IL POETA LUCIANI E IL MIO INCONTRO CON L’ECO
Non c’è da cercare scuse, ma rievocando fatti che risalgono a ben sessantotto anni fa, (il 1945, appunto) i vuoti di memoria vanno giustificati. Nel 1945 avevo da poco superato i 15 quando una mattina decisi di recarmi a piedi da Roseto a San Gabriele dell’Addolorata insieme a una comitiva per grazia ricevuta per la guerra conclusa. I crampi, però, mi bloccarono poco prima del ponte sul Vomano, di Sora Pasqua, si chiamava così allora, il ponte del miracolo che vide il pullman di pellegrini in bilico verso il vuoto. Mi arresi e mi sedetti con la speranza che qualche raro automezzo mi portasse verso il Gran Sasso oppure al mare.
Si fermò una camionetta con a bordo due polacchi, sì proprio quelli che ci avevano liberato un anno prima. I due, devotissimi di san Gabriele, mi trasportarono verso il Gran Sasso. Lassù mi aspettava un mio anziano zio, Carlo, che era ufficiale postale in un piccolo ufficio situato vicino al santuario. Un luogo molto movimentato per via dei tanti pellegrini che lo frequentavano. Mi aveva promesso di farmi assistere a una manifestazione importante e, conoscendo i miei pruriti giornalistici…, di concedermi una “cronachetta” da pubblicare nelle pagine de L’Eco di san Gabriele, il prezioso mensile che quest’anno compie cento anni. Accettai con grande gioia e quindi mi ritrovai, in prima fila, sotto un ampio palcoscenico, con alle spalle monte curne, striato dai rilucenti ghiacciai eterni. Salì sul palco un anziano signore dai capelli bianchi con all’occhiello un ciuffo di lana tagliato dal vello di una pecora. Era il poeta dialettale Alfredo Luciani (foto sopra) – Pescosansonesco 1887-1969 – che con tono deciso recitò La vera storia di san Gabriele, un poemetto in sestine di ottonari in dialetto abruzzese.
La poesia, come era accaduto a Pescara quando aveva declamato la storia del beato Nunzio, Lu santarille, suo compaesano, fu particolarmente gradita e fece esplodere l’entusiasmo nei tantissimi che occupavano la grande piazza. Quella grande piazza dove, in seguito, fu edificato il nuovo santuario. È inutile dire che il mese dopo L’Eco riportò, grazie ai buoni uffici di zio Carlo, la mia “cronachetta” e da quel momento non ho mai smesso di collaborare alla nostra centenaria e prestigiosa rivista.