SE INARIDISCONO LE RADICI CRISTIANE
La grande migrazione che ha investito l’Europa – dall’Africa e dal Medioriente – ha messo in discussione l’Unione Europea. Perché ha suscitato paure. La paura del mondo che ci invade ed entra a casa nostra. La grande migrazione ha amplificato la domanda di frontiere, di confini, di muri. Per difenderci dagli altri.
L’Europa è sull’orlo di una crisi umanitaria che in larga misura è stata autoindotta, non solo dalle politiche degli ultimi mesi, che hanno visto una clamorosa divisione e disorganizzazione dei 28 stati, che ha messo in crisi lo stesso modello europeo. In qualche modo, e proprio nei suoi aspetti più tragici, è stata autoindotta da anni di politiche precedenti. Quasi la totalità dell’opinione pubblica europea (e numerosi politici) ignorano i meccanismi dell’immigrazione extracomunitaria e non si chiedono perché uomini, donne e bambini si stipano su barconi e gommoni per traversate che si possono compiere con un aereo di linea, comodamente, senza dover rischiare la vita, e pagando dieci volte meno a una compagnia aerea invece che a trafficanti senza scrupoli. Per alcune categorie di profughi, come una certa percentuale di siriani in fuga dalle bombe, o di cittadini di dittature che non concedono il diritto di espatrio, come l’Eritrea, completare una pratica formale per l’ingresso (anche da semplici turisti) nella Ue è impossibile a causa della mancanza dei documenti. Per la maggior parte dei paesi dai quali provengono i richiedenti asilo la procedura è disponibile. Ma se decine di migliaia di persone non vi fanno ricorso scegliendo la strada pericolosa e difficile dell’immigrazione clandestina la spiegazione è semplice: non possono ottenere un visto per l’Europa.
Vista da fuori, l’Europa è un fortino che non vuole intrusi. Si commuove per la foto del piccolo Aylan, ma non si chiede perché è morto affogato quando in un mondo normale ai suoi genitori sarebbe bastato comprare un biglietto, imbarcarsi su un aereo, per esempio, a Istanbul e atterrare a Roma, Vienna o Parigi con un visto turistico, o anche senza, considerando che ormai le fiumane di migranti arrivano spesso sprovvisti anche dei documenti d’identità. E poi andare a cercarsi un lavoro, chiedere asilo, rifugiarsi in una struttura della Croce rossa, insomma provare a sopravvivere e cominciare una nuova vita. Come hanno fatto gli immigrati da sempre, come facevano italiani, irlandesi e polacchi quando sbarcavano a Ellis Island, come fanno tuttora gli immigrati negli Usa e in altri paesi dove l’accoglienza statale è inesistente.
Le campane non suonano più nei tanti campanili delle bellissime cattedrali d’Europa e inevitabilmente le radici cristiane si stanno inaridendo. Anche san Gabriele, per quanto possa sembrare fuori tempo, vivendo nella Spoleto bene, inquinata dagli avvenimenti risorgimentali ed unitari che toccarono anche membri della sua famiglia, si rese conto che doveva fare una scelta radicale di vita. Il mondo non si cambiava con le chiacchiere o con la politica, ma con una vita donata, offerta. Era perfettamente consapevole che continuare a vivere in una certa maniera, leggendo alcuni romanzi, frequentando certe compagnie sicuramente si sarebbe rovinato. Dopo alcuni anni che era in convento poteva scrivere “la contentezza e la gioia che io provo entro queste mura è quasi indicibile, a paragone dei vani e leggeri passatempi mondani che gustavo nel mondo”. Se questa nostra Europa non recupera le sue radici cristiane è inevitabilmente destinata ad essere fagocitata dalle sabbie mobili del mortale perbenismo borghese. catiadiluigi@inwind.it