RITORNO ALLA NORMALITÀ?

By Gabriele Cingolani
Pubblicato il 1 Marzo 2022

Restano preoccupazioni, ma pare che il Corona-virus sia stato sottomesso. Continua a fare vittime fra i più deboli, ma possiamo gradualmente rallentare le difese e risentirci padroni della nostra vita, soprattutto godere della libertà. Dopo quarantene e isolamenti si attenua la morsa delle restrizioni. I mesi di gennaio e febbraio sono stati pesanti per il ritmo dei tamponi a scadenze quasi quotidiane e l’incubo del contagio a ogni incontro e appuntamento.

Ne abbiamo sofferto tutti, forse soprattutto gli adolescenti, costretti a casa senza usufruire dei momenti significativi per il loro sviluppo, come lo sport, il gioco e la compagnia degli amici, con la scuola ridotta a spettacolo da uno schermo e i genitori accanto in smart working. Alcuni di loro, trovandosi in questi due anni nel momento cruciale della crescita, rischiano di interiorizzare solo questo genere di vita, e di credere che sia la norma.

Ma ora basta. Possiamo liberarci in gran parte delle mascherine che cancellano il sorriso e appannano gli occhiali. I giovani possono tornare a ballare anche in discoteca. Chi vuole può andare al cinema e al teatro anche se a poltrone distanziate e con obbligo di Ffp2. Persino l’utilizzo del green pass potrebbe essere eliminato prima del previsto.

Il senso di sollievo che ci investe è spesso descritto come ritorno alla normalità. Ma in che senso? Anche se il desiderio o il proposito fosse di tornare allo stile di vita anteriore, stesso modo di pensare, di agire e di relazionarci, questo non sarebbe possibile, perché in fondo la pandemia ci ha cambiato. Tornare alla normalità deve significare una normalità nuova, frutto delle modificazioni che hanno improntato la nostra esistenza. Se una prova come questa ci lasciasse più sprovveduti e infiacchiti anziché più esperti e fortificati dinanzi alla vita, o anche identici all’anteriorità, sarebbe una sconfitta del cammino umano.

Oltre ad attaccare il corpo, il virus ha inoculato dinamismi che non ci lasceranno in pace ogni volta che ci ritroveremo ad affrontare nuovi problemi. Saremo diversi, consapevoli della fragilità costitutiva e onnicomprensiva del nostro vivere. Più umili, perché abbiamo toccato con mano che anche le nostre sicurezze assolute sono precarie. Non pretenderemo che ogni cosa pensata e realizzata sia inattaccabile. Il senso del limite ci insegnerà a contentarci del possibile, senza illuderci di saziare con le cose la nostra sete di infinito. Avendo sperimentato in modo bruciante il bisogno di essere aiutati e di aiutare gli altri ci farà crescere nel senso di solidarietà e interdipendenza tra di noi. È un’esigenza di crescita umana che la storia di questi tempi ci sta imponendo, oltre che un comandamento cristiano.

La solitudine, l’isolamento forzato, la separazione dalle persone care ci hanno fatto riscoprire l’importanza di stare con se stessi e di percepire la propria ricchezza interiore. È l’ambito più prezioso e promettente per la maturità personale e sociale. La vera crescita umana non consisterà nel progresso della scienza e della tecnica ma nel godimento della propria ricchezza interiore e nell’estasi dell’immersione nel mistero. Mistero della vita come bellezza e amore, del dolore come dono di sé sino alla fine, che ci ostiniamo a chiamare morte.

Per un cattolico praticante non può significare solo tornare a frequentare i sacramenti, ma vivere una fede radicata nell’intimo, nutrita ogni giorno dalla preghiera spremuta dalla Parola di Dio, con culmine nell’Eucaristia festiva, e testimoniata nell’impegno coi fratelli e sorelle per costruire anche nell’esperienza della fede una nuova normalità.

Comments are closed.