INFANZIA RUBATA, E NON SOLO…
336mila bambini e ragazzi tra i 7 e 15 anni sono i minorenni che, in larga parte in modo sommerso e invisibile, sono considerati “lavoratori”. I settori prevalentemente interessati dal fenomeno sono la ristorazione e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali
Nel nostro Paese quasi 1 minore su 15 ha svolto un’attività lavorativa, a volte saltuaria, altre continuativa oppure occasione, ma comunque dannose per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico, perché svolti durante il periodo scolastico, oppure svolti in orari notturni o, ancora, perché percepiti dagli stessi intervistati come pericolosi. In pratica, 336mila bambini e ragazzi tra i 7 e 15 anni sono i minorenni che, in larga parte in modo sommerso e invisibile, sono considerati “lavoratori”.
Questi sono alcuni tra i dati raccolti da “Non è un gioco”, la nuova indagine sul lavoro minorile nel nostro Paese condotta a dieci anni di distanza dalla presentazione degli ultimi dati e delle ultime ricerche sul lavoro minorile in Italia da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro – ha l’obiettivo di definire i contorni del fenomeno, comprenderne le caratteristiche, l’evoluzione nel tempo e le connessioni con la dispersione scolastica, e vuole sopperire almeno parzialmente alla mancanza di una rilevazione sistemica di dati sul tema in Italia.
I settori prevalentemente interessati dal fenomeno del lavoro minorile sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), seguiti dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). Ma emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. Nel periodo in cui lavorano, più della metà degli intervistati lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno. Si tratta di bambini e adolescenti coinvolti, secondo la ricerca, anche nel legame tra esperienze lavorative troppo precoci e coinvolgimento nel circuito penale. Quasi il 40% dei minori e giovani adulti presi in carico dai Servizi della Giustizia Minorile – più di uno su 3 – ha affermato di aver svolto attività lavorative prima dell’età legale consentita. Tra questi, più di un minore su 10 ha iniziato a lavorare all’età di 11 anni o prima e più del 60% ha svolto attività lavorative dannose per lo sviluppo e il benessere psicofisico.
“Per molti ragazzi e ragazze in Italia l’ingresso troppo precoce nel mondo del lavoro, prima dell’età consentita, incide negativamente sulla crescita e sulla continuità educativa, alimentando il fenomeno della dispersione scolastica. Sono ragazzi che rischiano di rimanere ingabbiati nel circolo vizioso della povertà educativa, bloccando di fatto le aspirazioni per il futuro, anche sul piano della formazione e dello sviluppo professionale, con pesanti ricadute anche sull’età adulta” ha dichiarato Claudio Tesauro, Presidente di Save the Children.
In Italia la legge stabilisce la possibilità per gli adolescenti di iniziare a lavorare a 16 anni, avendo assolto l’obbligo scolastico. Già dieci anni fa, però, in una indagine condotta da Save the Children e Associazione Bruno Trentin i minorenni tra i 7 e i 15 anni che avevano sperimentato un lavoro prima dell’età legale consentita nel Paese erano circa 340.000, quasi il 7% della popolazione di riferimento. E tornando al legame tra lavoro minorile e circuito penale, nel 2014 il 66% degli adolescenti coinvolti nel circuito penale aveva svolto attività lavorative prima dei 16 anni.
I minori che lavorano prima dell’età legale consentita rischiano di compromettere i loro percorsi educativi e di crescita. Il lavoro minorile può anche influenzare la condizione futura di giovani ‘NEET’ – Not in Education, Employment or Training, alimentando la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione sociale. I ragazzi e le ragazze di età compresa tra 15 e 29 anni in questa situazione in Italia, hanno superato il milione e 500mila nel 2022, il 19 % della popolazione di riferimento, con un valore in Europa secondo solo a quello osservato in Romania. “I dati sono molto preoccupanti. Sicuramente un ambiente familiare e accogliente per un giovane NEET è importante perché la relazione è alla base del rapporto educativo. Noi salesiani lavoriamo sulle Comunità Educative, come comunità accoglienti e poi offriamo percorsi di inserimento professionale”, ha dichiarato don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale APS, durante la presentazione del rapporto.