MA CON QUALI “OCCHIALI” GUARDI LA REALTà?

siamo tutti comunicatori
By Ciro Benedettini
Pubblicato il 30 Aprile 2017

Non cadere nella logica che il bene non faccia presa, concedendo al male il ruolo di protagonista nella società, ingenerando l’impressione che sia invincibile. Il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: “Comunicare speranza e fiducia” non significa manipolare la realtà, nascondendo le cattive notizie, ma adottare la chiave interpretativa del seme che cresce in silenzio, nascosto allo sguardo superficiale

Fino a una quindicina di anni fa comunicavano sui media solo i giornalisti ed erano guardati con timore riverenziale. Oggi tutti, o quasi tutti, siamo diventati comunicatori, cioè “giornalisti”. Non sono forse comunicatori i quasi 2 miliardi di utenti di Facebook che ogni giorno generano una media di oltre 4 miliardi di messaggi? E il miliardo di utenti di Twitter non scambiano forse informazioni? Cos’altro succede su Whatsapp? La rivoluzione digitale ha ridotto, anzi confuso, i confini fra comunicatori e fruitori della comunicazione, fra giornalisti e lettori/ascoltatori/spettatori. Spesso imprechiamo contro i giornalisti che “dicono solo bugie”! Pensiamoci, forse ci siamo dentro anche noi!

Si muove in questa logica inclusiva il messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebra in tutta la Chiesa Cattolica il 28 maggio prossimo dal titolo Io sono con te (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo. Si apre con un paragone mutuato da un monaco del V secolo, Cassiano il Romano: La mente umana è come una macina da mulino che, mossa dall’acqua, gira e gira e non si ferma mai (la scienza moderna conferma). Il responsabile del mulino non può fermare il movimento, ma può decidere cosa macinare: Può mettere buon grano o della zizzania. Conclude il papa: “Vorrei incoraggiare tutti i comunicatori che macinano tante informazioni a offrire un pane fragrante e buono a coloro che si alimentano dei frutti della loro comunicazione”. Cosa mettiamo su Facebook o Twitter? Buon grano o robaccia?

Anche chi non ha studiato giornalismo forse si è incontrato con il detto anglosassone Bad news is good news e cioè una cattiva notizia è una buona notizia (Umberto Eco traduceva: Sbatti il mostro in prima pagina!). È un’affermazione cinica ma ha una sua perversa verità. Le cattive notizie interessano, attirano l’attenzione più di quelle buone e allora i giornalisti (o comunque i gatekeepers, che hanno il controllo della scelta del flusso delle informazioni) le preferiscono a quelle buone sapendo che hanno un alto indice di gradimento da parte del pubblico, il quale spesso scuote la testa, ma è morbosamente attratto da esse. E così una cattiva notizia (cronaca nera, guerre, terrorismo, scandali e ogni tipo di fallimento nelle vicende umane, possiamo aggiungere le fake news, le notizie false, di cui tanto si parla in questi giorni) diventa “buona” per i proprietari dei media non per una “conversione” morale ma perché garantisce un maggior gradimento del pubblico e quindi successo commerciale.

Cinico certo, ma così funziona il mondo dell’informazione, sia esso stampa, radio, televisione o internet, e così nei notiziari dominano notizie “cattive”. E così, spesso, non trova spazio la notizia positiva e rassicurante rafforzando, dunque, l’idea di una società dominata dal male in cui il male appare non solo attraente ma anche invincibile. In effetti, il male fa più rumore del bene, come allude il proverbio “Fa più rumore un solo albero che cade che un’intera foresta che cresce”. Ed è tanto più vero oggi che siamo nell’era dell’informazione, che ha moltiplicato sia i media, i canali di diffusione, che i comunicatori, tutti sempre affamati di notizie e le notizie cosiddette cattive sembrano essere la scorciatoia più facile ed efficace.

È un “circolo vizioso – scrive il papa nel messaggio – frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle cattive notizie”. Per questo chiede “uno stile comunicativo aperto e creativo mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista”. Negare al male il ruolo di protagonista non significa nasconderlo: sarebbe non solo un “ingenuo ottimismo”, ma una vera manipolazione della realtà, un tradimento della verità. Il male c’è, come anche il bene, e non si può e non si deve negarlo. Quello che il papa chiede nel messaggio è che sia superata la “logica che una buona notizia non fa presa” (una logica dettata spesso dalla pigrizia e dall’apatia del giornalista).

In altre parole il papa chiede che il male non sia e non appaia la chiave interpretativa prioritaria della realtà. Infatti la notizia non è, come a volte ingenuamente si crede, la fotografia o lo specchio della realtà, ma una interpretazione dei fatti, filtrati dalla cultura, a volte dallo stato d’animo, dell’osservatore/comunicatore. La notizia dipende in gran parte dalle lenti con cui si guarda la realtà, dagli “occhiali” che si indossano. Se gli occhiali sono scuri, tutto diventa negativo, se sono chiari si possono vedere i particolari, le sfumature, la complessità della realtà, e magari anche il bene nascosto.

Domanda il papa: “Da dove possiamo partire per leggere la realtà con gli occhiali giusti?”. Per il cristiano la “buona notizia” per eccellenza è Gesù Cristo e partire da questa buona notizia significa guardare il mondo e gli altri con la “logica dell’amore”, la logica del seme nascosto agli sguardi ma che muore per dare nuova vita, la logica del lievito che fermenta tutta la pasta, la logica della buona notizia “ristampata” in tante edizioni quante sono le vite dei santi, la logica della Pasqua che anche nei drammi più oscuri della storia fa scorgere la buona notizia presente in ogni realtà e in ogni volto e la vittoria definitiva, nonostante le apparenze, del bene e dell’amore.

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