L’Abruzzo è la regione che in rapporto ai suoi abitanti paga il tributo di morti sul lavoro tra i più alti d’Italia. Nel 2023 le vittime del lavoro sono state 36, rispetto ai 21 del 2022. Non è più accettabile. È una strage. Morti abruzzesi in regione e fuori regione. Luigi Coclite, originario di Montorio al Vomano, qualche settimana fa, è rimasto sotto le macerie nel crollo delle strutture in cemento armato del supermercato di Firenze. La logica del profitto, del guadagno a tutti i costi, mai come in questo periodo, prevale sulle misure di sicurezza. È giusto riassumere queste tragedie con frasi che toccano il cuore delle persone: “morire per il proprio lavoro”, “uscire per il lavoro e non rientrare a casa”, “il prezzo della propria vita per un misero guadagno”.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non è la prima volta che fa sentire alto il richiamo rivolto alle istituzioni per interventi che al primo posto pongano la sicurezza dei lavoratori che operano nei cantieri, nelle fabbriche, nelle grandi imprese di costruzioni. Bisogna parlarne sempre, di continuo, non solo quando le tragedie avvengono e non c’è più possibilità di metterci riparo. Non spegnere i riflettori solo dopo qualche giorno dai luttuosi avvenimenti. Il pericolo è quello dell’assuefazione, dell’abitudine che anestetizza il risentimento pubblico. Nel descrivere i drammi familiari che queste tragedie provocano; parlare dei lutti, delle mogli e dei figli che vengono gettati nella disperazione più assoluta, senza una ragione plausibile che possa, in una qualche misura, lenire lo sconforto e la rabbia per una vita immolata sull’altare del lavoro, è un aspetto del dramma.
L’altro aspetto è quello che deve portare a chiedersi quali sentimenti evocano i drammi umani nelle coscienze di chi rappresenta le istituzioni e che poco, molto poco, fa per prevenirli e in quelle dei titolari delle imprese, delle fabbriche e dei cantieri dove le tragedie si consumano. Poca cosa, crediamo. Perché le stesse misure di sicurezza che sono mancate e che hanno prodotto le tragedie, mancheranno dopo qualche settimana, se non addirittura dopo qualche giorno.
E allora siamo punto e a capo. Perché di fronte a questi innocenti lavoratori che ci lasciano la vita la questione non viene percepita come emergenza nazionale? Perché tutto si diluisce e si annacqua con semplici statistiche e non si va al nocciolo del problema? E il cuore della questione è il profitto. Le aziende rinunciano a investire in sicurezza, perché costa troppo, e riduce i margini di guadagno. Nei cantieri si adottano solo misure di salvaguardia molto parziali, anzi a volte si disattivano anche quelle per produrre di più. Per aumentare i margini degli utili a fronte di appalti che sono stati vinti con il massimo del massimo del ribasso. Assegnati, molto spesso, a imprese di subappalto. Spesso in subappalto del subappalto. E le istituzioni cosa fanno? Riducono i costi di trasferta degli ispettori del lavoro che dovrebbero controllare i cantieri. Non viene rimborsato nemmeno il costo della benzina. Perché dovrebbero fare le ispezioni a loro spese? Non solo: gli ispettori del lavoro sono pochi. Non si fanno i concorsi.
Tutto questo non è più accettabile in un Paese che si vuole civile e che si fonda costituzionalmente sul lavoro e sul diritto alla vita.