MA DOVE VAI SE LA FONDAZIONE NON CE L’HAI…

un vero e proprio boom
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 12 Luglio 2020

Nell’ultimo anno l’attenzione su questo fenomeno in crescita si è fatta pressante sia per l’apertura di alcune inchieste sia per la creazione di alcune strutture utilizzate come rampa di lancio per la nascita di nuovi soggetti politici

Se non hai una tua Fondazione, non sei un politico che si ri-spetti. Se, poi, non ne fai neppure parte, beh, allora vuol dire che non conti proprio niente. È così che per contare, negli ultimi anni da noi c’è stato un vero e proprio proliferare di Fondazioni o, come preferiscono definirle – perché fa più chic – un Think tank, che letteralmente vuol dire “serbatoio di pensiero”. In Italia lo si usa per indicare un centro studi, un centro di ricerca, un laboratorio d’idee, un gruppo di riflessione. Ma, nel caso della politica, un modo per creare e gestire il potere.

Le Fondazioni sono strutture importanti e agiscono in tanti campi: basti pensare a quella del Premio Nobel. Non sono una scoperta recente, negli Usa vanno di moda da oltre un secolo e mezzo, anche se il primo Think tank nacque a Londra (Fabian Society, nel 1884). Il bello è che la politica l’ha scoperto relativamente da poco, più precisamente da quando è diventato complicato finanziare i partiti e chi lo fa desidera, nella maggior parte dei casi, non farlo sapere in giro. Ecco, attraverso una Fondazione uno può finanziare un politico, la sua attività, le ricerche sociali, culturali, antropologiche, economiche, storiche e via esplicitando. Più prosaicamente, può cercare di ingraziarsi le sue attività a beneficio della propria. Questo è quello che ormai sta diventando nell’immaginario collettivo il fenomeno delle fondazioni politiche. Think tank, fondazioni e associazioni sono ormai una costante della politica italiana. Strutture che grazie alla crisi dei partiti hanno trovato il modo di diventare sempre più centrali nelle dinamiche nazionali. Organizza-zioni che sono accomunate dal desiderio di essere dei forum in cui discutere e formare una nuova classe politica e dalla volontà di instaurare dei processi di elaborazioni politiche. Luoghi trasversali in cui politici, accademici, imprenditori e società civile si incontrano. Parafrasando Nanni Moretti: vedono gente, fanno cose e, soprattutto, i loro interessi.

Nell’ultimo anno l’attenzione sulle Fondazioni si è fatta pressante sia per l’apertura di alcune inchieste, sia per la creazione di alcune strutture utilizzate come rampa di lancio per la nascita di nuovi soggetti politici. Qualcuno, malignamente, ha ipotizzato che siano strutture attraverso le quali politici e imprenditori senza scrupoli tentano di aggirare le norme sul finanziamento dei partiti. Stiamo parlando di alcune decine di migliaia di euro, ma anche di alcune centinaia di migliaia, se non – addirittura – di milioni di euro, come nel caso di una famosa Fondazione che fa capo a un famoso politico, la quale, negli ultimi sette anni, grazie alle sue capacità di aggregazione e sviluppo di temi interessanti per lo sviluppo della società, è riuscita a raggranellare oltre 7 milioni di euro per finanziare le sue attività socio-culturali per il bene comune. Comunque, alla fine il Parlamento ha cercato di mettere ordine in questo settore attraverso alcune norme contenute nella cosiddetta legge spazzacorrotti. Sono considerate Fondazioni politiche se ci sono politici che abbiano ricoperto incarichi – da consigliere comunale fino a deputato europeo – negli ultimi 10 anni. In questo caso sono soggette alle norme in vigore per i partiti. Una speciale Commissione esaminerà se agiscano correttamente. E qui nascono i primi problemi. Dal rapporto Cogito ergo sum del 2020 elaborato da Openpolis, in collaborazione con Report, emerge che negli ultimi due lustri c’è stato un vero e proprio boom di Fondazioni nate con l’unico scopo di fare aggregazione politica o di preparare l’ascesa di qualcuno. E che sono migliaia le persone che ne fanno parte.

Le organizzazioni censite dal 2015 sono 153. I politici le utilizzano perché sono più snelle e meno controllabili rispetto ai partiti e consentono di entrare con maggiore discrezione in contatto con la grande industria, banchieri, manager pubblici, professoroni universitari, eccetera, eccetera. Una rete di relazioni che rappresenta la classe dirigente del paese. Tuttavia, quello che lascia sbalorditi è che, nonostante siano raggruppabili per aree politiche, a volte sembra di essere di fronte a una vera e propria “compagnia di giro” in cui figurano personaggi iscritti a più associazioni, anche di orientamento politico opposto, e che dividono incarichi e prebende tenendo conto solo dell’appartenenza “associativa”… Spesso queste persone le ritroviamo ai vertici di aziende pubbliche o in consigli di amministrazione di società a partecipazione pubblica, come, ad esempio Rai, Eni, Enel, Leonardo-Finmeccanica, Poste e Cassa depositi e prestiti. Pochi sanno che queste ultime sono “collegate” tra loro da un sottilissimo filo costituito da 35 individui che appartengono a 26 dei Think tank, fondazioni e associazioni censiti. Una lobby, una casualità, un modo di creare e gestire il potere? Chi può dirlo?

Riguardo all’orientamento politico, delle realtà censite, il 31,37% è riconducibile al centrosinistra, il 19% al centrodestra e il restante 17,65% è da considerare bipartisan. Quest’ultime, che svolgono principalmente attività di elaborazioni politiche, sono tenute insieme principalmente dal sostegno a determinati temi piuttosto che a specifici ideali. Si tratta di strutture che hanno bilanci abbastanza corposi e, addirittura, in molti casi ricevono anche finanziamenti da soggetti pubblici e ministeri. E che – lo ripetiamo – devono avere gestioni trasparenti. Eppure, solo l’8 per cento (oltretutto, tra i più piccoli) ha pubblicato l’elenco dei donatori privati e il 30 per cento pubblica i propri bilanci. Non proprio il massimo. E questo induce a fare qualche pensiero sgradevole. Si dirà: adesso con la legge e i controlli non sarà più così. Invece, no. Allargando i controlli a decine di migliaia di soggetti interessati, di fatto non sarà possibile controllare nessuno o quasi. Sarebbe bastato ridurre il numero ai pochi politici in carica o appena usciti dal Parlamento o dalle Regioni. Inoltre, è facilmente aggirabile anche la condizione per cui a tali Fondazioni vengono assegnati dalla legge spazzacorrotti obblighi di trasparenza: che uno su tre dei componenti dei loro organismi decisionali sia un politico. Un limite facilmente superabile: basta togliere i politici dai consigli di amministrazione e inserirli nei comitati tecnici. Oppure, è sufficiente che il politico annulli la sua iscrizione: in questo modo la Fondazione perde la veste politica e si sottrae alle norme della legge spazzacorrotti. Tanto, nei direttivi e nei cda lor signori ci mettono solo persone di assoluta fiducia o, se volete, delle teste di legno o prestanome.

Comments are closed.