MEZZO SECOLO DI DITTATURA E FORSE UN FUTURO MIGLIORE

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 3 Gennaio 2017

 

Era morto politicamente dieci anni fa quando, nel 2006, trasmise il potere al fratellastro Raùl. Ma già allora Fidel Castro poteva vantare la più lunga sopravvivenza di uomo di stato nella seconda metà del XX secolo, 49 anni di permanenza al comando nella piccola Cuba (poco più di 11 milioni di abitanti oggi, 6 milioni nel 1959) che sfidava il vicino gigante americano. Il “comandante in capo”, il “lìder màximo” se n’è andato a 90 anni il 25 novembre scorso dopo aver governato con pugno di ferro, e non senza qualche crudeltà, sulla base di pochi, duri principii: partito unico, eliminazione degli oppositori, controllo della società. Così Cuba nella classifica mondiale delle libertà politiche e del mancato rispetto dei diritti umani è al numero 171 su 180 e condivide il “bollino nero” della repressione della stampa con la Cina, la Corea del Nord, l’Arabia Saudita e l’Uzbekistan.

Ciò non toglie che, sia pure sotto molti aspetti in negativo, quella di Castro sia una figura storica. Al tirar delle somme, il “triste caudillo dei Tropici” – come è stato definito da un giornale francese – può anche aver sottratto Cuba al destino di postribolo degli Stati Uniti (come era considerata sino al 1959), ma certamente lo ha fatto a caro prezzo: oppositori morti in prigione, torturati e fucilati, popolazione sottoposta a severe privazioni materiali, ogni forma di libertà di parola, di pensiero e di stampa cancellata, l’azione della chiesa ostacolata, i “deviazionisti” del regime processati e uccisi.

La dittatura castrista ha dovuto comunque venire a patti con la realtà: per esempio, tollerare negli anni 90 l’esodo di 40mila cubani fuggiti con battelli di fortuna verso gli Stati Uniti; trasferire di fatto alla chiesa la cura dei disabili, degli anziani, dei non abbienti, per aiutare i quali lo stato non disponeva e continua a non disporre di mezzi. Nonostante il vanto del potere di aver generalizzato l’istruzione, debellato l’analfabetismo e organizzato il miglior servizio sanitario di tutto il mondo latino-americano. Ma si tace, naturalmente, sui profitti dei gerarchi del “cerchio magico” castrista.

È certo comunque che, nelle vicende internazionali, Cuba abbia avuto un peso, a partire da quel 1959 in cui Castro sbaragliò un altro dittatore, l’impresentabile Fulgenzio Batista. E poi nel 1961 quando fu sventato uno sbarco, sostenuto dagli Stati Uniti, di oppositori anticastristi nella Baia dei Porci, facendo fare agli americani una meschina figura. E ancora in occasione della cosiddetta “crisi dei missili”, quando nel 1962 si sfiorò fra Usa e Urss il conflitto nucleare. Ma l’Avana svolse un ruolo anche nel 1974 al momento della “rivoluzione dei garofani” portoghese, che mise fine alla dittatura dei successori di Salazar, e durante la guerra civile in Angola, le cui conseguenze si rifletteranno negli anni portando alla fine dell’apartheid in Sudafrica.

E se appare squallida l’esultanza, a base di balli, sbandieramenti ed esibizioni gioiose, degli esuli parcheggiati in terra americana, è altrettanto esagerata l’apoteosi decretata dal regime nell’elaborazione del lutto per il dittatore. Bisognerebbe chiedere, ma nessuno osa farlo, il parere dei cubani che non hanno partecipato – nel timore addirittura che qualcuno un giorno ne chieda loro conto – alle file dei dolenti in mesto corteo dinanzi alla salma del defunto capo. Anche se in molti sono convinti che con questa morte si chiuda definitivamente un capitolo della storia dell’isola e sperano che si apra un futuro migliore.

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