BASTA CON LA TV DEL DOLORE

By Paola Severini
Pubblicato il 4 Luglio 2020

Quando si parla di sociale, di Terzo settore, dei più deboli non si può che pensare a Paola Severini Melograni. Una vita spesa dalla parte degli ultimi, il “luogo” privilegiato per incontrare il Signore. Ha sempre frequentato le vie della sofferenza, una sorta di calamita verso l’amore gratuito e la misericordia. Quell’amore che ti porta a mutare continuamente i programmi, ad abbandonare le sicurezze, le comodità in quanto l’altro ogni giorno mette alla prova la tua disponibilità. Lei la solidarietà l’ha sempre incarnata con i fatti, alle parole ha dato sempre un seguito di concretezza. Cattolica praticante, non ha mai smarrito, neanche nei momenti sfocati che la vita riserva a ognuno di noi, il compito di passare il testimone, di donare agli altri, di dare un senso sempre e comunque alla vita. Tutte le cose, anche le più piccole, hanno un significato di vita e lei non le ha mai tralasciate, impegnandosi pienamente nel lavoro inteso come spirito di servizio. A testimoniarlo è la sua significativa storia professionale – giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica e televisiva – dove il mondo della disabilità, del volontariato e dell’associazionismo hanno rappresentato una bussola irrinunciabile. La via maestra che ha come compagni di viaggio la solidarietà, l’amore e la misericordia. Un mondo abitato solo dalle cose che contano e naturalmente contrassegnato dalla presenza di Dio.

Ha fondato e diretto per sette anni il mensile Angeli realizzato da persone con disabilità, mentre dal 2000 dirige angelipress.com, l’agenzia di comunicazione sociale che ha fornito il Parlamento italiano per 18 anni e che oggi interagisce solo con il Senato. Dal 1988 a oggi ha seguito diversi conflitti nel mondo, tra cui quello nell’ex Jugoslavia dove ha prodotto un docufilm per Rai 3 Miss Sarajevo e Il Giorno della Libertà, sempre su Rai3, in occasione dei 30 anni dalla caduta del muro di Berlino.

Tra le altre attività, spicca come autrice e conduttrice del programma Rai2 O anche no che affronta temi della disabilità in maniera non convenzionale e innovativa. Giunto alla terza edizione, ripartirà in autunno con 37 puntate.

Su Rai 1, invece, è stata chiamata a condurre Insieme con… Rai per il sociale, lo spazio voluto dal Tavolo Sociale della Rai per sostenere le persone con difficoltà durante l’emergenza Covid-19. Una striscia quotidiana, seguitissima, in onda subito dopo la messa di papa Francesco da Santa Marta. Per quanto concerne la radio, su Gr Parlamento guida i programmi Federalismo Solidale e No Profit. Infine è moderatrice e ideatrice dei Dialoghi a Spoleto, talk sull’empowerment femminile, ospitato dal Festival dei due Mondi.

Paolo VI amava ripetere che a chi bussa alla nostra porta, perché soffre o è nel bisogno non possiamo dire “passa domani…”. Ecco, nella storia professionale e umana di Paola Severini Melograni non c’è mai stato un “passa domani”. Anche perché una società sana e responsabile come prima cosa dovrebbe sempre assicurare il necessario agli ultimi, ai più deboli. E nello stesso tempo mandare un efficace messaggio di fiducia ai nostri giovani, coloro che dovranno costruire le società future.

Tra una diretta e l’altra abbiamo raggiunto al telefono la nostra gentile interlocutrice. Ecco cosa ci siamo detti.

Quale consuntivo viene fuori dalla striscia mattutina Insieme con… di Rai 1?

Nonostante il tempo veramente contingentato, a volte abbiamo 6 minuti, altre volte 5, addirittura 4…, il rapporto che si è costruito con il pubblico è di grande fiducia. Fiducia che non passa soltanto attraverso un collegamento per così dire di consolazione… Lo vediamo dalle mail che riceviamo e dalle richieste. La popolazione italiana dopo il Covid-19 ha bisogno di una comunicazione autorevole ma nello stesso tempo affettuosa, non aggressiva e che non faccia preoccupare più del necessario.

Chi ha creduto di più in questo Tavolo per il sociale?

Certamente un grandissimo impegno è stato messo in campo da tutti i quattordici direttori che lo compongono, e in particolar modo dal coordinatore Giovanni Parapini e dal vice coordinatore, Roberto Natale, che è anche referente di Responsabilità Sociale Rai, quello che una volta si chiamava Segretariato sociale della Rai.

Qual è stato a suo avviso il segreto di questo successo?

Il fatto che questa strada è stata aperta da O anche no, il format sulla disabilità positiva che è servito e che ha avuto in pratica tre cicli: le prime dieci puntate nell’autunno inverno 2019, quindici di cui le prime 5 a gennaio 2020 e le altre nel periodo Covid-19, oltre alle repliche. È stata l’apertura di un nuovo modo di fare comunicazione sociale in Rai, facendo diventare protagonisti quelli che una volta erano l’oggetto dell’argomento. E quindi possiamo dire che Insieme con Rai per il sociale è la start up di O anche no, da vicino nessuno è normale.

Quali sono state le difficoltà maggiori, in questo lungo periodo di emergenza sanitaria, per parlare di Terzo settore e disabilità?

Più che difficile direi che è stato un percorso doloroso, ma il mondo del Terzo settore e della disabilità ci sono venuti incontro.

Una vita spesa dalla parte degli ultimi. Quanto è difficile guarire dall’autosufficienza? Riconoscere cioè di non essere supereroi ma creature umane e quindi fragili e mortali che necessitano dell’aiuto dell’altro…

Se non avessi la fede non potrei sostenere il dolore di tanta gente che a volte mi viene addosso come se fosse una slavina… Io non mi sento mai autosufficiente, c’è qualcuno che mi prende per mano e mi insegna ciò che devo fare. Anzi in un altro modo mi affido completamente al Signore.

Cosa dovrebbe fare il Servizio pubblico televisivo per dare risposte concrete a una larga fascia di popolazione che spesso ha difficoltà a far ascoltare la propria voce?

Dovrebbe continuare per questa strada… Abbiamo capito, compreso tutto il Tavolo per il sociale, che questa è la via che bisogna continuare a percorrere. Non se ne può più della pornografia del dolore…

A cosa si riferisce?

A uno stile e ad alcune personalità del mondo della comunicazione che ovviamente non appartengono solo al piccolo schermo. Parlo in generale. Mi riferisco a quelli che usano il dolore per sbandierare la propria presenza, la propria visibilità. Ad esempio ci sono tanti testimonial che lo fanno quasi come mestiere mettendo prima la loro visibilità e poi l’obiettivo. Per quanto concerne la tv del dolore, quella che insiste per anni anche su una visione orrenda, ricordo ad esempio la morte della povera ragazza Yara Gambirasio. Ore e ore di televisione su particolari orribili e miserabili che potevano sicuramente essere risparmiati al pubblico.

Come si condivide il dolore?

Nessuno si può mai identificare nel dolore degli altri, però è la parola compassione, che vuol dire patire insieme, quella più importante. Vuol dire condividere per un tratto di strada quello che prova l’altro.

La pandemia che ha colpito l’intero pianeta crede che ci renderà veramente migliori? Mi riferisco ad azioni e gesti concreti e non alle tante buone intenzioni…

Ne sono certa: la pandemia ci abbia resi migliori, i gesti concreti li vedo quotidianamente, ogni giorno c’è un miracolo che posso registrare e raccontare al mio pubblico.

C’è qualche storia che più di altre l’ha colpita?

No, ogni storia è un miracolo, ma è una meraviglia a sé. In ogni mamma vedo la Madonna che vede il figlio sulla Croce. Ce ne sono tante di Madonne, io e la mia redazione ogni giorno condividiamo il dolore di tante mamme. Sono sicuramente loro, essendo anch’io mamma e nonna, le persone alle quali mi sento più vicina.

Come se ne esce allora? Qual è la strada da seguire per una televisione più umana e attenta alle esigenze della gente, soprattutto quella meno protetta?

Chiamando solo persone competenti. San Giovanni Bosco diceva che il bene bisogna farlo bene… Ecco, così se ne esce. Non tutti, infatti, sanno fare tutto. Io parlo solo di cose che conosco.

Solitamente le buone notizie fanno poco share, di conseguenza ci si adegua proponendo varie trasmissioni che raccontano lo spettacolo del dolore. Una sorta di voyerismo morboso della cronaca nera… Google trends, invece, ha svelato che nei tre mesi di lockdown c’è stato un forte incremento del popolo social alla ricerche di buone notizie… Che lettura dare a questa contraddizione?

Non sono d’accordo. Io, ad esempio, mi sono battuta come una tigre, pagando anche personalmente dei prezzi altissimi, per poter portare Ezio Bosso a Sanremo perché sapevo che sarebbe stato un risultato di positività e di visone diversa della disabilità dei talenti da parte di un pubblico enorme e indifferenziato. Un altro caso è quello dei Ladri di carrozzelle. Nel 2016 portai Ezio Bosso a Sanremo, che non andò in prima serata ma alle 23 in una puntata intermedia, quelle importanti infatti sono la prima e l’ultima. Fu collocato in un orario sicuramente non positivo perché non ci credevano. Invece lo share e il successo furono significativi… Questo mi ha dato la possibilità, nel 2017, far esibire a Sanremo i Ladri di Carrozzelle, nella fascia di ascolto più importante, il sabato sera, facendo dieci milioni e mezzo di ascoltatori. La contraddizione, quindi, a mio avviso è relativa. Certamente dipende dalla fascia di ascolto, dalla collocazione e soprattutto da come si pongono. È chiaro che se la fascia di ascolto è pessima e la rete non ci crede, oppure è collocata in una giornata sbagliata, tu puoi fare anche la cosa più bella del mondo ma non avrai i risultati che meriti… Sarebbe come andare in autostrada con la bicicletta…, non è possibile. Bisogna dunque unire il discorso della competenza sociale con la conoscenza della comunicazione, cercando però di non bleffare perché la televisione è una grande lente di ingrandimento e alla fine il pubblico sa scegliere e giudica. Ripeto, Bosso e i Ladri di carrozzelle sono la prova provata.

Cos’è per Paola Severini Melograni il Terzo settore?

È l’esercito del bene, la riserva positiva di carburante per fare andare avanti la macchina del sistema Paese e nello stesso tempo è una specie di giardino dove purtroppo, insieme a un albero da frutto, nasce anche l’erbaccia, l’ortica. Quindi bisogna fare in modo di selezionare e di valorizzare quello che di buono può produrre il Terzo settore. Purtroppo, infatti, nel mondo delle Onlus esistono anche delle cose che non vanno e basta una mela marcia per danneggiare tutto il resto. Non dimentichiamo quello che è successo a Roma con la storia del cosiddetto mondo di mezzo, Buzzi e Carminati e le cooperative sociali. È stato un danno indicibile…

Se fosse nella squadra di Governo qual è la prima cosa che chiederebbe di fare in questa direzione?

Certamente di ripristinare un organismo di controllo, che una volta si chiamava Agenzia per le Onlus e che adesso dovrebbe essere un’Autority. E poi la legge del Terzo settore la cui l’applicazione, in realtà, non ha visto ancora la luce. Prevede sì delle possibilità di albi ma c’è bisogno di uno strumento veloce, determinante e immediato per indirizzare, controllare e punire. Perché, ripeto, basta una mela marcia a distruggere la credibilità di un mondo. I danni si fanno in un attimo ma poi per aggiustarli ci vogliono anni e anni… In questo momento, dunque, abbiamo assolutamente bisogno di tale strumento proprio perché il Terzo settore rappresenta un elemento essenziale per la ricostruzione del Paese.

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