CALANO I MATRIMONI, SOPRATTUTTO IN CHIESA

By antonio sanfrancesco
Pubblicato il 2 Giugno 2019

In Italia ci si sposa sempre di meno, soprattutto in chiesa, e in situazioni particolari (seconde nozze, coppie miste, eccetera). I dati dell’Istat non lasciano spazio a dubbi. Tra il 1974 e il 2014 la riduzione del numero di matrimoni è stata del 52,9 per cento. Solo nel decennio 2004-2014 la riduzione è stata del 23,8 per cento.

Oggi le coppie che dicono sì davanti all’altare sono meno del 57 per cento del totale dei matrimoni celebrati, mentre erano il 68,1 per cento nel 2004, nel 1994 erano l’80,9 e addirittura il 91,7 nel 1974. In soli vent’anni, dal 1994 al 2014, si è avuto un crollo dei matrimoni religiosi di 24 punti percentuali. Nessuna novità, per certi versi. Se il trend degli ultimi vent’anni sull’emorragia dei matrimoni religiosi sarà confermato e non ci sarà un’inversione di tendenza, nel 2020, tra due anni, secondo il Censis in Italia si avranno più matrimoni civili che religiosi e nel 2031 non sarà celebrato un solo matrimonio nelle chiese italiane. Uno scenario estremo, certo, ma plausibile. Di recente, da uno studio di Eurostat (l’equivalente europeo del nostro Istat) sull’andamento dei matrimoni nei Paesi dell’Unione Europea è emerso che l’Italia si colloca al penultimo posto in tutta Europa per numero di matrimoni ogni mille abitanti: solo 3,2. Peggio di noi c’è solo la Slovenia, con 3,1, mentre la media europea è 4,3, ma vi sono paesi come la Lituania e la Romania che superano i 7 matrimoni per mille residenti. Anche nazioni del centro-nord Europa, come la Danimarca, la Svezia, l’Austria e la Germania viaggiano tra i 5 e i 5,5 matrimoni. La crisi delle nozze, unita a quelle delle nascite, riguarda prevalentemente i giovani. Non a caso papa Francesco in Amoris laetitia scrive: “Abbiamo bisogno di trovare le parole, le motivazioni e le testimonianze che ci aiutino a toccare le fibre più intime dei giovani, là dove sono più capaci di generosità, di impegno, di amore e anche di eroismo, per invitarli ad accettare con entusiasmo e coraggio la sfida del matrimonio”.

Ma perché il matrimonio non solo religioso non tira più? “L’elemento principale che determina questo progressivo calo può essere sinteticamente definito come ‘privatizzazione’ della relazione di coppia”, è l’analisi di Francesco Belletti (nella foto), sociologo e direttore del Cisf (Centro internazionale studi famiglia). “Il rapporto tra due persone trova solo al proprio interno buone ragioni, e si rifiuta la sua dimensione pubblica, la sua rilevanza sociale. Fare famiglia è scelta privata, priva di dimensione istituzionale, e quindi il matrimonio viene rifiutato, proprio nel suo essere il momento in cui la libertà di scelta privata dei coniugi si istituzionalizza, viene riconosciuta da un pubblico ufficiale, viene confermato da alcuni testimoni. Perché quell’amore privato con il matrimonio diventa pubblico. Ma è proprio quello che l’uomo post-moderno non vuole; la coppia vuole essere arbitro unico e artefice della propria storia”.

L’amore ridotto

a emozionalità senza progetto

Un altro aspetto di questo indebolimento costante è dovuto all’esaltazione dei sentimenti. Spesso si sente dire che l’amore è amore e non ha bisogno di etichette o della sottoscrizione patti tra le persone che si amano: “Siamo di fronte alla semplificazione dei codici della relazione di coppia e della famiglia, che vengono ridotti alla pura sfera dei sentimenti e degli affetti percepiti; così non sento più niente per l’altro significa la fine della storia. È la vittoria dell’innamoramento come esperienza puramente emozionale sull’amore – afferma Belletti – inteso come progetto, come intenzione della persona che orienta i sentimenti ad una scelta consapevole di vita. Si tratta di un drammatico impoverimento nella vita delle persone, che se condividono la vita condividono anche aspetti concreti, progetti, sogni, investimenti, promesse, mentre questa riduzione emozionale lascia la coppia priva di strumenti di gestione delle criticità. Se non sento più niente, me ne vado. Questo secondo elemento si collega ad un crescente individualismo, alla priorità  per l’autorealizzazione dell’individuo, che mette in secondo piano la tenuta del rapporto e del progetto di coppia. Se io non sento più niente, tu non mi interessi più, e non ho più doveri, impegni, promesse nei tuoi confronti. Ben misero ancoraggio, la sfera emozionale, verso un progetto di vita insieme tendenzialmente per sempre”.

Un altro aspetto che impatta sulla questione è la crescente secolarizzazione della società occidentale che produce, o almeno è concausa, della diminuzione dei matrimoni religiosi, ma provoca anche un indebolimento del progetto a lungo periodo, della relazione “permanente”, per non dire del “per sempre”. E la crisi economica quanto ha pesato e pesa in questo calo drastico? Lavori precari, poche tutele, incertezza di un reddito. “È un fattore rilevante perché – ragiona Belletti – di fatto parlare di matrimonio significa tuttora parlare soprattutto dei progetti di vita delle generazioni più giovani; ma è proprio quella dei giovani la generazione più penalizzata dal sistema economico, soprattutto nel nostro paese. Incertezza dei rapporti lavorativi, lavori con orari che penalizzano la conciliazione vita-lavoro, difficoltà abitative, scarse politiche per i giovani e per la natalità. Tutti elementi sociali che remano contro i progetti di vita, di coppia e di famiglia dei giovani”.

Ma accanto a questo aspetto prettamente economico ce n’è anche uno più profondo, culturale.

“Ci sono troppe famiglie vischiose, che non sanno più essere trampolini di lancio, e giovani che si adagiano su comportamenti opportunistici: resto a casa dai miei, dove non pago affitto, c’è chi stira, cucina e pulisce la casa per me – spiega Belletti – ma credo che questa dinamica intergenerazionale interna alle famiglie sia più spesso causata dalle rigidità e difficoltà socio-economiche, che resta la causa prima della disaffezione al matrimonio, soprattutto nel nostro paese”.

Unioni civili,

un dibattito sbagliato

Negli ultimi anni in Italia, e non solo, gran parte del dibattito politico si è concentrato sulle unioni civili sottraendo tempo, risorse ed energie a una politica più equa ed efficace a favore delle famiglie: “Di fatto la grande discussione sulle unioni civili e sulla regolazione delle coppie di fatto alla fine ha partorito un topolino – nota Belletti – sono poche migliaia , poco più di settemila, dopo quasi due anni, le unioni civili registrate e già si contano le prime separazioni precoci, anche al loro interno, che, ricordiamolo, sono riservate alle coppie dello stesso sesso. Quindi fiumi di inchiostro, di dibattiti parlamentari, per dare regole e diritti che si sarebbero potuto gestire diversamente”.

Per Belletti, però, “questo dibattito ha fortemente accentuato la riduzione alla sfera emozionale e dei sentimenti di quello che è matrimonio e famiglia: esemplare il banale ma efficace slogan di Barack Obama Love is Love, spesso tradotto, nel nostro dibattito, nella frase ‘c’è famiglia dove ci sono relazioni di affetto’. Invece matrimonio e famiglia hanno proprie caratteristiche socialmente rilevanti e distintive, connesse anche alla concezione della famiglia e del matrimonio come istituzione”. Insomma, la famiglia non è regolata solo dal diritto privato, pur decisivo, per garantire diritti e regole di funzionamento ai singoli membri, in particolare ai più fragili, ma deve essere considerata anche una “istituzione di rilevanza pubblica”. In questo senso, osserva Belletti, “l’introduzione nel dibattito attuale della possibilità di sottoscrivere accordi prematrimoniali, che saranno patrimoniali, ma anche di qualità delle relazioni, è l’ennesima conferma di una progressiva deriva alla ‘privatizzazione’ anche economica delle relazioni familiari. Non è un caso che la patria degli accordi prematrimoniali siano gli Stati Uniti, dove predomina la logica di mercato”.

“Bisogna tornare a testimoniare

che la famiglia è una buona notizia”

Cosa si potrebbe fare per arrestare l’emorragia? Servono nuove politiche familiari? “Restituire alla famiglia rilevanza pubblica e farla uscire dalla privatizzazione è un obiettivo complesso e di difficile perseguimento – secondo Belletti –  perché prevale, nel discorso pubblico una logica individualistica di ‘slegami’, ogni persona sarà tanto più felice quanto più non avrà legami; ma la famiglia vive costitutivamente di legami, di reciprocità, di debito/dono, di promessa e di impegno verso l’altro. Si è felici, in famiglia, proprio perché si è legati insieme. Purché, ovviamente, si tratti di legami di solidarietà e di rispetto reciproco, e non di legami prevaricanti o imprigionanti come purtroppo capita in non poche famiglie in situazioni che sono quasi patologiche”.

La sfida quindi è prima di tutto culturale, prima ancora che economica o di politica familiare. “Certo – conclude Belletti – un sistema fiscale come il nostro, che penalizza le famiglie, e soprattutto le famiglie con figli, a favore degli individui dal punto di vista fiscale, delle regole del lavoro, degli stili di vita, non può che accentuare una fatica nella cultura dei legami. Politiche familiari che promuovono la stabilità delle relazioni, che premiano chi fa figli, che proteggono chi svolge nella famiglia compiti di cura, certamente aiuterebbero anche a riportare un po’ più di sereno sui progetti di coppia e matrimoniali dei giovani. Ma serve prima di tutto tornare a dire – e a testimoniare – che la famiglia è una buona notizia, e che la ricerca delle felicità è molto più facile se si hanno legami forti con chi si ama. Ad esempio, sono molti i servizi e gli interventi, meritori e spesso indispensabili, per aiutare le coppie a separarsi senza conflittualità distruttive, soprattutto verso i figli, ma molto pochi sono i servizi e gli interventi che aiutano le coppia con qualche fatica a non separarsi. Certamente investire in prevenzione e sostegno della tenuta delle famiglie aiuterebbe anche ed evitare conflitti distruttivi”.

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