IL GRANO CHE SCONFIGGERA’ LE CARESTIE

il successo dell’ennesimo cervello in fuga
By Gino Consorti
Pubblicato il 30 Dicembre 2017

Filippo Bassi, 36 anni, di Modena, grazie a un finanziamento svedese ha creato un grano duro in grado di sopportare una temperatura costante di 35-40 gradi. La ricerca, che ha recentemente vinto il premio internazionale per la Sicurezza alimentare, rappresenta uno strumento formidabile nella lotta alla povertà e alle carestie

Una terra che dovrebbe dare mangiare a tutti e non invece usata per il mercato, la speculazione e quindi per la ricchezza di pochi. Noi tutti dovremmo guardare la terra con gli occhi di san Francesco: la terra che ci governa, che ci nutre, che ci alimenta. Gli stessi occhi che hanno spinto una delle tante intelligenze italiane a trasferirsi in Africa dove, attraverso una ricerca biotecnologica sull’impronta genetica e utilizzando tecniche di riproduzione molecolare non-GM, ha sviluppato una varietà di grano duro in grado di sopportare una temperatura costante di 35-40 gradi. Un’idea da tanti giudicata folle e che invece, oggi, è diventata una bellissima realtà grazie anche a un finanziamento pubblico di circa 400 mila euro in 4 anni del Consiglio per la ricerca svedese. Una pensata geniale che a Filippo Bassi, 36enne modenese e al suo gruppo di lavoro sono valsi, recentemente, il prestigioso Premio Olam 2017 per l’innovazione nella sicurezza alimentare lanciato dalla società agricola mondiale in collaborazione con la Agropolis Fondation.

Il brillante e giovane scienziato italiano dirige il programma internazionale di breeding del frumento duro all’Icarda. Parliamo del centro internazionale per la ricerca agricola nelle aree a rischio, un’organizzazione globale di ricerca la cui missione è fornire soluzioni scientifiche innovative per migliorare la resilienza e il sostentamento delle risorse povere nelle aree aride. Filippo Bassi e la sua equipe, dunque, hanno fatto bingo… offrendo un’alternativa preziosissima al riso che nei territori lungo il fiume Senegal e i suoi affluenti viene coltivato per 8 mesi l’anno. Stiamo parlando, infatti, di uno stato per tre quarti costituito dal deserto e di conseguenza per nulla adatto alle coltivazioni. Questo “super cereale” rappresenterà, di fatto, uno strumento formidabile nella lotta alla povertà e alle carestie. Anche perché la pasta, si sa, rispetto al riso è di gran lunga superiore per contenuto proteico, vitamine e minerali.

Un investimento minino, un’intelligenza viva e uno spirito propositivo, dunque, sono alla base di questa straordinaria scoperta che, ahinoi, ancora una volta vede un nostro “figlio” trovare gloria oltreconfine… L’ennesimo cervello in fuga da un’Italia che sempre più si mostra distratta per non dire “di spalle” nei confronti dei nostri giovani e del loro futuro. Una classe politica che anziché produrre occupazione attraverso investimenti di politiche attive e quindi valorizzare le tante potenzialità e il vasto patrimonio intellettuale e culturale del paese, passa il tempo a elargire inutili e miseri bonus qui e là. Misure una tantum dall’effetto propulsivo pari allo zero il cui unico ritorno è, forse, quello elettorale…

Ma non roviniamoci la giornata…, torniamo al nostro amico scienziato. Nonostante i tanti impegni tra i laboratori e i campi polverosi, mostra da subito una grande disponibilità. La persona è di quelle giuste, da non farsela scappare…

Chi è Filippo Bassi?

Un Italiano, un ricercatore, un cervello in fuga, recentemente un marito, e sicuramente qualcuno che crede moltissimo nell’uso dell’ innovazione in agricoltura come rimedio per la fame nel mondo e per ridurre la povertà rurale.

Ci racconta una sua giornata tipo di lavoro?

Dipende, le giornate in campo cominciano prima del sorgere del sole e finiscono la notte. Quelle in ufficio sono più normali, 8,30-20, qualcuna finisce un po’ più tardi. In generale, mi sveglio, mi godo il caffe rigorosamente espresso con moka guardando fuori dalla terrazza di casa, a Rabat (Marocco, ndr), con mia moglie. Poi in ufficio fino alle 19,30.

Nessuno svago?

Sto ricominciando ad andare in piscina per giocare a pallanuoto con la mia squadra di Rabat, che sfortunatamente ho dovuto abbandonare per quasi un anno a causa di due ernie.

E una volta a casa?

Cena con mia moglie in casa o al ristorante, dipende dalla fatica, e poi a letto.

Come nasce l’idea di un grano duro in grado di sopportare una temperatura costante di 35-40 gradi nella savana del bacino del fiume Senegal?

L’idea è stata definita strana e un altro giornalista l’ha persiono definita “pazza”… Io non so bene come chiamarla. So soltanto che eravamo seduti con il mio predecessore Dr Miloudi Nachit a bere un caffe e a parlare di un progetto sul cambiamento climatico da svolgersi in Etiopia. Sarà stata la temperatura del caffe o della giornata, ma ci siamo entrambi messi a parlare del Sahara come di una zona ideale per saggiare la capacità delle nostre varietà di resistere alle alte temperature. Da lì abbiamo aperto Google Map, e abbiamo cercato il punto verde più vicino al Sahara, il fiume Senegal appunto. Ci siamo chiesti se fossi possibile fare qualcosa proprio lì. Così è nata la prima idea, successivamente abbiamo seguito il percorso scientifico, cercando i dati di temperatura e suoli, e poi contattando le persone che sono diventate i miei partner in questa avventura: il professor Ortiz dell’università svedese di Alnarp (Slu), Dr Madiama Cisse di Isra in Senegal e Mr Habibou Gueye di Cnrada in Mauritania. Aggiungerei poi anche due validissimi studenti di dottorato: Hafssa Kabbaj e Amadou Tidiane Sall. Per fortuna il Centro nazionale delle ricerche svedesi ha ritenuto il nostro progetto sufficientemente possibile da darci i fondi necessari per operare e da lì abbiamo cominciato a lavorare.

Qual è stato l’ostacolo più duro da superare?

Sicuramente le mancanze tecniche. I ricercatori e anche gli agricoltori locali non conoscevano nel modo più assoluto la coltura del frumento, e quindi abbiamo dovuto lavorare molto a spiegare e programmare tutte le parti techniche di base, prima di raggiungere il risultato. Si immagini che sarebbe un po’ come andare dai ricercatori e contadini italiani e chiedergli di coltivare una noce di cocco che resiste alle basse temperature nella valle del Po…

Quali sono le proprietà di questo super cereale?

E poi tollera temperature costanti di oltre 40 gradi, cosa assolutamente non comune per un cereale invernale come il frumento duro. La sua forza è dovuta a un polline che non si secca quande le temperature salgono così tanto, e quindi rimane capace di produrre un buon numero di semi per spiga. L’origine di tale forza sono antichi semi di farro e di un erbaccia commestibile chiamata “erba di pecora” raccolti in Siria, e poi incrociati via pollinazione con delle varietà Icarda ad alto rendimento.

Che tipo di crescita e di produzione ha?

È molto precoce, va da semina a raccolta in soli 92 giorni lungo il fiume Senegal. I rendimenti, invece, vanno dalle 2 alle 4 tonnellate per ettaro (media di 3 tonnellate) in base alla data di semina e le temperature di quell’anno. Per intenderci, il rendimento medio in un’annata siccitosa nel Tavoliere delle Puglie è di circa 3.5 tonnellate.

Chi vi ha finanziati e di che tipo di investimento si parla?

Il finanziamento è arrivato dal Centro nazionale delle ricerche svedesi e parliamo di circa 100 mila euro l’anno. Se tutto funziona come deve andare, questo investimento potrà rendere un nuovo mercato di quasi 600,000 tonnellate di cibo o circa 200 milioni di euro per anno. Un buon investimento direi…

Il grano è in grado di maturare in qualunque condizione pedoclimatica? In pratica può essere una soluzione per tutte le popolazioni colpite da carestie?

Sicuramente queste varietà possono maturare ovunque, ma non ovunque potrebbero essere vantaggiose. Per esempio, le regioni più a nord che hanno stagioni più fredde e piovose preferiscono varietà che maturano più lentamente e che quindi magari garantiscono rendimenti più alti grazie alle condizioni climatiche favorevoli. Altre zone che sono colpite da temperature altissime durante la fioritura, invece, potrebbero avvantaggiarsi delle varietà sviluppate. Con il cambiamento climatico, le temperature durante la stagione agricolo sono destinate ad aumentare. A tal scopo, queste varietà sono molto importanti per aiutare anche paesi sviluppati come l’Italia ad adattarsi alle sempre più ricorrenti temperature estreme. Nella zona del fiume Senegal sicuramente l’aggiunta di questa coltura, insieme allo splendido lavoro già fatto da altri nell’aumentare il rendimento di riso e mais, aiuterà in modo notevole a debellare povertà e carestie.

Ora quale sarà il prossimo passo? Ritiene che il grosso sia stato fatto oppure il lavoro più difficile deve ancora arrivare?

Il lavoro di ricerca è concettualmente semplice: si sviluppa un idea, si fa di tutto per dimostrare che non funziona, e se funziona lo stesso la chiamiamo scoperta o innovazione. Nel nostro caso, l’idea è venuta da sola, il lavoro di saggio è stato sicuramente molto difficile viste le condizioni socio-climatiche della zona, e la scoperta è arrivata dopo 4 anni di duro lavoro. Ma la prossima fase mi spaventa sicuramente di più. Ora, infatti, bisognerà lavorare con governi e organizzazioni di agricoltori per espandere tali varietà a tutta la zona del fiume. Ci dovremo confrontare con tutti quei problemi che non sono strettamente logici o logistici. Bisognerà essere sempre pronti ad ascoltare tutti, adattarsi, e cambiare. Per fortuna stiamo ricevendo un po’ di visibilità e speriamo veramente che questo ci aiuterà a trovare dei forti partner locali e internazionali per intraprendere forse la parte più dura del viaggio.

A proposito, le grandi industrie della pasta come guardano a questa scoperta rivoluzionaria?

Per il momento il contatto con l’industria è stato molto limitato quindi non saprei dire per certo. So che l’industria di pasta e couscous marocchina si è interessata alla cosa e si è detta pronta a comprare dai loro partner africani, ma ancora non siamo arrivati a quel punto.

Sia sincero, quello che ha realizzato sarebbe stato possibile se fosse rimasto in Italia?

Onestamente non saprei. Icarda, la mia organizzazione, si occupa specificamente di portare innovazione in agricoltura per aiutare ad assicurare la riduzione della fame mondiale e della povertà rurale. Come tale è un posto ideale dove lavorare, però anche qui non c’è sempre il sole e spesso dobbiamo lottare per trovare i due soldi che ci servono per lavorare. In Italia conosco vari ricercatori che sono riusciti a fare splendidi lavori, come per esempio uno dei miei preferiti: Tiberio Chiari e il suo lavoro per la gente di Oromia, in Etiopia. Ma anche tanti altri. Purtroppo le buone notizie sono a oggi meno che le cattive notizie. Tutti i colleghi italiani si lamentano di carenza di fondi e del fatto che tutta la ricerca in agricoltura sia sparita. Oppure si porta avanti con fondi esteri o di origine privata. Questo sì che è un grosso peccato, specialmente considerando l’altissima qualità dei ricercatori italiani e della loro voglia d’innovare.

Quale consiglio darebbe ai nostri governanti?

Non saprei, io ho un dottorato di ricerca in Genetica e breeding, loro in politica, quindi immagino ne sappiano più di me… Per quel che posso dire, due cose vorrei che fossero messe in avanti. In primo luogo sarebbe proprio bello se l’Italia si riprendesse in mano il ruolo di centro del Mediterraneo, passando proprio attraverso cibo e agricoltura. La seconda: il governo dovrebbe stare molto attento al problema della ruggine nera trovata in Sicilia che minaccia davvero di distruggere il frumento duro Italiano. Io lavoro ormai da molti anni in Etiopia contro questa malattia, ne ho visto gli effetti nefasti, e ho visto quanto tempo è stato necessario per trovare varietà resistenti. Onestamente l’Italia è già in ritardo e bisognerà accelerare per trovare una soluzione rapidamente.

E ai tanti giovani senza lavoro quale messaggio inviare?

A quelli che ne hanno voglia direi che il mondo è grande e l’esperienza italiana è ben pagata e ricercata. A quelli invece più legati alla terra, consiglierei l’agricoltura. Il lavoro è duro, paga poco, ma la soddisfazione di far crescere qualcosa è impagabile.

Qual è stata la sua più grande soddisfazione di scienziato?

Sicuramente in Etiopia, nel 2015. Ho visitato un agricoltore che coltivava per la seconda volta una nostra varietà. L’avevo incontrato già l’anno prima e non sapevamo ancora bene come si sarebbe comportata questa nuova varietà. Mi ha accolto con un sorriso enorme, mi ha abbracciato tanto, e mi ha ringraziato. Purtroppo io non parlo amharic e quindi non riuscivo a capire quello che mi diceva. Allora ha preso una spiga della nuova varietà e mi ha fatto vedere nella mano sinistra quello che otteneva come rendimento con la vecchia varietà, e con la destra quanto in più stava ottenendo. Le due mani erano quasi uguali. Ha poi invitato la famiglia e i suoi 3 figli e mi ha fatto capire che con il doppio di rendimento che la nuova varietà gli aveva fatto ottenere riusciva, ora, a mandare i figli a scuola ogni giorno. Inoltre aveva comprato anche del bestiame in più per avere il latte al mattino.

Filippo Bassi sta facendo il lavoro che sognava da bambino?

Non proprio visto che volevo essere un archeologo… Ma la vita è così…, il mio amico d’infanzia voleva fare lo scienziato ma oggi è chirurgo e aiuta quando può Emergency

Come investirete i 50 mila dollari del prestigioso Premio internazionale Olam ricevuto recentemente?

Li useremo per organizzare un bel evento a Dakar, a marzo, cercando di trovare un po’ di partner che ci aiutino a portare avanti questa seconda fase. Una parte della somma la stiamo anche usando per riparare un magazzino in una delle stazioni di campo, così da evitare che gli uccelli continuino a rubarci i semi durante la raccolta…

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