UN POPOLO PROFETICO

By Carlo Ghidelli
Pubblicato il 30 Settembre 2017

L’espressione potrebbe suscitare qualche perplessità in chi non è familiare con il linguaggio del Concilio; una perplessità, però, facilmente superabile se pensiamo al sacramento del Battesimo nel quale siamo diventati figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo e membri della Chiesa.

Dobbiamo solo ricordare che la triplice dignità: profetica, sacerdotale e regale da Cristo direttamente viene partecipata, sia pure in modi e gradi diversi, alla Chiesa come nuovo popolo di Dio, a tutti i battezzati e ai ministri ordinati

Infallibile nel credere

È proprio questa l’affermazione che i padri conciliari adottano quando vogliono esprimere la verità di fede, che è sempre stata professata dalla Chiesa: “L’universalità dei fedeli che hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà che gli è peculiare mediate il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici, esprime l’universale suo consenso in materia di fede e di costumi” (n. 12).

Il carattere profetico dei fedeli laici si esprime e si manifesta soprattutto in questo: nel fatto cioè che essi, in piena comunione con tutti gli altri membri della Chiesa, vescovi compresi, ricevono dallo Spirito Santo una unzione speciale che consente loro di mettersi e di mantenersi in perfetta sintonia con quello Spirito che animò i profeti del primo Testamento, orientò lo stesso ministero pubblico di Gesù e assistette gli apostoli

È una verità consolante, questa, che ha da essere riscoperta e rivalutata: non tanto per una sorta di autocompiacenza dei fedeli laici verso se stessi e, tanto meno per una rivendicazione dentro la comunione ecclesiale, quanto piuttosto per una gioiosa partecipazione al carisma profetico, di cui il risorto Signore ha arricchito alla sua Chiesa.

I doni spirituali o carismi

“Inoltre, lo stesso Spirito Santo, non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù. Ma distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a Dio, dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere o uffici, utili al rinnovamento della Chiesa”.

Il chiaro ed esplicito riferimento al capitolo dodicesimo della prima lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto ci induce a fare qualche chiarificazione: i suoi doni il Signore risorto li distribuisce non per motivi personali o solo per la gratificazione di qualcuno, ma sempre e solo “per il  bene comune”, cioè per il bene della comunità di appartenenza e, quindi, della Chiesa intera.

Inoltre questi doni speciali o carismi ci sono dati dal Signore per renderci “adatti e pronti per varie opere o uffici” e questo significa che essi sono sempre accompagnati dalla grazia santificante e abilitante. Non sono dunque da considerare come semplici abbellimenti, provvisori e aleatori, ma come aiuti speciali a una Chiesa che, essendo pellegrina nel mondo, ha bisogno di stare sempre sotto la protezione del suo Signore.

Necessità del discernimento

Nei confronti dei carismi i padri conciliari suggeriscono due atteggiamenti: la gratitudine e il discernimento. “Questi carismi, straordinari o anche più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto appropriati e utili alle necessità della Chiesa, si devono accogliere con gratitudine e consolazione”. Compito nostro è anzitutto quello del ringraziamento al donatore.

In secondo luogo, viene la necessità del discernimento: “I doni straordinari però non si devono chiedere temerariamente…; ma il giudizio sulla loro genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a quelli che presiedono alla Chiesa, ai quali spetta specialmente non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono”.

Anche qui i padri conciliari fanno riferimento a una lettera di Paolo, la prima ai cristiani di Tessalonica (5, 12 e 19-21), là dove l’apostolo non si limita a mettere in guardia i responsabili di una comunità contro il  pericolo di “spegnere lo Spirito” e di “disprezzare le profezie”, ma positivamente li esorta a “esaminare ogni cosa e a tenere ciò che è buono”. È questo, secondo l’apostolo, il modo per vivere in pace, vivendo la pace come dono di Dio (v. 23).

 

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