LA PAUSA DI PACE DEI “FRATELLI DELLE TRINCEE”

IL NATALE DI GUERRA DEL 1914
By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 30 Novembre 2014

IN QUEL CARNAIO SI ACCESE UNA LUCE DI SPERANZA: NEL GIORNO DELLA NATIVITÀ DI CENTO ANNI FA SI RISCOPRIRONO UOMINI I SOLDATI CHE SINO AL GIORNO PRIMA SI ERANO UCCISI A VICENDA. È QUINDI OPPORTUNO FARE MEMORIA DI UNA SERIE DI FATTI CHE A LUNGO SONO STATI MINIMIZZATI DAI COSIDDETTI POTERI FORTI (MILITARI, ECONOMICI, DIPLOMATICI E POLITICI) CON LA COMPLICITÀ DELLA STAMPA Più di settecentocinquantamila morti in cinque mesi, dallo scoppio della Grande Guerra in agosto sino al dicembre 1914, su un fronte lungo ventimila chilometri che dal Mare del Nord attraverso le Fiandre e l’Artois arrivava al confine svizzero. In maggioranza francesi e tedeschi, circa trecentomila per ogni parte, poi inglesi, centocinquantamila, e ancora belgi e italiani (i volontari garibaldini), in una guerra di posizione che, sul fronte occidentale, causerà alla fine cinque milioni di caduti e altri quattro milioni sul fronte orientale, dall’Austria-Ungheria alla Russia, all’Italia. Una “inutile strage”, secondo la celebre definizione di Benedetto XV, che per quell’appello fu definito dal capo del governo francese Georges Clemanceau “il papa tedesco” (nell’uso sprezzante dell’aggettivo “boche”) e da uno dei comandanti dell’esercito imperiale, Erich von Ludendorff, “il papa francese”.

Sono passati cento anni da allora e le trentaquattro nazioni che parteciparono a quella prima carneficina, colpo d’avvio di quelle venute dopo, ne stanno commemorando la ricorrenza: si spera, secondo l’auspicio di un autorevole storico francese, Alfred Grosser, senza enfasi celebrativa ma con opportuna autocritica. Tanto più in Europa, le cui terre da quel conflitto in poi assistettero a genocidi e subirono distruzioni e rovine economiche: ancor oggi nelle regioni orientali della Francia, teatro di battaglie nelle due principali guerre, si raccolgono ogni anno duecento tonnellate di residuati bellici. Si calcola che saranno necessari sette secoli per eliminarli tutti.

Eppure in quel carnaio si accese una luce di speranza: nel giorno di Natale di cento anni fa si riscoprirono uomini i soldati che sino al giorno prima si erano uccisi a vicenda. È quindi opportuno fare memoria di una serie di fatti che a lungo sono stati minimizzati dai cosiddetti poteri forti (militari, economici, diplomatici e politici) con la complicità della stampa. Quella, sì, è da celebrare nel ricordo dell’inizio della Grande Guerra: la provvisoria, spontanea pace che si istaurò tra i “fratelli delle trincee”.

La storia, a cominciare dagli anni ottanta del secolo scorso, da pazienti ricercatori è stata poi raccontata in versioni diverse ma sostanzialmente collimanti. Anche se all’epoca dei fatti si era tentato di ignorarne o falsificarne il significato da parte, come si è detto, degli stati maggiori e degli industriali di attrezzature belliche, spesso proprietari o azionisti di maggioranza, questi ultimi, di grandi o piccoli giornali (allora sola forma di comunicazione mediatica popolare). Quello che era accaduto al fronte fu minimizzato o distorto dalla stampa inglese e tedesca, volutamente ignorato e cancellato dalla censura francese.

Ma era avvenuto che qua e là, lungo l’arco del fronte, il giorno di Natale del 1914 combattenti delle due parti uscissero dalle trincee nelle quali erano rintanati (e dove purtroppo torneranno ancora per più di tre anni, nel fango, tra pidocchi e topi) in un moto di fraternizzazione spontanea, senza armi, cantando cori natalizi: Adeste fideles in latino, tedesco e inglese, Minuit chrétien in francese e Stille nacht, che da allora diventò famoso. Ci si scambiarono strette di mano, auguri e regali, sigarette e cioccolata, addirittura si organizzarono primitive partite di calcio sul terreno accidentato dove sino al giorno prima erano stati scambiati colpi di fucile e ci si era data la morte. Sarà servito anche, il giorno della nascita di Gesù, a seppellire quanti da tempo giacevano nella terra di nessuno – sembra che da ciò sia nata la proposta di pausa – in un pietoso rito nel quale non si faceva distinzione fra amici e nemici, così come per le esequie in comune.

Alla parentesi di pace si prese gusto e, oltretutto, l’esempio si diffuse ad altre zone del fronte, cogliendo di contropiede gli stati maggiori che reagirono in ritardo ma con durezza, senza però ottenere, nel breve periodo, la ripresa delle ostilità; la pausa per alcuni si estese sino agli inizi del gennaio 1915, in pochi casi addirittura per qualche settimana. Va detto che non ci fu alcuna forma di ammutinamento e quasi sempre, come risulta dalle lettere personali ritrovate dopo molto tempo, i comandanti furono d’accordo con i loro subordinati.

Soltanto dopo molti anni, anzi molti decenni, dalla polvere degli archivi militari francesi, tedeschi e inglesi sono emersi rapporti nei quali, direttamente o indirettamente, si documenta la diffusione del fenomeno, l’acquiescenza degli ufficiali, l’irritazione dei supremi comandi, i provvedimenti restrittivi che furono presi, le condanne, specialmente da parte francese, alla fucilazione.

Ed è cominciata a fiorire una letteratura che, dopo essere andata alla ricerca delle prove, ha prodotto qualche libro e addirittura, film, fra i quali nel 2005 “Joyeux Noël” (Buon Natale), che però ha dovuto essere girato in Romania per la contrarietà della burocrazia militare francese. Nel film, che ha ottenuto successo di pubblico, si racconta anche (ma l’episodio non è del tutto certo) della liturgia officiata la notte di Natale a un gruppo di soldati bavarese e scozzesi da un giovane prete anglicano, che in seguito sarebbe stato rimosso dal suo superiore ecclesiastico poco soddisfatto dell’iniziativa. Autentico invece l’episodio della restituzione da parte dei tedeschi a un reparto di soldati belgi di un ostensorio ritrovato proprio in quei giorni sotto le rovine di una chiesa bombardata: sta oggi all’interno del monumento contro la guerra eretto sulle sponde del fiume Yser. Forse il miglior simbolo per la pace in Europa.

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