GIACOBBE, LA LOTTA SPIRITUALE

By giuseppe de virgilio
Pubblicato il 12 Giugno 2023

Lotta, benedizione, contemplazione sono le tre dimensioni che riassumono l’esperienza di fede di questo grande protagonista della storia della salvezza

Sotto la protezione di Dio

Tra i cicli patriarcali della Genesi spicca la singolare vicenda di Giacobbe (cf. Gen 28-36). Si tratta di una figura rilevante nella tradizione ebraica, ai cui figli risale l’origine tribale del popolo di Israele (Gen 49,1-27). La caratterizzazione del personaggio si basa sull’intreccio narrativo che vede contrapporsi Giacobbe al fratello gemello Esaù. Secondo un’etimologia popolare impiegata nel racconto genesiaco, il nome Giacobbe deriverebbe dal sostantivo ebraico ‘eqeb (calcagno) o dal verbo ‘aqab (imbrogliare). Egli, alla nascita, avrebbe trattenuto per il calcagno il gemello Esaù (Gen 25,26; cf. Os 12,4) e poi ingannato il padre Isacco “rubando” la primogenitura (Gen 27,36). A questa etimologia popolare si contrappone l’interpretazione più verosimile del nome di Giacobbe che esprime l’idea di “Dio che protegge” (jakobel). Sarà questa la chiave di lettura per interpretare la vita di Giacobbe: la “protezione di Dio”.

Due fratelli e due popoli

La storia di Giacobbe si comprende alla luce della preghiera e della fede del padre Isacco e della sua famiglia. Insieme al fratello Esaù, Giacobbe viene alla luce grazie alla preghiera insistente che i suoi genitori innalzano al Signore, poiché la madre Rebecca non poteva avere bambini (Gen 25,19-21). La maternità straordinaria diventa segno rivelatore della nascita di “due popoli”, rappresentati dalle famiglie di Esaù e di Giacobbe. L’oracolo del Signore che precede il parto dei due gemelli annuncia l’evento: “Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si divideranno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo” (Gen 25,23). La diversità fisica e caratteriale dei due fratelli pone in evidenza due identità che seguiranno strade con esiti diversi. Esaù, prestante cacciatore, era preferito dal padre, mentre Giacobbe, fratello più debole e tranquillo, era favorito da Rebecca. Dio sceglie il più piccolo, mostrando nella fragilità e debolezza di Giacobbe, lo stile paradossale del suo agire. La fede di Abramo e la pietà di Isacco si riassumono nella “forza di lottare” di Giacobbe, dalla cui famiglia provata sorgerà il “piccolo popolo” di Dio. Il racconto genesiaco pone in evidenza l’episodio del “diritto di primogenitura”, ceduto a Giacobbe da parte di Esaù per un piatto di lenticchie (Gen 25,29-34). In realtà l’apparente astuzia di Giacobbe evidenzia la sua tacita timidezza. Nelle alterne e conflittuali vicende, Dio sceglie il “piccolo” Giacobbe, lo benedice e lo accompagna ovunque vada.

Tra inganni e verità

Gli autori hanno evidenziato come Giacobbe espia le colpe commesse, pagando il suo inganno con pesanti prove. La sua esistenza può essere compresa nella dialettica tra inganni e verità. Se infatti egli si era mostrato esoso verso Esaù sfruttandone la fame per carpire il giuramento di primogenitura, Giacobbe troverà in Labano colui che lo ingannerà a sua volta: lo zio sfrutterà il bisogno e l’amore di Giacobbe per la figlia per costringerlo a molti anni di duro lavoro (Gen 29,13-30). Ingannatore e ingannato: lo schema narrativo si ripete. Giacobbe aveva ingannato il vecchio padre per ottenere la sua benedizione (Gen 27,1-29). Tuttavia egli sarà a sua volta vittima di una sostituzione di persona, quando, credendo di sposare Rachele, si accorgerà di aver sposato Lia, per un inganno di Labano (Gen 29,15-30). Inoltre quando sarà vecchio, lui stesso sarà crudelmente raggirato dai figli, che gli faranno credere Giuseppe sbranato e ucciso dalle fiere (Gen 37,28-36). Nel corso delle vicende il lettore riesce a cogliere come nel patriarca la logica dell’astuzia si sostituisce a quella della confidenza in Dio e del coraggio di osare. Prima del figlio Giuseppe, che sarà un “sognatore”, Giacobbe riceve in sogno una rivelazione divina.

La scala e la promessa di Dio

Nel racconto di Gen 28,10-22 è presentata la singolare esperienza del patriarca che riceve in sogno la promessa di alleanza con Dio, mentre si dirige verso in Carran (Gen 28,10). Si tratta di un passaggio cruciale della fede di Giacobbe, a cui si collega l’impegno di servire esclusivamente il Signore e di essergli fedele per sempre. L’immagine simbolica che descrive la relazione tra Dio e l’uomo è rappresentata da una “scala” poggiata sulla terra la cui cima raggiunge il cielo, mentre gli angeli di Dio salgono e scendono su di essa (Gen 28,12; cf. Gv 1,51). Davanti a questa scena che congiunge la terra al cielo, Dio si rivela al patriarca con una promessa, accompagnata dalla benedizione, che conferma l’elezione di Abramo e Isacco: “Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato (…) Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto” (Gen 28,13.15). La promessa benedetta di Dio domanda la risposta della fede. Giacobbe deve trasformare il sogno in realtà, nella consapevolezza che la sua vita appartiene al Signore e che tutti i beni provengono dalle sue mani. Nella “terra santa” il patriarca pronuncia il suo solenne voto: “Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio” (Gen 28,20-22). L’impegno assunto si traduce in un cammino di conversione e di riconciliazione (Gen 33,1-30).

L’esperienza mistica di Penuèl

L’episodio esemplare che definisce l’identità del patriarca Giacobbe è senza dubbio la scena della “lotta con Dio” presso il guado del torrente Jabbok (Gen 32,23-32). Il racconto raggruppa diversi motivi che descrivono la figura del patriarca. In primo luogo s’impone il tema della “lotta”. Mentre fa passare la sua famiglia oltre il torrente, rimasto solo Giacobbe si trova improvvisamente a combattere contro un uomo forte per l’intera notte. Al sorgere dell’aurora, non potendo prevalere su di lui, l’uomo lo colpisce nell’articolazione del femore. Giacobbe rimane ferito ma non battuto.

Il secondo motivo è rappresentato dalla “benedizione”. Prima di lasciarlo il misterioso angelo lo “benedice” cambiandogli il nome: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”. Il cambiamento del nome segna una svolta nella vocazione del patriarca: Israele (da srh che significa lottare) sarà il simbolo del popolo che lotterà per la sua identità e la sua fede monoteistica. Il racconto prosegue: “allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva” (Gen 32,30-31). Il terzo motivo è l’incontro con il mistero di Dio “faccia a faccia”. Lotta, benedizione, contemplazione sono le tre dimensioni che riassumono l’esperienza di fede di questo grande protagonista della storia della salvezza.

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