A PRANZO CON DIO

INTERVISTA A ERNESTO PELLEGRINI
By Gino Consorti
Pubblicato il 30 Novembre 2014

L’EX PRESIDENTE DELL’INTER HA APERTO A MILANO IL RISTORANTE SOLIDALE RUBEN CHE OGNI GIORNO OFFRE 500 PASTI COMPLETI A 1 EURO A QUANTI VIVONO UN MOMENTO DI DIFFICOLTÀ E DISAGIO. “NELLA MIA VITA HO AVUTO TANTO – DICE IL FAMOSO PROPRIETARIO DI UN VERO E PROPRIO IMPERO NEL CAMPO DELLA RISTORAZIONE COLLETTIVA – ORA È ARRIVATO IL MOMENTO DI RESTITUIRNE UNA PARTE AIUTANDO GLI ALTRI. È IL MIO GRAZIE AL SIGNORE”. Una bella storia. Una di quelle che andrebbe clonata per addolcire un pianeta indurito dall’egoismo e accecato dal dio denaro, “demoni” che allontanano sempre più i nostri cuori dal volto di Dio. La storia è quella di Ernesto Pellegrini, 74enne di Milano, fresco vincitore del prestigioso premio Ambrogino d’oro 2014 ed ex presidente dell’Inter datata 1984-1995, un periodo ricordato con grande piacere dai veri tifosi nerazzurri. Sia per i trofei vinti, sia per l’acquisto di calciatori prestigiosi e le tante emozioni regalate. Ma è anche la storia di un imprenditore intelligente e lungimirante come pochi che, pur con qualche “incidente di percorso”, ha costruito un vero e proprio impero nel settore della ristorazione collettiva ampliato, negli anni, con nuovi orizzonti. Ovvero buoni pasto, pulizie, servizi integrati e distribuzione automatica. Attualmente è proprietario di due floride società, dà lavoro a 7.500 persone e il fatturato annuo complessivo tocca i 500 milioni di euro. Numeri importanti, da capogiro, che però non hanno fatto perdere l’equilibrio a un autentico self-made man.

Un uomo che, tra i tanti progetti realizzati, come prima ha saputo costruirsi una “casa del cuore”. Un luogo sicuro dove trovare conforto nei momenti bui che la vita ci riserva, dove rincorrere i sogni, dove disegnare il futuro, dove regalare amore, dove ripararsi dall’egoismo, dove incontrare il Signore… Una “casa” solida che gli ha permesso, sin da ragazzo, di guardarsi costantemente dentro, scoprendo la vera felicità nella condivisione e nella mano tesa al prossimo. I suoi genitori, umili e onesti ortolani, insieme ad altri abitavano, in affitto, una vecchia cascina nella periferia milanese. In quei campi coltivati il giovane Ernesto aveva conosciuto un contadino di nome Ruben. Un instancabile e onesto lavoratore che tanto aiutava la sua famiglia. Arguto, un carattere mite e soprattutto sempre rispettoso degli altri. Insomma, un tipo benvoluto da tutti. All’epoca i tempi erano duri, per Ruben, però, la cinghia si stringeva ogni giorno di più. I suoi unici averi erano un umile ricovero nella stalla e tre chiodi dove appendeva i suoi pochi e miseri indumenti. La vera ricchezza era il suo cuore, non a caso per lui quella vita era meravigliosa così.

Quell’uomo anziano e consumato dalla fatica, dunque, era entrato nel cuore di Ernesto Pellegrini. Lui avrebbe voluto regalargli il mondo, ma la difficile realtà economica anche della sua famiglia, però, disegnava ben altri scenari… Un giorno, poi, la speculazione edilizia fece capolino anche in quei campi di periferia e la cascina fu abbattuta per far spazio al cemento portatore di denaro… Gli affittuari di quello stabile furono sistemati in piccoli alloggi popolari mentre al povero Ruben, nulla- tenente, non restò che trovare rifugio in una fragile baracca di legno. Fu allora che il nobile desiderio che albergava nel cuore di Ernesto Pellegrini si fece più forte. Non appena mi sarà possibile, promise a se stesso, darò un tetto e un’occupazione al mio amico Ruben. Si sa, però, che la vita ha i suoi tempi e i suoi disegni, così un giorno Pellegrini lesse sul giornale che un barbone era morto assiderato in una baracca… Non era un barbone, era il suo amico Ruben che non era riuscito a salvare.

Da quel giorno Pellegrini ha messo nel mirino del suo cuore due obiettivi particolarmente cari: ricordare Ruben e aiutare la gente come lui. Così, un anno fa, dopo essersi confrontato con gli amori della sua vita, la moglie Ivana e la figlia Valentina, ha creato la Fondazione Ernesto Pellegrini Onlus con lo scopo di sostenere persone che si trovano in condizione di temporanea difficoltà economica e sociale. E il primo frutto non si è fatto attendere: alcune settimane fa Ernesto Pellegrini ha aperto a Milano il ristorante solidale Ruben. Un moderno e accogliente locale che ogni giorno, dal lunedì al sabato, offre 500 pasti al costo di 1 euro. Un menu completo e con varie scelte a cui possono accedere persone e famiglie intere. Uomini in difficoltà, papà separati, cinquantenni licenziati, persone indebitate, ex carcerati, profughi appena sbarcati, parenti dei malati in trasferta, eccetera, eccetera.

Mi fermo qui perché spetta al protagonista raccontarci questa bella storia e altro ancora. Un uomo che tanto ha avuto dalla vita ma che, a differenza di molti, non si è mai dimenticato dei meno fortunati. Soprattutto i suoi occhi hanno sempre guardato il cielo…

Incontro il presidente Pellegrini nel suo quartier generale in una Milano uggiosa e infreddolita. Di fronte al suo stabile c’è un campo di calcio, ma è solo una coincidenza, il rettangolo d’erba è lì da più tempo… Il pomeriggio ha quasi raggiunto la sera, la città è avvolta dal buio ma il presidente non conosce pause. Il suo lavoro non è mai stato scandito dalle lancette dell’orologio. Ne sanno qualcosa i suoi collaboratori e soprattutto la sua famiglia. A proposito, a ricevermi è la sua segretaria Laura Santoro, esempio di professionalità e cortesia. Con grande puntualità entro nella stanza del “capo” dove conosco anche la sua adorata figlia Valentina, vicepresidente. Una carica che potrebbe sembrare scontata… Non è così, quella poltrona, infatti, è figlia di un mix di qualità di livello, proprie di una manager di successo come lei. Inoltre, cosa che non guasta affatto, possiede una bellezza e un fascino che lasciano il segno…

Ora, però, è il momento di dare spazio a Ernesto Pellegrini e alla sua bella storia.

Presidente, l’amaro, tanto per restare nell’ambito del suo lavoro, solitamente viene servito alla fine di un pasto… Di conseguenza l’argomento Inter lasciamolo in ultimo… Quanto è contento del ristorante solidale Ruben da lei fortemente voluto?

Tantissimo, più che un sogno ho realizzato un desiderio. Io e la mia famiglia volevamo ringraziare il buon Dio per tutto quello che abbiamo avuto in questi quasi cinquant’anni di attività. Ecco, allora, l’idea di un ristorante solidale.

Don Luigi di Liegro, il fondatore della Caritas, ripeteva che non si può amare senza condividere…

Parole illuminanti. L’idea del ristorante è stata condivisa da tutta la famiglia, anzi direi da tutte le componenti della nostra azienda. Tutti disponibili a condividere un progetto a noi molto caro.

Che ricordi ha del suo amico Ruben?

Era un grande lavoratore, un contadino che si prendeva cura degli orti. I miei ricordi sono indelebili in quanto era uno che si faceva voler bene. Ha lavorato per tre generazioni: per i miei nonni, per i miei genitori e infine per me e mio fratello, anche se solo per un breve periodo. Era un uomo d’altri tempi, viveva nella stalla e dormiva in un letto di paglia. Lì, in un angolo, aveva tre chiodi dove appendeva il suo guardaroba…

Poi, un giorno, gli portarono via pure quel poco che aveva…

Esattamente. Nel 1962, quando furono espropriati i terreni che avevamo in affitto, abbatterono la cascina in cui noi vivevamo e lui finì in una baracca di legno senza riscaldamento dove, ahimè, è morto assiderato…

Che rapporti aveva con lei e i suoi genitori?

Era uno di famiglia, praticamente vivevamo insieme e spesso mangiava con noi. Tranne la domenica…

Perché?

Seguiva una sorta di rito. Pranzava in un’osteria e il menu era sempre lo stesso: un pollo arrosto e un bottiglione di vino… Ovviamente a fine pranzo il vino si faceva sentire… ma la sua sbronza, però, era simpatica, leggera, non aveva alcun effetto collaterale pericoloso. E spesso, sotto l’effetto dell’alcol, interrogava noi ragazzi…

Su cosa?

Ci faceva domande di storia e a chi non rispondeva dava dell’ignorante. Lui amava tanto la storia d’Italia, leggeva molto e conosceva quasi tutto.

Il più grande insegnamento che ne ha tratto?

Quello di un uomo molto semplice, buono d’animo con cui era impossibile non andare d’accordo. Non poneva mai problemi, era un esempio per tutti. Per questo ho voluto ricordarlo visto che all’epoca, pur volendo, economicamente non ero in grado di dargli una mano.

Quando lesse sul giornale la notizia della sua morte cosa provò?

Un profondo dispiacere, avevamo perso una persona di famiglia. Ci restai molto male.

In tutti questi anni ha avuto qualche contatto con i parenti di Ruben?

No, lui aveva solo un nipote che poi però è sparito… Oggi non saprei proprio come rintracciarlo.

Ruben sarebbe fiero di un ristorante solidale che porta il suo nome?

Credo di sì. Con lui avevo un rapporto particolare, ero l’unico a cui dava del lei… Più di una volta gli avevo detto che non doveva, ma non mi ha mai ascoltato. “Lei è un personaggio – mi diceva – e poi è anche una persona avanti con gli anni…”. E dire che poteva essere mio nonno… Ruben mi rispettava al punto tale che ha continuato a darmi del lei finché non è scomparso…

Con lei e la sua famiglia il destino era stato più clemente…

I miei genitori erano degli umili ortolani, ma in cascina non mancava nulla. Avevamo verdura, uova, carne… A dicembre, poi, si ammazzava il maiale e per tutti gli abitanti della cascina era una festa. Ovviamente, però, non eravamo ricchi, avevamo di che mangiare, vivevamo dignitosamente ma niente di più. Soldi ce n’erano veramente pochi. Quando buttarono giù la cascina alla mia famiglia fu assegnata una casa popolare di 80 metri quadri mentre il povero Ruben rimase a mani vuote. Per usare un termine attuale noi vivacchiavamo, però non posso dire di aver vissuto male la mia infanzia.

La sua prima occupazione fu quella di impiegato semplice alla Bianchi biciclette. Quindi capocontabile finché un bel giorno un sindacalista le offrì l’opportunità di gestire la mensa aziendale…

È andata proprio così. Tutto sommato quel sindacalista ha rappresentato la mia fortuna…

Ci racconta la storia?

Veramente è un po’ lunga…

Faccia un riassunto…

Il sindacalista aveva un’amante che faceva la cuoca e, come si dice in gergo, cercava in qualche modo di sistemarla… Un giorno, per pura combinazione, il responsabile della mensa diede la disdetta al contratto e lui mi chiese di prenderla in gestione. Aggiunse che non avrei dovuto preoccuparmi della qualità del servizio in quanto mi garantiva un’ottima cuoca…

Da quel momento, dunque, ha avuto inizio la sua attività imprenditoriale nel campo della ristorazione. Inizio che vide anche il dono di 150mila lire a titolo di incoraggiamento da parte del suo capo…

Mi regalò quella somma come augurio per la mia nuova attività che oggi, grazie anche all’aiuto di tanti collaboratori che in questi quasi cinquant’anni si sono succeduti, ha raggiunto una dimensione importante.

Il sì a quell’offerta dell’amico sindacalista fu dettato solo dall’ambizione oppure era già conscio dei suoi mezzi?

Ovviamente cercavo di migliorarmi, non nascondo che ero un ragazzo ambizioso. Facevo tanti sacrifici. Mentre i miei amici quasi tutte le sere andavano a divertirsi io lavoravo, cercavo in tutti i modi di affermarmi. Un po’ per la mia famiglia, un po’ per me stesso. Tant’è che oltre al lavoro nei ritagli di tempo frequentavo l’università Cattolica. Purtroppo, però, sono riuscito a dare solo 18 esami su 32…

Perché?

Dovetti abbandonarla per seguire la mia attività. All’epoca tenevo anche la contabilità di alcuni bar. Insomma, andavo in cerca di spazio, volevo affermarmi e alla fine ringraziando Dio ci sono riuscito.

Le sue mense aziendali servono ogni giorno circa 200 mila persone… Visto da dove era partito se non è un miracolo gli assomiglia molto…

Infatti il mio grazie più grande è per il buon Dio che mi ha dato forza e salute. Poi viene la mia famiglia, mia moglie e mia figlia Valentina che lavora in azienda e ricopre la carica di vice presidente. Un grazie affettuoso lo meritano anche tutti i miei collaboratori che in questi anni mi hanno aiutato.

Ma Ernesto Pellegrini ci ha messo anche del suo…

Sicuramente non mi sono risparmiato, tra l’altro era un lavoro che non conoscevo, non mi era stato lasciato in eredità… Posso sicuramente definirmi un autodidatta, uno che giorno dopo giorno ha sperimentato complessità e difficoltà. Le assicuro, infatti, che gestire un’azienda del genere non è cosa semplice, soprattutto all’inizio ho avuto non pochi problemi da superare.

Nello specifico quali servizi eroga oggi il Gruppo Pellegrini?

Abbiamo due aziende. La prima opera nel settore della ristorazione collettiva, nelle pulizie, nella distribuzione automatica, nei ticket buoni pasto e nella vendita di prodotti alimentari. In particolare carni che distribuiamo a circa 700 istituti religiosi e a molti altri clienti. L’altra società ha sede a Lugano e opera in sei paesi dell’Africa al seguito di aziende italiane, europee e anche americane che vanno in quei paesi per realizzare grandi lavori. Inoltre offre servizi alberghieri sulle piattaforme petrolifere.

Dall’alto della sua esperienza imprenditoriale, quale strada bisognerebbe seguire nel tentativo di ridurre le disuguaglianze nel mondo?

È una bella domanda, non è facile rispondere. Purtroppo le disuguaglianze ci sono sempre state, senza dubbio spetta a chi ha ricevuto di più dalla vita dare risposte concrete. Parlo di paesi più ricchi ma anche di singoli cittadini.

Lei non si è tirato indietro…

Sinceramente ho avvertito forte la necessità di restituire qualcosa del tanto che ho avuto. Mi auguro che il mio possa rappresentare un esempio per altra gente fortunata come me. Sicuramente possedere un’azienda tra le più importanti d’Italia è motivo di grande soddisfazione e orgoglio. Nello stesso tempo, però, bisogna anche ricordarsi del passato, nel mio caso da dove ero partito… E non dimenticarsi mai di chi è stato meno fortunato di noi. Questi concetti di vita non mi hanno mai abbandonato.

Ruben cos’ha di diverso dalle mense dei poveri?

Innanzitutto è un ristorante solidale che si rivolge a persone sfortunate, che hanno perso magari il lavoro, che non riescono ad arrivare a fine mese. Insomma gente in difficoltà temporanea alla quale auguriamo di superarla al più presto. Anche l’ambiente è diverso, si tratta di un vero ristorante anche se è un self-service. E poi c’è un menu ricco con varie scelte, a differenza della mensa dei poveri  che invece offre un piatto unico.

Cosa propone il menu?

Almeno tre primi e due secondi. Poi ci sono un paio di contorni, dessert, frutta e bevande. È aperto dal lunedì al sabato, sono previsti due turni da circa 250 coperti.

Perché il prezzo simbolico di 1 euro?

Bisogna sempre rispettare la dignità degli altri, qualunque sia la posizione sociale e il conto in banca… Pagano e quindi hanno dei diritti.

Chi può accedervi?

Le persone ci sono indirizzate dalla Caritas, da centri di ascolto, dalle parrocchie limitrofe e da associazioni varie. Ai prescelti viene rilasciata una tessera con una validità di due mesi. Naturalmente rinnovabili fino a quando il possessore, ed è quello che ci auguriamo, non superi il momento di difficoltà. Noi ci appoggiamo alle associazioni della rete di Ruben proprio perché vogliamo che le “valutazioni” vengano fatte da chi ha più esperienza e competenza di noi. Persone che quotidianamente sono in contatto con gente in difficoltà.

La mensa è aperta anche ai figli di chi vive un disagio?

Sì e se hanno meno di 16 anni accedono gratuitamente.

A supporto dell’iniziativa c’è anche il prezioso e sempre silenzioso lavoro di tanti volontari…

Esattamente, girano tra i tavoli per portare un sorriso, una parola di incoraggiamento e di speranza.

Ha in animo di esportare il “modello Ruben” anche in altre città?

Non mi è facile rispondere perché ora sono fortemente preso da questo progetto il cui impegno economico è decisamente pesante. Al momento, quindi, non penso ad altre città anche se confesso che l’idea mi piace. Mai dire mai… Vedremo in futuro cosa ci riserverà il buon Dio.

Perché nasce la Fondazione Ernesto Pellegrini Onlus?

Per ringraziare il Signore per quanto mi ha dato nella vita. Ripeto, sono nato più povero che ricco dunque ho ricevuto tanto. Così, all’alba dei cinquant’anni della mia attività che festeggeremo il prossimo giugno, in famiglia ci siamo domandati in che modo avremmo potuto dire grazie al buon Dio. Ecco, allora, l’idea di una fondazione e quindi il ristorante solidale.

Com’è strutturata la Fondazione?

Il consiglio di amministrazione presieduto da me comprende mia moglie Ivana, mia figlia Valentina, mio genero Alessandro Ermolli e Giuseppe Orsi. L’ingegnere Orsi, che è anche amministratore delegato, è un mio carissimo amico. È una persona perbene, fino a un anno fa ha ricoperto gli incarichi di presidente e amministratore delegato di Finmeccanica. Un uomo che ha da sempre condiviso con me e la mia famiglia i valori morali e cristiani. Coinvolto ingiustamente in un’assurda vicenda di corruzione internazionale, recentemente è stato assolto dal tribunale perché il fatto non sussiste. Ho sempre creduto alla sua innocenza e il naturale epilogo del processo mi ha riempito di gioia.

Senta presidente, visto che lo cita spesso può dirci che posto occupa Dio nella sua vita?

Un posto importante, di primo piano. A dire la verità, però, non sono stato sempre così vicino a lui…

Cosa ha scosso, allora, la sua fede per certi versi sbiadita?

Alcune questioni private legate alla mia carica di presidente dell’Inter… Era il 1994 e improvvisamente ho avvertito Dio dentro di me. Da quel giorno la mia vita è cambiata, ovviamente in meglio. Oggi mi rivolgo a lui mattina, pomeriggio e sera.

Quanto le è d’aiuto la preghiera nella quotidianità?

Tantissimo, è indispensabile. Avverto in maniera forte la presenza di Dio e il desiderio di rivolgermi a lui. Sento il piacere di parlargli, non posso farne a meno. In vent’anni mi è capitato di saltare un paio di volte la santa messa domenicale, sono stato malissimo. Il giorno dopo sono andato subito a confessarmi…

Riavvolgendo il nastro della sua vita c’è una persona che più di altre vorrebbe

ringraziare?

Mia madre. Una donna che ho molto amato e con la quale sono stato sempre in simbiosi. Ha fatto sacrifici enormi per farmi studiare. Si alzava al mattino presto per andare a lavorare nei campi, sotto il sole cocente, con la pioggia e d’inverno con le mani affondate nella terra gelata… Una donna veramente meravigliosa.

Qual è stata, invece, la sua maggiore fortuna?

Mia moglie Ivana che mi ha sempre supportato e sopportato… E che mi ha regalato una figlia meravigliosa come Valentina.

Una figlia che all’epoca in cui lei era presidente dell’Inter, però, si sentiva trascurata…

È vero. Ricordo che un giorno mi scrisse una letterina che più o meno recitava così: Papà è bello, bravo, buono, eccetera, però non gioca mai con me… Quelle parole mi fecero molto pensare e da quel giorno, insieme a mia moglie, abbiamo iniziato a coinvolgerla maggiormente dedicandole più tempo. Veniva con noi anche in occasione delle trasferte della squadra.

Il momento più brutto che si è trovato ad affrontare?

Quando lasciai l’Inter, ma non riguarda l’aspetto sportivo… Dietro c’è un fatto personale.

Vuole raccontarcelo?

Mi dispiace ma proprio non posso, è troppo complesso. Probabilmente lo rivelerò in un libro autobiografico… Comunque nei momenti difficili attraversati nessuno mi ha regalato niente…

Come li ha superati allora?

Con la fede, in quelle circostanze ho pregato tanto. Come ho già detto, la preghiera mi aiuta in maniera incredibile. Ovviamente anche il mio carattere caparbio e determinato ha fatto la sua parte…

L’errore che non ripeterebbe?

Di errori ne ho commessi tanti… Diciamo comunque che li ho cancellati dalla mia mente, preferisco ricordarmi solo le cose belle…

Rimpianti ne ha?

Assolutamente no, sono molto felice e soddisfatto della mia vita. Rifarei tutto, errori compresi. Anche perché sbagliare fa parte della vita.

Eccoci all’Inter, presidente. Lei nell’agosto 2013 lanciò una sorta di appello a Moratti affinché non cedesse la società all’attuale presidente indonesiano Erick Thohir…

Non è andata proprio così. Incontrai per caso il presidente Moratti e ne parlammo. Io non conoscevo ancora le sue vere intenzioni, mi disse che se ci fosse stato qualche acquirente italiano non gli sarebbe di certo dispiaciuto. Aggiunse che era in contatto con un ricco imprenditore indonesiano, una persona perbene. Successivamente, allora, in un’intervista, ripeto senza conoscere lo stato reale della trattativa, lanciai l’idea di una cessione a un imprenditore italiano, magari  a una cordata. Moratti, però, mi rispose subito sottolineando che era tardi. Mi ringraziò ma nello stesso tempo disse di aver già preso un indirizzo. Quindi concluse con Erick Thohir.

Lei, invece, in mezz’ora acquistò la società dal compianto presidente Ivanoe Fraizzoli…

Sì, trovammo subito l’accordo. Con Fraizzoli e con la sua famiglia ho avuto un rapporto splendido. Con sua moglie, la signora Renata, ci vediamo spesso.

La sua cessione al presidente Moratti, invece, fu più complicata…

Anche con Massimo Moratti ho un ottimo rapporto, la trattativa è stata un po’ più lunga ma alla fine tutto è andato nel verso giusto. A lui mi lega una bellissima amicizia.

Qual è l’acquisto di cui è stato più fiero?

All’epoca c’erano Lothar Matthäus, Jürgen Klinsmann e Andreas Brehme, tre tedeschi formidabili…

Che all’Inter di oggi farebbero molto comodo… Scusi l’interruzione…

Sono perfettamente d’accordo con lei… Tornando alla sua domanda, nonostante i tre campioni appena citati il tedesco che più mi ha reso felice è stato Karl Heinz Rummenigge, il mio primo acquisto. Una persona perbene e un grandissimo professionista, oltre naturalmente a un talento incredibile.

Il giocatore da cui si aspettava di più?

Tutti hanno dato quello che era in loro possesso, delusioni non ne ho. Li ricordo sempre con piacere.

Tornerebbe presidente dell’Inter?

No, io ho già dato…

Che ne pensa dell’esonero di Mazzarri e del ritorno di Mancini sulla panchina nerazzurra?

Dall’esterno non mi permetto di giudicare. Dispiace per Mazzarri, un tecnico serio e preparato che stimo molto. Mancini, non ha bisogno di presentazioni, in società e tra i tifosi ha lasciato ricordi bellissimi. Gli auguro il meglio.

Oggi qual è la cosa che rende più felice Ernesto Pellegrini?

Mia figlia Valentina. Si è bene inserita in azienda e il suo incarico prestigioso se l’è guadagnato sul campo. è particolarmente apprezzata e benvoluta da tutti, è una ragazza che non ha la puzza sotto il naso. Vive con i piedi ben piantati a terra nonostante la fortuna ricevuta dalla vita.

 

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