RETI DI INDIGNAZIONI E DI SPERANZA
La gestione del terremoto de l’Aquila, che ha prodotto diversi scandali, ha causato problemi con l’Europa che si sono riverberati sul terremoto dell’Emilia Romagna. Parola di Mario Monti, professore emerito della Bocconi di Milano, nonché primo presidente del governo tecnico post Berlusconi. Nella ri-chiesta per i fondi per la ricostruzione dopo il sisma in Emilia, nei confronti dell’Europa – ha detto in sostanza Monti nell’ultima campagna elettorale – abbiamo dovuto pagare la mancanza di credito per l’Abruzzo, perché le notizie degli scandali erano arrivate anche a Bruxelles. È vero, le parole del professore sono state pronunciate in campagna elettorale; evidente quindi lo scopo di catturare consenso nella regione di Bersani. Ma come dargli torto di fronte a quanto avvenuto dal 2009 in Abruzzo per responsabilità dirette e indirette di chi ha gestito le fasi dell’emergenza e della ricostruzione? Prima le risate notturne degli avvoltoi, che pregustavano lucrosi banchetti sulle macerie; poi le inchieste sul summit mancato della Maddalena e sul G8 a L’Aquila; subito dopo la faccenda degli isolatori sismici non a norma e, per non farci mancare nulla, le truffette di chi ha pensato bene di approfittare della situazione per intascare illegittimamente qualche migliaia di euro in più del dovuto. Per finire, la ciliegina sulla torta: personaggi che non hanno trovato nessuna remora di ordine umano a trasformare la tragedia della Casa dello studente in set televisivi per scopi propagandistici.
Insomma, l’Abruzzo continua a fornire di se stesso pessime credenziali. Possibile che non si riesca a spazzare via dai nostri cieli questa cupa cappa di negatività che permane ormai da qualche lustro? È possibile che l’immagine di questa regione debba essere così profondamente deturpata tanto da rappresentare un paradigma di negatività a livello, addirittura, europeo?
Al fondo di tutte queste vergognose vicende – e al netto dell’italica abitudine a esercitare la furbizia quale suprema qualità umana – c’è un dato strutturale: il ceto politico dirigente fiaccato, nel passato recente, da scandali che hanno portato a un rinnovamento dello stesso su basi di assoluta improvvisazione e in alcuni casi di dilettantismo tanto da renderlo inconsistente e poco credibile. Una inconsistenza che ha prodotto vuoti di potere e, in alcuni casi, accentramenti abnormi di esso. Nell’un caso come nell’altro, per ragioni opposte e tuttavia convergenti, chi ne ha approfittato sono stati imprenditori d’assalto, burocrati di stato in cerca di trampolini nazionali per più redditizie carriere politiche, colonizzatori istituzionali smaniosi di collocare ogni risma di vicerè e alti funzionari in cerca di facili visibilità mediatiche. Forse dovremmo cominciare a interrogarci sulla nostra capacità, come cittadini, di saper scegliere il ceto dirigente regionale. Forse è giunto il momento di cominciare a creare una rete di discussione sui profili etici, prima ancora che politici, di una prossima classe dirigente regionale che sappia colmare le vistose lacune di autorevolezza e di destrezza dirigente; una rete di discussione in grado di veicolare e di far crescere, come un’onda sotto il soffio impetuoso del vento, l’indignazione e allo stesso tempo la speranza per restituire, fuori dalla consunta retorica della “terra forte e gentile”, dignità e volto all’Abruzzo. L’uso delle nuove tecnologie, di internet, ha dato la possibilità a milioni di persone di incontrarsi nella nuova agorà per discutere, protestare, proporre e valutare le scelte dei governanti; di far vacillare la politica quando essa non è stata in sintonia con i bisogni delle persone.
I social media, allora, sono un’occasione per le persone di entrare in contatto tra di loro nello spazio comune di idee nel quale ritirarsi e coordinarsi dando vita a una sorta di intelligenza collettiva. È utopia? Non proprio: i movimenti sociali hanno come essenza l’autonomia della comunicazione: la capacità, cioè, di relazionarsi al di là del controllo esercitato da chi detiene il potere. La rete c’è, la speranza pure, manca l’indignazione consapevole e organizzata, ma siamo sulla buona strada.