I RAGAZZI DELLA RICOSTRUZIONE

Dieci anni fa il terremoto che distruggeva L’Aquila
By redazione Eco
Pubblicato il 1 Aprile 2019

“Nati tra le macerie, cresciuti nella speranza”, è il titolo scelto dagli studenti per un progetto della scuola media Dante Alighieri. Dieci anni fa, ai tempi del terremoto che il 6 aprile 2009 aveva distrutto la loro città, i ragazzi che oggi frequentano la scuola media erano molto piccoli. Anche loro, insieme ai genitori, avevano vissuto i giorni convulsi del dopo sisma, sono finiti nelle tendopoli, sballottati in un’altra città, hanno perso di vista amici e parenti strettissimi. Quei bambini di ieri, oggi li vedi sciamare a frotte, la sera, lungo il corso della città in riparazione. Gli adulti sono ancorati ai ricordi, loro invece L’Aquila ante sisma non l’hanno mai conosciuta. Non a caso Nati fra le macerie, cresciuti nella speranza è proprio il titolo scelto dai ragazzi delle terze B, C ed F per una serie di incontri con i protagonisti della ricostruzione.

La scuola è la Dante Alighieri, quasi mille alunni distribuiti su tre plessi, la sede centrale, la ex Carducci e la Celestino V di Paganica, frazione dell’Aquila, le ultime due distrutte dal sisma e oggi ospitate nei musp, moduli provvisori a uso scolastico, costruiti a tempo di record nel settembre del 2009. “Mi capita spesso di pensare a come sarebbe la mia vita se L’Aquila fosse una metropoli – racconta Federica – magari vivrei in una bella casa nel centro della città, ma poi? Noi aquilani abbiamo qualcosa che gli altri non hanno, qualcosa che non si compra: la tenacia”. “Certo per molti la nostra città è (o era?) strana – raccontano Eleonora, Martina, Giorgia e Mariagrazia – ma questa è la nostra normalità”. Edoardo è convinto che “in futuro L’Aquila sarà più bella e sicura” mentre Carlo porterebbe gli amici a vedere “sia i luoghi distrutti sia quelli già ricostruiti per mostrare che L’Aquila non è morta ma sta lentamente rinascendo”. Martina ammette di “sentirsi spaesata” quando va dai nonni in centro, per Sara e Isabella L’Aquila resta “la città più bella del mondo”, mentre Alessia spiega che “questa è comunque la mia città, ci vivo e così deve essere. Forse mi sento un po’ più orgogliosa proprio per i momenti difficili che abbiamo passato”. E se Erika ammette la stranezza di “passeggiare in mezzo alla puzza di polvere e i palazzi distrutti”, Cecilia e Giorgia pensano “che questa è solo una fase transitoria”, come quando dopo il sisma vedevano il padre solo poche ore a settimana. “Erano tornati all’Aquila perché volevano essere d’aiuto alla città”. “Io vivo meglio di chiunque altro – dice Silvia nella sua logica ferrea e sorprendente – io vivo con sopravvissuti, io sono una sopravvissuta”.

Il valore della vita che continua dopo una catastrofe, come darle torto. Federica invece vorrebbe l’impossibile: “L’Aquila sarebbe una città come le altre se il ricordo delle vittime del sisma smettesse di perseguitarci”. Anche se nel 2009 erano piccoli, il ricordo del sisma resta indelebile. Luisa ricorda quando faceva parte della schiera degli sfollati, “malgrado l’affetto, l’accoglienza e il calore che in molti hanno cercato di darci”. E ricorda che “mi terrorizzavano le campane che suonavano o un temporale che faceva rumore”. “Rivivere quei momenti in cui non avevi neanche delle magliette pulite per cambiarti fa strano – dice Alessia – è un vuoto profondo e difficile da spiegare a chi non l’ha vissuto”. Francesca ricorda ancora “l’odio per la scuola” dove l’avevano mandata dopo il sisma, per Alessia l’unica nota positiva di quel periodo è stata “la solidarietà che abbiamo ricevuto da persone che neanche conoscevamo”. Stefania ricorda ancora il dopo sisma quando vivevano in 14 in una casa troppo piccola, “ho sempre vissuto a contatto con la paura di una scossa e ora in caso di emergenza so come rimanere lucida”.

Del terremoto tutti ricordano qualcosa. C’è chi ricorda che quel giorno doveva andare a comprare un giocattolo, chi si è ritrovato in una casa al mare, sorpreso nel vedere le spiagge deserte, chi ricorda i mobili crollati nella cameretta. Franco è nato proprio il 6 aprile e di quella lontana notte di catastrofe ha, se possibile, un ricordo quasi sereno. “Mio padre, tra la polvere, i capelli sconvolti, mi tiene in braccio davanti casa lesionata. Mi guarda e sorride: “Franco… auguri!”.

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