DALLA COLOMBIA UN SUGGERIMENTO PER UN CAMMINO VERSO LA PACE
Potrebbe essere, quella del 23 marzo, la prima buona notizia del 2016 (se non l’unica, visto l’andazzo di violenza nel mondo), e viene dall’America Latina: fine della guerra civile che dal 1964 sconvolge la Colombia, con 250mila morti, migliaia di scomparsi, oltre cinque milioni di profughi su 49 milioni di abitanti, episodi di spietata crudeltà, distruzioni di ogni genere, un impatto negativo sull’economia e sulle condizioni della gente. È un negoziato lunghissimo, avviato nel 2012 con la mediazione di Cuba; nonostante gli ostacoli e le interruzioni è andato avanti fra il governo e le forze armate rivoluzionarie colombiane (le Farc), di ispirazione marxista e contadina. Sigillato da una storica stretta di mano, il 22 settembre 2015, fra il presidente Juan Manuel Santos e il capo della guerriglia, Timoleon Jimenez.
Il risultato era stato positivamente salutato da papa Francesco: nel discorso del 25 dicembre 2015 aveva auspicato che la gioia del Natale “illumini gli sforzi del popolo colombiano perché, animato dalla speranza, continui con impegno a perseguire l’agognata pace”. Ma già nel settembre della stretta di mano aveva espresso pubblicamente l’augurio che la lunga strada del dolore “con la volontà di tutti i colombiani si possa trasformare in un giorno senza tramonto di concordia, giustizia, fraternità e amore”. E la chiesa colombiana si era impegnata nella causa della pace, sostenendo la politica del presidente Santos, eletto nel 2010, rieletto nel 2014 anche per la decisione, sostenuta dalla sua pubblica opinione, di far proseguire i negoziati con i ribelli, nonostante le difficoltà.
La trattativa potrebbe servire di esempio, dal lontano Sudamerica, in ogni altra situazione. Mandata avanti per gradi, è cominciata con un accordo sulla questione agraria, favorendo le popolazioni rurali alle quali offrire alternative alla coltivazione della coca (la Colombia è uno dei maggiori produttori del mondo). La tappa ulteriore ha riguardato la legittima partecipazione alla politica di quanti erano stati nei ranghi dei ribelli. E poi la rinuncia al narcotraffico da parte delle Farc, che ne avevano tratto le risorse finanziarie. Il punto più delicato concerneva il modo con cui si dovessero giudicare i crimini compiuti durante la lotta e anche qui si è trovata una soluzione, incentrata sui risarcimenti alle vittime o ai loro parenti, a parte il diritto-dovere di condanne per delitti particolarmente efferati.
Resta il nodo “tecnico”: fine delle ostilità e consegna delle armi, insieme con la difficoltà che una piccola parte dei “rivoluzionari” (ideologizzati e veteromarxisti) non vuole mollare. L’ultimo passaggio per il pieno ritorno alla pace dovrebbe essere assicurato da una commissione, sotto la garanzia delle Nazioni Unite, composta da rappresentanti del governo, delle Farc e di osservatori esterni designati dalla Celac (la comunità di stati latino-americani, compresa Cuba, e di cui non fanno parte Stati Uniti e Canada). I membri del Consiglio permanente dell’Onu sono d’accordo, l’opinione pubblica anche. Forse è la volta buona.