DALLA CROCE LA VITA
“Passione di Cristo passione per la vita” fu il titolo di un raduno generale dei passionisti nel Due-mila, anno del grande Giubileo e di fervide speranze per il nuovo millennio. Fu occasione di intimo godimento spirituale per le intuizioni emerse e condivise sul carisma di san Paolo della Croce. Ora quelle speranze sono stracciate nel primo ventennio del nuovo secolo, e di quella esperienza non resta traccia. Ma è incancellabile in chi la visse e la resse di persona.
L’evangelista Matteo accentua l’esplosione di vitalità che avviene nella morte di Gesù in croce. Oltre allo sconvolgimento terrestre, che nella bibbia accompagna le manifestazioni della divinità, egli parla anche di risurrezione di morti. I sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Mentre scrive si rende conto che non è conveniente che qualcuno risorga prima di Gesù, perciò prosegue e precisa: Uscendo dai sepolcri, dopo la risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti, Mt 27,33-34.
Sembra che non riesca ad aspettare la quarantina di ore che Gesù dimorerà nella tomba. È troppo evidente che quella morte ha provocato un’irruzione di vita. La proclamazione di divinità fatta dal centurione lascia l’inquietante interrogativo su quel che succederà del morto. Il suo modo di morire non è un normale decesso. È un morire a tesi, che vuole dimostrare un argomento. Tutti hanno fatto leva sui suoi poteri sino alla fine, per sfidarlo a scendere dalla croce. Può distruggere il tempio, è Figlio di Dio, ha salvato altri, può dunque liberarsi dalla situazione.
Certo che poteva, ma non l’ha fatto. Poteva rivelarsi come volevano loro, ma si è rivelato come voleva lui. Poteva farlo con un miracolo o con un intervento tecnico scientifico straordinario. Ad esempio farsi prelevare da un vascello spaziale o far esplodere una bomba atomica che avrebbe distrutto Gerusalemme e gran parte della Giudea. Ma così avrebbe rapinato la nostra adesione. Avremmo dovuto ammettere che ha ragione, ma senza fede e senza amore. Inoltre si sarebbe abbassato a competere con noi, dato che una ventina di secoli dopo avremmo fatto anche noi le stesse cose. Avrebbe stupito gli ebrei che cercano i miracoli e i greci che apprezzano la logica. Ma l’efficacia del segno si sarebbe esaurita lungo la storia.
Qual è dunque il segno che egli è Dio, in attesa dell’evento risurrezione? È il suo restare sulla croce. Se fosse sceso avrebbe dato un segno di potere, non scendendo ha dato il segno dell’amore. Così ci ha lanciato una sfida che non riusciamo mai a fronteggiare. Non abbiamo capito che in tutti i problemi e situazioni solo l’amore è la soluzione. Che cosa ne avremmo fatto di un Dio sceso dalla croce, quando noi non possiamo scendere dalle nostre croci, ma dobbiamo portarle e alla fine morirci sopra? Ora invece sappiamo che il Crocifisso resta con noi.
È uno dei più potenti nuclei sorgivi della contemplazione del Crocifisso. Tanto umano che si capisce bene. Tanto divino che non si può uguagliare. L’amore che sembra disprezzare la vita è la potenza che appassiona alla vita. Dal momento che questo dinamismo è vissuto dall’uomo-Dio Gesù di Nazaret che è risorto dai morti, esso permea e irrora le fibre più intime dell’essere umano e tutti possono anche inconsciamente sperimentarlo. È il recondito sentire che l’amore rende valide tutte le cose e non finisce mai, indipendentemente dalla fede o non fede. Consiste nell’amare la vita ad ogni costo, con accoglienza e adattamento, dedizione e passione. Spendersi non per il successo e il guadagno, ma per il misterioso e inesplicato bisogno di farsi dono per gli altri. Lo abbiamo visto nei molti professionisti, operai e volontari che durante la pandemia si sono prodigati fino a sfinirsi, o che durante la guerra rischiano la vita per informarci o per soccorrere i feriti, gli intrappolati nei rifugi, gli sfollati e seppellire i morti. Possiamo sperimentarlo tutti noi, specialmente se cresciuti nella conoscenza e amore del Crocifisso, se accogliamo e doniamo con passione la vita di ogni giorno.