LA VIA DEL MARE

By rosanna virgili
Pubblicato il 1 Luglio 2021

Tre cose sono troppo ardue per me, anzi quattro, che non comprendo affatto: la via dell’aquila nel cielo, la via del serpente sulla roccia, la via della nave in alto mare, la via dell’uomo in una giovane donna” (Pr 30,18-19). Quattro sono le vie della vita che tutti percorriamo: quella che sale nell’aria, quella che si inabissa nella terra, quella che solca le acque del mare, quella dell’amore. La Bibbia non è legata al mare con la frequenza dell’Odissea o di Moby Dick ma non può certo fare a meno della sua “via”. Specialmente nel Nuovo Testamento: “Terra di Zabulon e terra di Nèftali, sulla via del mare oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta”. Gesù cita le parole messianiche di Isaia (cf 8,23-9,1) mentre si compiono in lui. Regioni situate nella Galilea delle genti sono le fortunate, le prime ad accogliere la luce.

Dal mare all’asciutto

Questa via è colma di una memoria di risalite, rinascite, uscite a nuova vita. Impossibile non pensare al Mar Rosso, attraversando il quale, gli ebrei da schiavi diventarono liberi. “Il Signore disse a Mosè: Stendi la mano sul mare Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli egiziani” (Es 14,27-30).

Da quel mare, color del sangue, Israele è partorito a nuova vita, mentre l’Egitto trova la morte; in esso si segna lo spazio sacro di Dio. Su quella ancestrale via del mare i “neonati” israeliti conosceranno il Dio di Mosè, come l’unico vero Dio. Il mare è simbolo del caos primordiale da cui rispunta l’ordine del mondo e che, pertanto, dev’essere protetto dentro un limite, come le acque dopo il diluvio, affinché non tornino a sommergere la terra. Compito dello stesso Creatore il quale, insieme alla Sapienza “stabiliva al mare i suoi confini sicché le sue acque non oltrepassassero la spiaggia” (Pr 8,29-30).

Terra e mare

Ecco il mare spazioso e vasto: là rettili e pesci senza numero, animali piccoli e grandi; lo solcano le navi e il Leviatan che tu hai plasmato per giocare con lui” (Sal 104,25-26). Noi umani siamo esseri terrestri, calchiamo la terra. Eppure molti sono i miti del mondo antico per i quali la vita viene dalle acque. Così accade anche per il Paese della Promessa, la terra d’Israele che, dopo l’esilio, sarà ridisegnata com’è scritto nel libro di Ezechiele: “Ecco, dunque, quali saranno i confini della terra, la frontiera si estenderà dal mare fino a Casar-Enàn fino al torrente verso il Mare Grande. Vi dividerete questo territorio secondo le tribù d’Israele. Lo distribuirete in eredità tra voi e i forestieri che abitano con voi” (47,15-21). La cartina topografica dell’Israele post-esilica è concretamente utopistica ma molto significativa quanto al messaggio: il mare grande, vale a dire il Mar Mediterraneo, diventa confine ideale di un Paese aperto al mondo e non più arroccato su un monte esclusivo e inaccessibile agli impuri. Nella nuova terra di Israele, circondata dal mare, gli stranieri avranno la loro parte proprio come gli israeliti.

Rinascere dal mare

Un altro profeta, Giona, segnerà una tappa decisiva nel rapporto col mare. Dio lo inviò, infatti, a un popolo straniero, antico nemico di Israele, i niniviti. Ma lui, in prima battuta, si rifiutò di obbedire e si imbarcò su una nave per Tarsis, in una direzione diametralmente opposta. Pensava che il mare l’avrebbe allontanato per sempre dalla terra dove aveva conosciuto il suo Dio. Ma si sbagliava! Dio lo attendeva sul fondo delle onde. Fu proprio un grosso pesce – un leviatan! – a trasformarsi in una sorta di santuario dove Giona pregò, si convertì e rinacque al Signore: “Mi ha gettato nell’abisso, nel cuore del mare, le acque mi hanno sommerso, l’alga si è avvinta al mio capo. Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita” (Gn 2,4-7). L’esperienza di Giona diventerà quell’unico “segno” che verrà dato ai Giudei per capire il mistero della morte e resurrezione di Gesù: la Croce e il sepolcro come un Mare di morte da cui rinasce il Risorto. Forse è per questo punto d’arrivo della Sua vicenda terrena, che i narratori dei Vangeli ne danno inizio osservando com’egli: “Lasciò Nazareth e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare. Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,13a.17). Gesù porta il regno dei cieli per mezzo di uomini di mare, chiamati ad annunciare salvezza alla terra: “Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro e Andrea suo fratello che gettavano le reti in mare, erano infatti pescatori. E disse loro: Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini. Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono” (Mt 4,18-19). Lo fecero perché Lui aveva trovato la via del loro cuore. Soltanto per amore.

Tutto nacque sulle rive del Mar di Galilea che, in effetti, era un lago. Sulle sue acque Pietro e gli altri apostoli provarono paura di morire, ma lui li rassicurò: “Sgridò il vento e disse al mare: Taci, calmati! Furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: Chi è costui al quale anche il vento e il mare obbediscono?” (Mc 4,39. 41).

Venti di mare

La fede cristiana s’invola sul vento dello Spirito, disceso a Pentecoste. Lui, il Consolatore, infonde negli apostoli la gioia della Pasqua. La cui testimonianza si fa fiamma che vuole accendere il mondo sino ai suoi limiti estremi. Perciò ci sono nuovi mari da solcare, aprire nuovi cieli su nuove terre. I “ministri della Parola” del Vangelo si chiamano, nella lingua originaria “rematori” (cf Lc 1,2: uperetai). Essi “remeranno” la Buona Novella attraverso il mare grande del Mediterraneo, giungendo sino a Roma. Il più grande navigatore fu certamente Paolo che su più navi percorse questa via, battuta da venti favorevoli e contrari, di scirocco e d’uragano. Imbarcato per l’Italia si trovò ad affrontare una terribile tempesta scatenata dall’Euroaquilone, per cui “la nave fu travolta e non riusciva a resistere al vento: abbandonati in sua balìa, andavamo alla deriva nell’Adriatico”. È emozionante sentir nominare il nostro mare nel libro degli Atti! E sapere che, dopo la tempesta, venne la quiete. “E così tutti poterono mettersi in salvo a terra” (At 27,15.44). Giunse a noi occidentali l’annuncio della vita eterna ed ecco che “Vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più” (Ap 21,1).

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