dal fanatismo e dall’ignoranza
In più di cinquanta stati i credenti subiscono violenze, vessazioni e non di rado la morte per la loro fede nel vangelo
È diventata un simbolo Asia Noreen Bibi, pakistana a cattolica, detenuta da tre anni in un carcere del suo paese sotto l’accusa di blasfemia – cioè di bestemmia – nei confronti dell’islam. Un simbolo, appunto, delle persecuzioni cui in più di cinquanta stati sono sottoposti i cristiani, in particolare i cattolici. Sarebbero cento milioni nel mondo (lo ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco) i credenti che subiscono violenze, vessazioni e non di rado la morte per la loro fede nel vangelo. Asia Bibi è oggi presente nelle preghiere dei cristiani di tutto il pianeta, anche perché le imputazioni che le vengono mosse sembrano causate da intolleranza religiosa, della quale purtroppo il Pakistan è terra di elezione. Si ricorderà che nel gennaio del 2011 fu assassinato il governatore dello stato federale del Punjab, Salman Taseer, per aver criticato la legge sulla blasfemia appunto in relazione al caso di Asia; e pochi mesi dopo, in marzo, la stessa sorte toccò al cattolico Shabbaz Bhatti, ministro per le minoranze nel governo nazionale.
Qualche tempo fa il quotidiano Avvenire ha dedicato ad Asia una copertina con cinquemila firme di solidarietà, e ogni giorno continua a ricordarla come una coraggiosa testimone della fede. E non è la sola, perché dal 1987 altre sedici donne cristiane hanno subito la stessa sorte con l’accusa di “insulto all’islam”; l’ultima si chiama Agnes Nuggo ed è in carcere dal febbraio 2011. Ancor più clamoroso il caso di Younis Marih, detenuto da sette anni con la medesima imputazione: il suo processo va per le lunghe con il rischio di condanna a morte e per questo Amnesty International lo ha adottato come “prigioniero di coscienza”.
Il fanatismo si accompagna all’ignoranza e alla violenza. Si è avuta notizia di milleottocento conversioni forzate all’islamismo di giovani donne nel 2011, mentre nel 2012 si sono verificati 27 attentati di cui nove contro luoghi di culto, e cinque erano chiese cattoliche. È recente il brutale assassinio di sette volontarie impegnate nella campagna antipolio (il Pakistan è uno dei paesi maggiormente colpiti).
Ma nel continente asiatico l’intolleranza islamica non è la sola. La vicina India – considerata la più grande democrazia del mon-do, con oltre un miliardo di abitanti – si caratterizza per il fanatismo induista, del quale fanno le spese principalmente i musulmani, ma anche i cattolici: questi in particolare nello stato dell’Orissa, con una minoranza (il due per cento, poco più di settecentomila anime) sottoposta a violenze di ogni genere. A partire dal 2008 – quando furono uccise oltre cento persone, saccheggiate 295 chiese e distrutte seimila case – sino agli oltre duemila morti e ai diciassette attacchi a luoghi di culto e abitazioni nel 2011.
Delle centocinquemila vittime cristiane calcolate nel 2012 la maggior parte è da attribuire all’Africa, con la principale situazione di violenza della Nigeria ma anche con le altre di Eritrea, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Libia, Egitto. In Nigeria, uno fra gli stati più grandi e più ricchi di materie prime del continente, si ammazza la domenica e le feste comandate. Tremila, negli ultimi anni, i morti causati dalla setta estremista di Boko Haram, che vuole imporre nel nord del paese la legge coranica e cacciare i cristiani. Le stragi di Natale, dal 2010 a oggi, sono state barbari appuntamenti durante o all’uscita delle celebrazioni sacre. Nel 2012 a Madalla, la capitale di uno stato del nord, quattro attentati contemporanei nella notte di Natale hanno fatto trentanove morti, fra i quali numerosi bambini, e in un’altra città, Peri, sei assassinati alla fine della funzione e la chiesa data alla fiamme. Le autorità sembrano impotenti a contenere gli attacchi; si sono così verificati spiacevoli casi di autodifesa da parte di cristiani, con la caccia all’islamico e sanguinose rappresaglie, peraltro subito condannate dalla chiesa nigeriana, che, anzi, ha esortato al perdono e alla preghiera.
Altri casi di violenza in Kenya, con diciassette vittime, a luglio, in due assalti durante la messa; in Libia, dove ci sono stati, lo scorso giugno, due morti in un attentato contro la chiesa di Misurata. Più grave il caso dell’Eritrea, il cui dittatore, Jsaias Afewerki, sta conducendo una campagna di scristianizzazione che, dal 2007, anno in cui furono espulsi 15 missionari cattolici, ha portato in campo di concentramento alcune migliaia di fedeli. E in Egitto, dopo la recente presa di potere da parte di Mohamed Morsi con l’appoggio dei fratelli musulmani che vogliono imporre la legge coranica, i copti cristiani (otto milioni, un decimo della popolazione) nutrono timori di emarginazione. Anche ricordando il precedente delle stragi di Alessandria e del quartiere cairota di Imbava, con dodici morti e oltre duecento feriti.
La persecuzione ha anche altri aspetti. Come in Iran, con duecento arresti di convertiti, o nella striscia di Gaza, dove dominano gli estremisti islamici di Hamas, e in cui si verificano di frequente rapimenti e conversioni forzate. Un fenomeno che ha un precedente negativo in Asia, a Timor Est: l’isola, a maggioranza cattolica e che ha conquistato l’indipendenza dieci anni fa, reclama invano il ritorno di almeno mille ragazzi portati in Indonesia e lì islamizzati a forza. Senza contare gli esodi: dall’Irak, dalla Siria, dal Libano, dove ai cristiani è sempre più difficile resistere a un islamismo aggressivo che scarica sulle minoranze le difficoltà delle guerre fratricide di religione fra musulmani, sciiti, sunniti, alauiti e wahabiti.