felici di avere tenuto il loro bambino”.
In occasione del 25° del Progetto Gemma è stato istituito un fondo speciale per intervenire con aiuti straordinari e una tantum alle mamme in casi d’emergenza quali un’improvvisa perdita del lavoro, uno sfratto, una seria malattia del bambino che imponga cure costose o trasferimenti in ospedali.