“La maternità surrogata – afferma Antonio Brandi, presidente della onlus Pro Vita & Famiglia – è qualcosa di aberrante e disumano” In Italia è illegale ma in altri Paesi no. Per avere un figlio si va dai 111mila euro di partenza per chi sceglie gli Stati Uniti ai 78mila della Grecia, dai 43mila della Georgia ai 58mila della Russia…
Arianna (nome di fantasia) ora attende di essere adottata da una famiglia. È nata nell’agosto 2020 a Kiev, capitale dell’Ucraina, da una madre surrogata alla quale si era rivolta una coppia di Novara che non poteva avere figli. Quando però sono andati a prendere la neonata per riportarla in Italia, la coppia non l’ha voluta più. L’hanno riconosciuta (anche se l’atto non è stato trascritto nell’anagrafe italiana) ma l’hanno lasciata lì. Per quale motivo, non si sa. Hanno assoldato, tramite un’agenzia interinale, una baby sitter che si prendesse cura di Arianna e alla quale ogni mese versavano lo stipendio. Poi, a un certo punto, qualche mese fa, sono spariti. La baby sitter, una donna ucraina di mezza età, si è rivolta all’ambasciata italiana di Kiev perché non poteva più accudire Arianna. La vicenda è quindi rimbalzata alla procura territorialmente competente in Italia e alla Procura dei minori, che hanno accertato la reale intenzione dei genitori di non voler riprendere la piccola. È stato così incaricato per il rimpatrio il servizio per la cooperazione internazionale di Polizia (Scip) della Direzione centrale della Polizia criminale, che ha lavorato in stretto contatto con il consolato italiano a Kiev chiamato a rilasciare i documenti necessari per il viaggio. L’11 novembre scorso Arianna è arrivata in Italia. Il tribunale dei minori ha subito avviato le pratiche per l’adozione. Fatta nascere e rifiutata, perché? Sulle reali motivazioni dei genitori il mistero è fitto. Indaga la Procura di Novara che ha aperto un fascicolo d’indagine contro ignoti.
La vicenda di Arianna è la dimostrazione più chiara della crudeltà della maternità surrogata, detta anche “utero in affitto”. È una pratica in cui una donna, dietro compenso economico, partorisce un figlio per conto di qualcun altro, come ad esempio una coppia che non può portare a termine una gravidanza per motivi medici o perché sterile ma anche coppie omosessuali o single che vogliono avere un bambino. Sul sito surrogacyitaly.com ci sono diverse opzioni da scegliere in base alla natura dei committenti (uomini o donne single, coppie eterosessuali oppure omosessuali) e poi vengono indicati i costi che, avverte il sito, “oscillano tra i 50mila e i 200mila euro o più a seconda del paese di destinazione scelto per il procedimento”.
Sì, perché l’utero in affitto in Italia è illegale ma in altri Paesi no. Per avere un figlio da madre surrogata si può andare negli Stati Uniti, in Russia, Ucraina, Grecia, Georgia e Canada, tutti Stati che consentono l’accesso agli stranieri. Sul sito sono indicati anche i costi paese per paese: si va dai 111mila euro di partenza per chi sceglie gli Stati Uniti ai 78mila della Grecia, i 49mila dell’Ucraina, i 58mila della Russia, i 43mila della Georgia dove però, avverte il sito, “non c’è un consolato in questo paese ed è necessario recarsi in Turchia per registrare il bambino”.
“Reato universale”
La storia di Arianna ha fatto molto scalpore sui media e ha rilanciato il dibattito sull’opportunità di rendere reato internazionale in tutti i Paesi la pratica dell’utero in affitto. Antonio Brandi, presidente della onlus Pro Vita & Famiglia, ha parlato di dramma disumano, conseguenza di una pratica altrettanto disumana. “L’utero in affitto deve subito diventare reato universale, non ci sono più scuse né alibi – afferma – più che ‘committente’ bisogna usare la parola ‘mandante’, perché l’utero in affitto è qualcosa di aberrante e disumano, un reato in Italia ma che dovrebbe esserlo anche se commesso all’estero da cittadini italiani”. Dal 23 settembre scorso in Commissione Giustizia alla Camera è in corso la discussione di due proposte di legge che prevedono la punibilità del reato di maternità surrogata anche se compiuto da un italiano all’estero. Le prime firmatarie sono Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, e Mara Carfagna, deputata di Forza Italia e ora ministro per il Sud e la Coesione territoriale. “Appare evidente come non sia più possibile lasciare i tribunali soli”, si legge nella relazione introduttiva alla proposta Meloni. Il testo definisce l’utero in affitto un esempio esecrabile di commercializzazione del corpo femminile e degli stessi bambini che nascono attraverso tali pratiche e che si rende conto di come i bambini siano trattati alla stregua di merci. “Tutto questo – si legge nel preambolo della norma – dimostra come la ‘favola’ della madre che generosamente presta il proprio corpo a una donna che non riesce a sostenere una gestazione sia lontana dalla realtà, celando un mercimonio di madri e di bambini”.
È una prospettiva simile quella disegnata dalla relazione introduttiva alla proposta di legge Carfagna, che attinge al “principio dell’indisponibilità del corpo umano”, secondo cui “l’acquisto, la vendita, o l’affitto dello stesso sono fondamentalmente atti contrari al rispetto della sua dignità”. Il testo accende i riflettori sulla filiera della maternità surrogata, costituita da “imprese che si occupano di riproduzione umana, nell’ambito di un sistema ampiamente organizzato che comprende cliniche, medici, avvocati e agenzie di intermediazione”.
“La maternità ridotta a lavoro e business”
A volare a Kiev per portare in Italia Arianna c’era anche Carolina Casini, pediatra in servizio all’ospedale Sant’Andrea di Roma e volontaria della Croce Rossa con la quale ha partecipato a diverse missioni umanitarie occupandosi sempre di bambini: “Sono andata in Bangladesh, Palestina, Tunisia, Kenya, Etiopia e ho lavorato anche in diversi centri per migranti nel Canale di Sicilia, a cominciare da Lampedusa – ha raccontato – ho visto tante situazioni difficili di minori, dai migranti a rischio della vita in mare alle missioni umanitarie in giro per il mondo, fino a bambini gravemente ammalati e senza la possibilità di curarsi. Ma questa vicenda è stata allucinante, assurda, ho avuto un vero e proprio shock e ho tanta rabbia. Un figlio non è un oggetto di cui disporre o farne quello che si vuole ma una persona che ha diritti precisi”.
Sul fenomeno della maternità surrogata Alessio Musio, docente di Filosofia morale all’università Cattolica di Milano e allievo del bioetici sta Adriano Pessina, ha scritto un libro dal titolo eloquente Baby boom, critica della maternità surrogata (Vita e Pensiero, pp. 280). “Nella maternità surrogata commerciale la gestazione e il parto diventano un lavoro e perdono così il loro significato peculiare che significa mettere al mondo il miracolo dell’unicità – spiega Musio – in questa pratica, di fatto gestazione e parto sono oramai pensate come una professione, e quindi rientrano tra gli atti che possono diventare preda della serialità lavorativa, cioè delle tante cose che ripetiamo quotidianamente lavorando. E pensare che per decenni si è lottato per proteggere la maternità dalle dinamiche del lavoro, mentre oggi è la maternità stessa a diventare un lavoro”.
Musio risponde anche a chi sostiene che criticare le modalità in cui un bambino viene concepito e fatto nascere significa mancare di rispetto al bambino stesso, considerarlo in qualche modo “sbagliato”: “È una strategia argomentativa usata per confondere le acque – afferma – criticare la maternità surrogata vuol dire criticare chi si arroga il diritto di far venire al mondo un figlio sottraendolo alla sua madre di carne. Non vuole certo dire negare lo statuto ontologico del figlio. Il figlio resta figlio. La dignità è un dato ontologico, strutturale, di ogni esistenza umana proprio per fatto di essere umana, ma ci sono situazioni che non sono all’altezza della dignità dell’uomo. E dunque devono essere modificate. È sbagliato trattare il figlio come una cosa e come una merce proprio perché il figlio non lo è”.
Per Musio dire no alla maternità surrogata significa salvaguardare la distinzione fondamentale tra generazione e produzione. Che significa? “Nel libro avanzo una critica ai figli di una generazione, quella venuta dopo il baby boom, che ha simultaneamente cominciato a non fare più figli e a generarli in modo tecnologico e commerciale – spiega – in ogni caso nel riscoprire il significato autentico della generazione in gioco è ciascuno di noi. Perché il figlio non è il bambino, ma la persona umana. Nel libro riprendo un’immagine dello scrittore Antonio Scurati che parla di ‘braccino corto nei confronti della vita’, che non si spiega con ragioni economiche e materiali. Abbiamo imparato a vivere per il ‘metro breve del presente assoluto’ in cui tutto si gioca nell’istante, in cui non trovano spazio le grandi narrazioni: la politica, quella vera, l’amore, la generazione dei figli”.