SU LA TESTA, SIAMO L’ITALIA

By Gino Consorti
Pubblicato il 1 Marzo 2019

“C’è interesse a dipingerci un paese in ginocchio – osserva il noto e apprezzato giornalista e scrittore – e la fandonia più grande è quella secondo cui saremmo un paese deindustrializzato. Invece siamo la seconda manifattura d’Europa e siamo al vertice in molti settori, come le macchine utensili. Altro che pizza e mandolino…”

Siamo la settima economia mondiale e la seconda d’Europa dopo la Germania, però spesso, ce ne dimentichiamo. Il nostro patrimonio immobiliare vale 3,8 volte il Prodotto interno lordo, cioè 6.227 miliardi di euro, quindi 2,7 volte il nostro tanto chiacchierato debito pubblico. Anche in questo caso, però, le cifre passano inosservate… Per non parlare poi delle nostre bellezze paesaggistiche, i tesori d’arte, la varietà e la qualità del cibo, il clima… Tutto passa in cavalleria lasciando invece la scena al pessimismo e all’allarmismo nei confronti  di una nazione che, a detta di alcuni, danzerebbe sull’orlo del baratro. Proprio come l’orchestra del Titanic che seguitava a dispensare melodie mentre la nave s’inabissava nel buio dell’Oceano Atlantico… Ci dipingono così, soprattutto al di là delle Alpi, sventolandoci in faccia il debito pubblico più alto della cosiddetta Eurozona. Per carità, i numeri sono quelli e vanno assolutamente migliorati, ma le analisi attraverso cui effettuare una lettura corretta dicono ben altro. Ad esempio che la Francia, sempre pronta a ficcare naso e occhi in casa nostra, finanziariamente, e non solo, non ha nulla di cui vantarsi…

Sia chiaro, il nostro paese da anni, purtroppo da lunghi anni, deve confrontarsi con problematiche pesanti, su tutte la disoccupazione e le disuguaglianze sociali. A impoverirsi, infatti, come ci ricordano i vari indicatori economici, non è il paese Italia ma solo una sua parte. Non a caso su 28 paesi dell’Eurozona occupiamo la ventesima posizione nella classifica di equità. Le mense per i poveri e i centri di accoglienza per i senza tetto ogni giorno disegnano nelle grandi città, e non solo, serpentoni di disperati mentre c’è chi per una cena elettorale, ad esempio, paga fino a 30 mila euro… Questo è il vero cancro del nostro paese contro cui combattere senza tregua e con ogni mezzo possibile. Una disparità che mette dentro un po’ tutto: dalle tasse agli evasori, dall’accesso all’istruzione al diritto a curarsi.

Tutto ciò, comunque, non autorizza i nostri “vicini”, i fondi speculativi e qualche politico rosicone a disegnare scenari apocalittici con l’obiettivo di originare terrore nella popolazione. Anche un grande insospettabile come l’ex presidente del Consiglio Mario Monti, infatti, recentemente si è lasciato andare a un commento tutto sommato “morbido”. Il noto accademico ed economista germanofilo dall’inconfondibile loden di colore blu, oltre a definire il reddito di cittadinanza “cosa buona e giusta”, parlando della situazione economica attuale del paese ha affermato che “non è paragonabile a quella del 2011, quando si insediò il mio governo. Allora c’erano rischi gravissimi e imminenti. Oggi ci sono dei rischi gravi, ma meno imminenti…”. Insomma, basta con i luoghi comuni, spesso con targa estera…, gettati qui e là per screditare il nostro paese.

Su la testa, siamo italiani!!!

In questa direzione un invito forte e chiaro ci arriva da Francesco Bonazzi, che nelle scorse settimane ha mandato in libreria l’interessantissimo volume Viva l’Italia (Chiarelettere, prefazione di Antonio Maria Rinaldi). Giornalista e scrittore poliedrico, ha firmato libri e inchieste di successo grazie alla sua grande esperienza e conoscenza nel campo economico, finanziario, politico e giudiziario. Come ad esempio i due best seller Telekom Serbia. L’affare di cui nessuno sapeva e Prendo i soldi e scappo. Con assoluto rigore e padronanza della materia Bonazzi lancia una sorta di appello nel tentativo di sconfiggere l’economia della paura, e tutto quello che c’è dietro. Imparando, nello stesso tempo, “a pensarci come potenza economica, che può decidere il proprio destino e migliorare le condizioni di vita dei cittadini”.

Nonostante i suoi tanti impegni, grazie anche un “alleato” che lo ha costretto a casa per qualche giorno, Francesco Bonazzi ha raccolto il nostro invito con grande disponibilità. Lui d’altra parte è abituato a affrontare “nemici” molto più forti di una banale influenza…

Viva l’Italia… Perdoni l’insolenza Bonazzi, ma a cosa dovremmo brindare…?

A uno dei migliori paesi al mondo dove vivere. Dovremmo brindare a un paese con una storia, un’originalità, una bellezza, un clima, un paesaggio e una creatività senza pari. Ma almeno dal 2011, ovvero dal cambio di governo tra Silvio Berlusconi e Mario Monti, sembra che esista solo lo spread. Siamo affetti da Tafazzismo spinto (il masochismo tipico di Tafazzi, personaggio televisivo interpretato da Giacomo Poretti, componente del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, comparso per la prima volta nella trasmissione Mai dire Gol nel 1995, ndr), che però in un mondo dove gli stati competono tra loro commercialmente e sull’economia, per fortuna non con gli eserciti, diventa un modo per proiettare all’estero l’immagine di un paese di perdenti, gente che non è capace a fare nulla se non la pizza e il gelato.

Vuol dire che non ce la passiamo così male come dicono invece a Bruxelles e Francoforte…?

Esattamente. C’è interesse a dipingerci un paese in ginocchio…

Con quale obiettivo?

Vendere meglio le loro auto, le loro lavatrici, i loro aerei, i loro fondi d’investimento e le loro forme di previdenza integrativa. Quest’autunno, con lo spread a 350 punti nel pieno dello scontro con Bruxelles sulla manovra, Goldman Sachs, una banca d’affari americana e non europea, ha scritto con chiarezza che i fondamentali dell’economia italiana erano sani. Le banche d’affari Usa, in generale, non hanno interesse a deprezzare il sistema Italia. I nostri cari vicini di casa invece sì. E i capi di una banca francese in Italia, come Crédit Agricole, o di una banca italiana ma a guida francese come Unicredit, il cui amministratore delegato si chiama Jean Pierre Mustier, sono intervenuti più volte per dire che non vedevano un “rischio Italia”. Noi italiani pensiamo sempre che quando gli altri parlano male di noi siano imparziali o disinteressati.

A suo avviso quali sono i luoghi comuni che maggiormente danneggiano l’immagine del nostro paese?

Di noi si dice che la giustizia non funziona e se il socio italiano non ti paga, non rivedrai più i soldi. Purtroppo è abbastanza vero. Poi si dice che siamo un popolo di evasori, e anche questo purtroppo è molto vero. Poi si dice che siamo sfaticati e inaffidabili, e invece questa è una balla perché da noi si lavora moltissimo, anche per supplire a tutti gli ostacoli burocratici. Ma la fandonia più grande è quella secondo cui saremmo un paese deindustrializzato. Il grave è che ce la raccontano anche certi politici. Invece siamo la seconda manifattura d’Europa e siamo al vertice in molti settori, come le macchine utensili. Altro che pizza e mandolino.

Sul fatto che l’Italia abbia il debito pubblico più alto d’Europa credo, però, non ci sia nulla da obiettare. Sull’eventuale sostenibilità e le possibili conseguenze, invece, si assiste da tempo a un penoso teatrino politico…

Il nostro debito è arrivato, ormai, a 2.300 miliardi di euro, ovvero al 132% del Pil. Non è poco, ma ogni debito va valutato per la sua sostenibilità. Ovvero, bisogna chiedersi se l’Italia, alle brutte, sia in grado di far fronte al suo debito, anche a costo di fare una patrimoniale. Ebbene, per me la risposta è: ampiamente. Abbiamo una ricchezza finanziaria che, a fine 2017, Bankitalia misurava in 4.300 miliardi di euro. Mentre il patrimonio immobiliare era valutato in oltre 6.200 miliardi di euro. L’Italia non è solvibile, è molto solvibile.

Facciamo allora un po’ di chiarezza, soprattutto per chi non mastica economia e finanza… Come siamo arrivati ad accumulare questa montagna di debiti? E ancora: c’è qualcuno che se ne è avvantaggiato?

Innanzitutto non è vero, come è solito ascoltare, che il debito lo hanno fatto tutto i politici della cosiddetta Prima Repubblica. Diciamo che ne hanno fatto circa metà. Il debito esplode dopo il 1981, quando vengono separate le attività di Banca d’Italia e Tesoro. Senza la garanzia di via Nazionale che raccoglie l’inoptato (cioè non è stato esercitato il diritto di opzione, ndr), alle aste dei Bot e Btp il Tesoro si trova “ostaggio” delle banche e dei fondi esteri. Chi se n’è avvantaggiato? Basta vedere l’elenco delle banche che hanno venduto derivati a Via XX Settembre…

Nel libro, parlando del debito pubblico, punta l’indice anche contro l’eredità pesante di quelli che erano tanto europeisti…

Vede, adesso giustamente dobbiamo fare le pulci al governo Conte, a Matteo Salvini e a Luigi Di Maio, e facciamo loro l’esame di europeismo ogni santo giorno. Nessuno dice mai, però, che durante il mitologico governo Monti, dal 2011 al 2013, nonostante la manovra da 50 miliardi, il debito pubblico è salito del 12%. E nei quattro anni di gestione di Pier Carlo Padoan al Tesoro, il debito è aumentato di quasi 200 miliardi.

Qual è la differenza tra debito pubblico e debito aggregato? Secondo quest’ultimo dato, infatti, gli scenari sarebbero meno angosciosi…

Con il debito aggregato si aggiunge al debito delle pubbliche amministrazioni anche quello delle famiglie, delle banche e delle società. E qui, per esempio, balza agli occhi che un paese come la Francia è il vero malato d’Europa, con il 410% del debito aggregato sul Pil, contro il 350% di Spagna e Italia. Questo a Macron e a Moscovici, ogni tanto, i nostri politici glielo dovrebbero ricordare.

L’indicatore riferito alla casa di proprietà, invece, che futuro disegna? Se allarghiamo il confronto all’Europa il nostro paese come ne esce?

Il nostro patrimonio immobiliare è enorme e gli stranieri che vengono in vacanza in Italia, quando poi scoprono che l’80% degli italiani possiede una casa, a volte s’incavolano. È tre volte il debito pubblico, però non mi concentrerei su questo, perché magari c’è anche un po’ di bolla immobiliare e in caso di crisi la casa va giù. Io trovo impressionanti quei 4.300 miliardi di attivi finanziari: sono soldi liquidi, veri, magari frutto in parte anche di evasione, ma sono la vera garanzia del nostro debito.

Il debito graverà pesantemente sulle generazioni future… Ciò che sentiamo ripeterci quotidianamente rappresenta uno slogan politico oppure ha fondamenti di verità?

No, questa è un’altra leggenda metropolitana. Il debito grava sulle generazioni attuali, ed è per questo che va ridotto, perché dovendo pagare oltre 60 miliardi di interessi l’anno, ovviamente non si possono fare investimenti o costruire nuove scuole e nuovi ospedali. Due terzi del debito sono in mani italiane: questo vuol dire che se un settantenne oggi ha Btp per 40 mila euro, ne prende le cedole. Quando li lascerà a suo figlio, suo figlio avrà 40 mila euro. Quindi quando si divide il debito pubblico per 60 milioni di italiani, bambini compresi, e si racconta che ognuno ha 38 mila euro di debito pubblico sul groppone, si fa un’operazione scorretta e di puro terrorismo psicologico.

Alla luce di ciò, dunque, potrebbe non essere azzardato affermare che spesso il terrore economico si nutre di bugie…

No e nel libro credo di averlo argomentato in modo esauriente. Ma non perché io sia un economista. Dopo oltre 25 anni nei giornali ho imparato che un certo terrorismo sulle sorti dell’economia arricchisce sempre qualcuno. La gente vende le azioni e compra garage, oppure si indebita per comprare oro e diamanti. I risparmiatori perdono cifre considerevoli, e migliaia di persone perdono il lavoro in tutto il mondo, ma si convincono che la colpa è di sciagure globali. Delle quali, naturalmente, non è responsabile nessuno.

Ci fa un esempio?

Per restare ai giornali, prendete un qualunque quotidiano. Nelle prime pagine ti angoscia con diktat europei, spread “al galoppo”, banche che colano a picco e deficit pubblico “alle stelle”, anche se siamo in avanzo primario da praticamente vent’anni. Poi arrivi alle pagine economiche e partono i flauti: ecco le occasioni dei Pir (i Piani individuali di risparmio), si quota la tal azienda della new economy e sarà un successo, grandi aspettative sui titoli petroliferi, ecco le polizze che quest’anno guadagneranno di più…

Gli stati sono poveri perché hanno molto peccato… A cosa si riferisce  questo capitolo del libro?

Al fatto che gli stati, a cominciare dagli Usa, sarebbero troppo indebitati perché sarebbero stati di manica larga con i loro cittadini, ovviamente allo scopo di carpirne il consenso elettorale. Io invece credo che sia sempre necessario andare a vedere come sono stati spesi quei pubblici denari: sono andati in sprechi e mazzette o sono andati in ospedali e ricerca? E se, come in Italia, i privati sono più ricchi dello Stato, dobbiamo far finta che il paese sia povero? In realtà in Italia ci sono 5 milioni di poveri, ma di questo non si parla mai. Le diseguaglianze sono in aumento, ma nel dibattito europeo non ci si occupa di questo problema.

A proposito, l’Europa così com’è può essere considerata la cura ideale per i nostri “mali”?

Purtroppo così com’è è la causa di molti nostri mali… Non possiamo svalutare, non possiamo aiutare le nostre imprese in difficoltà, non possiamo difenderci da dumping fiscale e sociale, insomma dalla cinesizzazione in corso. L’Europa deve procedere immediatamente all’unificazione del-le aliquote fiscali e deve creare uno strumento di debito che garantisca il debito di tutta l’Eurozona, smettendo di lasciare i singoli paesi alla mercé del primo Soros che passa.

A maggio si terranno le elezioni europee, quali scenari pensa possano prospettarsi?

Premesso che non credo ai sondaggi, quantomeno a quelli che finiscono sui giornali, credo che si vada verso un pareggio a tre fra popolari, socialisti e cosiddetti “sovranisti”. Popolari e socialisti dovranno allearsi, ma il punto è se capiranno la lezione e invertiranno la rotta.

Che ne pensa del tanto discusso Reddito di cittadinanza? Il nostro paese è in grado di sostenerlo?

Un istituto del genere è presente più o meno in tutta Europa, salvo in Grecia. Non si capisce perché a noi andava vietato di farlo. Alla fine anche le famose coperture su cui ci hanno terrorizzato per mesi, ci sono ed erano solo 7 miliardi per il primo anno. Se funzionerà, non lo so. Diciamo che questo governo, al di là delle buone intenzioni, a volte non brilla per perizia. Certo, vedere quel che rimane della sinistra scagliarsi contro il Reddito di cittadinanza dei 5 Stelle è incredibile: è una cosa di sinistra e non si capisce perché non l’abbiano fatta loro.

Come si supera la disuguaglianza che oggi imperversa a 360 gradi nel nostro paese?

Questa è la domanda delle domande, ma non intendo cavarmela dicendo che non è un giornalista a dover indicare ricette. Intanto è importante parlarne. È fondamentale non chiudere gli occhi sulla povertà, specialmente su quella più dignitosa e complicata da cogliere. Come ad esempio i pensionati che non arrivano a fine mese e si chiudono in casa, i padri separati che vanno a mangiare alla Caritas per non sgarrare di un giorno sugli alimenti, gli ex appartenenti alla classe media che rinviano esami o cure mediche. Poi bisogna tornare a investire nella scuola.

A suo avviso dove dovrebbe indirizzarsi l’azione governativa per dare risposte concrete a una vera e propria piaga sociale?

Allora, il 12% di disoccupazione è inaccettabile e il 32% di disoccupazione giovanile è una bomba sociale. Non sento più parlare di una misura molto semplice e diretta come la riduzione del cuneo fiscale. Bisogna ridurre le tasse sul lavoro, ricordandosi che il lavoro lo creano le imprese private.

Nel 2017, secondo il Rapporto di Censis-Rbm Assicurazione Salute, la più grande compagnia italiana specializzata nell’assicurazione sanitaria, per raccolta premi e per numero di assicurati, 7 milioni di italiani si sono indebitati per la salute e, di questi, 2,8 milioni hanno dovuto usare il ricavato della vendita di una casa o mangiarsi i risparmi… Tanto per restare in tema, esiste una “ricetta” per migliorare le cose?

La nostra sanità pubblica, quasi interamente gratuita e di buon livello qualitativo, ci viene invidiata in tutto il mondo. Noi invece siamo capaci solo a parlarne male. Non solo, ne parliamo male anche con un certo strabismo pubblico-privato, con l’effetto che ci sono migliaia di cittadini che si accorgono di quanto sia pericoloso sottoporsi a certi interventi in strutture che magari hanno la boiserie (una decorazione basata sulla copertura delle pareti con pannelli di legno, variamente intarsiati, incisi e intagliati, ndr), ma poi non hanno il reparto di rianimazione. Dobbiamo smettere di tagliare la spesa sanitaria e dobbiamo ricordare al privato convenzionato lombardo o piemontese, giustamente orgoglioso dei propri standard, che li ha raggiunti con soldi pubblici.

Capitolo tasse ed evasione fiscale: dove mettere le mani?

Non credo che sia la crescente criminalizzazione del contante lo strumento più adatto. È evidente l’intento di “bancarizzare” quei 4 milioni di italiani che ancora sfuggono agli istituti di credito. Il sistema migliore è limitare le situazioni in cui due cittadini si possono alleare per ingannare lo Stato, come nel caso dell’Iva. E allora ci vogliono più detrazioni, per far sì che siamo tutti interessati a esigere la fattura. Poi, c’è molta evasione contributiva, ma gli ispettori del lavoro lamentano da anni di essere pochi e mal pagati…

Insomma, come dovremmo definire oggi l’Italia? Una nazione ricca e virtuosa oppure fragile e sull’orlo del baratro…?

La definirei una nazione ricca e incosciente. Una nazione dove basta percorrere la Padana superiore da Torino a Venezia e guardarsi attorno, per capire che non siamo solo il Festival del Cinema di Roma, Pitti Uomo e la Rai. Produciamo ed esportiamo in tutto il mondo tubi di acciaio speciale, robot industriali, turbine elettriche e sistemi frenanti. Pensiamo che se la Fiat chiude o se ne va, finisce il Piemonte, mentre invece resta un distretto dell’auto che da anni lavora per Wolkswagen e Toyota. Siamo la sesta, o la settima, a seconda delle categorie usate, economia del pianeta. Eppure viviamo in un sottofondo di piagnisteo continuo. L’Istat ci dipinge da anni come un paese in cui cresce l’egoismo, ma abbiamo un terzo settore e un volontariato commoventi. Insomma, se sapessimo venderci anche come paese, ovviamente senza negare i problemi, forse eviteremmo di farci fare la lezioncina di finanza pubblica da gente che si è formata sugli allevamenti di renne…

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