LÀ DOVE C’ERA L’ERBA ORA C’È UNA CITTÀ…

Ogni anno in Italia scompare una città di provincia e non ce ne accorgiamo. Ogni giorno, lentamente, se ne vanno, inghiottiti dal cemento, 16 ettari di terreno, che in un anno sono 58,400 chilometri quadrati, pari a tutto il territorio del Comune di Chieti. Il fatto è che l’aumento del consumo di suolo non è proporzionale alla crescita demografica: l’ultima rilevazione ha registrato 420 mila nascite, a fronte di 57 milioni di metri quadrati sfumati, come se ogni nuovo nato italiano portasse nella culla ben 135 metri quadrati di cemento. Invece dovremmo far trovare loro almeno la stessa superficie in prati e boschi. Lo spreco di suolo continua ad avanzare nelle aree a rischio idrogeologico e sismico. Si spiegano anche in questo modo le tragedie umane, economiche e ambientali che con sgomento ci incollano ai teleschermi quando vediamo fiumi di melma e fango invadere le case, e uccidere. Allora ci commuoviamo, ma subito dopo si torna a costruire scriteriatamente, senza realizzare opere che salvaguardino l’ecosistema.

Il rapporto Ispra Snpa sul Consumo di suolo in Italia 2020 è impietoso. Mostra un paese incapace di togliere i piedi dal cemento e da una rendita dissennata e incurante dei rischi e che ormai appartiene al passato. Lo spreco di suolo continua ad avanzare nelle aree a rischio idrogeologico e sismico. Spinta da una politica che continua a proporre condoni tombali (l’ultima proposta riguarda gli abusi compiuti fino al 1967), la copertura artificiale avanza anche nelle zone più a rischio del paese. Il Rapporto denuncia che ormai risulta sigillato il 10 per cento delle aree a pericolosità idraulica media P2 (con tempo di ritorno, cioè il ripetersi dell’evento, tra 100 e 200 anni) e quasi il 7 di quelle classificate a pericolosità elevata P3 (con tempo di ritorno tra 20 e 50 anni).

La Liguria è la regione con il valore più alto di suolo impermeabilizzato in aree a pericolosità idraulica (quasi il 30%). Il cemento ricopre anche il 4% delle zone a rischio frana, il 7% di quelle a pericolosità sismica alta e oltre il 4% di quelle a pericolosità molto alta. Se la Sicilia è la regione con la crescita percentuale più alta nelle aree a pericolosità idraulica media, quella che “consuma” più suolo è il Veneto (+785 ettari), da anni nel gruppo di testa delle regioni che consumano e quindi sprecano più suoli liberi, agricoli, boschivi; una regione densa di cementifici e di cave, regolari e abusive, in cui le ruspe minacciano persino i parchi più preziosi come quello degli Euganei. A ruota seguono Lombardia (+642 ettari), Puglia (+625), Sicilia (+611) ed Emilia-Romagna (+404). A livello di città, Roma, con un incremento di suolo artificiale di 108 ettari, si conferma il comune italiano con la maggiore quantità di territorio trasformato in un anno (arrivando a 500 ettari dal 2012 ad oggi), seguito da Uta (Cagliari; +58 ettari in un anno) e Catania (+48 ettari). Vanno meglio Milano (+125 ettari negli ultimi 7 anni a Milano), Firenze (+16) e Napoli (+24).

Buone le notizie provenienti dalle aree protette: nell’ultimo anno sono 61,5 gli ettari di suolo compromesso, un valore dimezzato rispetto all’anno precedente, dei quali 14,7 concentrati nel Lazio e 10,3 in Abruzzo. Pur non arrestandosi nel complesso, il consumo di suolo all’interno di queste aree, risulta decisamente inferiore alla media nazionale. Al contrario, lungo le coste, già cementificate per quasi un quarto della loro superficie, il consumo di suolo cresce con un’intensità 2-3 volte maggiore rispetto a quello che avviene nel resto del territorio. Tutta questa cementificazione determina perdita di produzione agricola e danni economici: negli ultimi sette anni la diminuzione di agricola dovuta al consumo di suolo ha raggiunto i 3,7 milioni di quintali, con un danno economico stimato di quasi 7 miliardi di euro. Non solo consumo di suolo: su quasi un terzo del paese, è aumentato dal 2012 ad oggi anche il degrado del territorio dovuto ad altri cambiamenti di uso del suolo, alla perdita di produttività e di carbonio organico, all’erosione, alla frammentazione e al deterioramento degli habitat, con la conseguente perdita di servizi ecosistemici.

Tra nuove infrastrutture e cantieri (che da soli coprono oltre tremila ettari), si invadono aree protette o a pericolosità idrogeologica, sconfinando anche all’interno di zone vincolate dalla tutela ambientale, soprattutto lungo la fascia costiera, dove il cemento ricopre ormai più di 350 mila ettari, cioè l’8 per cento della loro estensione totale. In Italia si continua a costruire, soprattutto nelle grandi città, nonostante vi siano sette milioni di case vuote o abbandonate. Si dovrebbero bloccare le nuove costruzioni ed incentivare le ristrutturazioni.

In Italia si continua a dire che l’ambiente è una questione fondamentale. Il Papa non perde occasione per ripetere di amare la natura; lo raccomandano gli scienziati visto che il Paese è periodicamente sconvolto da alluvioni, frane, colate di fango, smottamenti ormai irrefrenabili. Se il terreno prima coltivato o boschivo, viene impermeabilizzato con nuovi insediamenti edilizi, con nuovi piazzali, mega parcheggi, interporti, dove volete che vada quell’acqua piovana? Ciò evidenzia che la corsa al consumo di suolo libero, agricolo, boschivo, eccetera non si ferma, non rallenta, ma aumenta senza scrupolo alcuno. La Corte dei Conti ha ribadito come le risorse per intervenire contro il dissesto idrogeologico giacciano praticamente inutilizzate. C’è un disegno di legge di iniziativa popolare per bloccare la cementificazione selvaggia: approvato dalla Camera, da due anni dorme un sonno profondo al Senato. Interessi vari bloccano l’entrata in vigore di normative che fermino lo scempio. Evidentemente, gli interessi sono altri. Eppure, il consumo di suolo per costruire edifici, strade, parcheggi riduce la produzione di alimenti, perché diminuisce la coltivazione di piante; aumenta il rischio di alluvioni, perché il suolo non assorbe l’acqua che scorre nei fossati; aumenta l’effetto serra, perché il carbonio del suolo viene distrutto e diventa anidride carbonica (CO2); riduce la biodiversità, perché elimina tutti gli esseri viventi del terreno più superficiale. Conservarlo, invece, garantisce alimenti per tutti, maggiore vitalità degli ecosistemi e una vita migliore. Più chiaro di così…