LA MOTO PERÒ RESTA ACCESA…

Il vescovo biker Giulio Mencuccini ha lasciato l’Indonesia
By Lorenzo Mazzoccante
Pubblicato il 28 Febbraio 2023

Lo scorso 30 novembre è tornato in Italia monsignor Giulio Mencuccini, vescovo passionista, missionario in Indonesia per quasi 50 anni. Sacerdote dal 1973, missionario dal 1974. Dal 1990 vescovo della Diocesi di Sanggau per volontà di Giovanni Paolo II, i lettori lo ricorderanno come il vescovo biker, organizzatore di motoraduni e motopercorsi per raccogliere fondi per le opere nella sua Diocesi.

Come è nata la sua vocazione alla missione, e perché in Indonesia?

Le missioni estere hanno sempre esercitato su di me un forte fascino. Ricordo che nell’alunnato, c’era un Circolo Missionario col suo bollettino e preparavo lavoretti in ferro battuto da vendere per finanziare le missioni e riportavo le notizie dalle nostre missioni estere. Nel 1973, quando sono stato ordinato sacerdote, l’Italia aveva molti sacerdoti e religiosi e andare in missione all’estero era un modo per vivere il sacerdozio.

Come ha trovato la situazione dell’Indonesia al suo arrivo?

L’Indonesia è stata una colonia olandese e fino agli anni 50. Conquistata l’indipendenza, ha allontanato dal Paese tutti gli olandesi (anche i missionari). Noi passionisti italiani, venuti a sostituire gli olandesi, siamo scesi a Sanggau, sull’isola del Borneo, in un contesto del tutto rurale: sparsi su circa 20mila chilometri quadrati, c’erano tanti piccoli villaggi e una sola strada! La via di comunicazione principale era rappresentata dai fiumi. La religione più diffusa era quella animista, i battezzati erano meno del 10% su una popolazione di quasi 150 mila abitanti. I missionari dovevano spostarsi con mezzi di fortuna tra i villaggi annunciando il vangelo e facendo conoscere la religione cattolica.

Quale è la situazione dell’Indonesia oggi?

La situazione è molto cambiata negli anni. La diffusione della palma da olio, ma anche la riforma sanitaria dell’attuale presidente della Repubblica, hanno molto migliorato la vita delle persone.

È stato il primo vescovo di Sanggau. Come è cambiata la situazione dei cristiani nei suoi 32 anni di episcopato?

Sanggau prima dipendeva da Pontianak. Fu costituita diocesi e mi fu affidata nel 1990. Dagli anni 70, quando siamo arrivati, ad oggi, la popolazione è passata da circa 150 mila a oltre 760 mila abitanti. E i battezzati da meno del 10% a circa il 50% della popolazione. Per rendere meglio l’idea, basti pensare che, in 32 anni di episcopato, ho amministrato circa 100mila cresime, benedetto 966 chiesa e ordinato 189 sacerdoti tra presbiteri e diaconi.

Quale è la situazione dei passionisti in Indonesia?

Attualmente la Provincia indonesiana conta circa 200 religiosi. Nella sola diocesi di Sanggau sono 18 e sono parroci di altrettante parrocchie. Il motivo di tante vocazioni va probabilmente ricercata nel fatto che i nostri religiosi lavorano a contatto coi giovani (nelle scuole) e sono molto preparati: questo fa apparire la vocazione come qualcosa di desiderabile.

Come è la vita dei nostri religiosi in Indonesia?

La giornata inizia alle 5,30. Alle 6 c’è la messa. Alle 7 inizia la giornata con l’apertura degli uffici della diocesi. Poi ciascuno va alla sua attività: chi nelle scuole e chi nelle parrocchie. Chi ha parrocchia, spesso deve viaggiare: in diocesi ci sono 27 parrocchie composte ciascuna da circa 30-35 villaggi della dimensione di Fossacesia Marina.

Viste le distanze, non sempre è possibile raggiungere tutti i villaggi di una parrocchia, ma per fortuna, specialmente in tempi recenti, ci è venuta in soccorso la diffusione delle connessioni veloci. Anche internet può servire per portare il Vangelo.

Cosa piace di san Gabriele agli indonesiani?

Il missionario Carlo Marziali ha tradotto varie vite di san Gabriele. Quello che attira è la vita semplice di un “figlio di un governatore”. Il fatto che Gabriele non fosse un contadino ma uno con mille possibilità e abbia scelto questa vita, li affascina. E il fatto di trovarsi in un collegio retto dai nostri religiosi, magari davanti a una statua di san Gabriele, li porta a confrontarsi con la vita di questo giovane santo.

Qui a san Gabriele la Tendopoli raccoglie centinaia di giovani. Esiste qualcosa di simile in Indonesia?

La Tendopoli, intesa come città di tende, è il modo normale di fare gli incontri dei giovani. Così oltre alla tendopoli diocesana c’è quella della Giornata della Gioventù indonesiana. Quest’ultima è iniziata nel 2012 per riflettere sul tema dell’amicizia e l’argomento ebbe una tale presa che parteciparono giovani cattolici, protestanti e anche musulmani. Alcuni momenti erano vissuti in comune, mentre per la preghiera si ritrovavano nei loro gruppi.

In Italia lei è noto come il vescovo biker. I motoraduni che organizzava erano sempre grandi eventi utili a raccogliere fondi per la sua diocesi…

È vero. Lo Stato e la popolazione locale aiutano nella costruzione delle chiese, ma è stato grazie ai motoraduni ho potuto realizzare molti convitti e scuole. E quando il presidente della Conferenza episcopale mi ha presentato al presidente della Repubblica indonesiana mi ha definito uskup moghé (il vescovo delle moto di grande cilindrata).

È da poco tornato in Italia. Quali sono le principali differenze con l’Indonesia?

L’Italia è tutto un altro mondo. Sul piano politico, in Indonesia c’è una democrazia “controllata”. Intendo dire che qui ciascuno è libero di parlare e sparlare (non a caso il Papa parla spesso del chiacchiericcio). In Indonesia ci sono libere elezioni, ma quanto stabilito per legge o detto dal presidente non si discute. Per il Covid, ad esempio, una volta che il presidente ha detto di vaccinarsi, ci si è adeguati alla direttiva. In Italia invece avete avuto movimenti No vax Non solo. Le differenze ci sono anche sul piano di fede e costumi. In Italia vedo che i giovani non frequentano la Chiesa come in passato. E poi ci sono grandi battaglie per i diritti cosiddetti civili, ad esempio degli omosessuali. L’Indonesia è il Paese con più musulmani al mondo: se due persone hanno atteggiamenti omosessuali il meno che possa capitare loro è di essere multati. Mentre dal punto di vista religioso è garantita la libertà di culto e l’Eucaristia è vissuta come un momento di festa.

Com’è la vita del vescovo missionario in pensione?

Cerco di tenermi occupato visitando le comunità dei confratelli in Italia e mantenendo contatti con l’Indonesia. Poi, finché, possibile cercherò di proseguire con le attività dei motopercorsi per il sostentamento questa volta delle missioni non solo in Indonesia, ma in dei passionisti nel mondo. Insomma, si cerca di non invecchiare troppo presto…

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