figli di NESSUNO

il fenomeno dell’apolidia
By Marta Rossi
Pubblicato il 2 Novembre 2015

Il nuovo rapporto No Child Should be Stateless rivela che migliaia di bambini stanno crescendo privi della fondamentale protezione che la nazionalità offre ai cittadini, in quanto tali, a causa di lacune nelle leggi sulla cittadinanza e nelle norme che regolamentano le procedure di registrazione alla nascita

In Europa ci sono migliaia di bambini e ragazzi che stanno crescendo senza avere nazionalità, essendo quindi degli apolidi. Lo dice il rapporto No child should be stateless pubblicato dalla rete europea dell’apolidia. Il problema nasce da una preoccupante lacuna nella normativa a livello europeo nei 47 paesi del Consiglio d’Europa, che mette queste migliaia di ragazzi e bambini in un limbo senza garanzie né diritti che la nazionalità garantisce a tutti i cittadini all’atto di nascita.

“Nessun bambino sceglie di essere apolide – dice Chris Nash, direttore della rete europea sull’apolidia, Ens-European Network on Statelessness – Ogni bambino appartiene a una comunità. Ciononostante, l’apolidia continua ad esistere perché gli stati europei non riescono ad assicurare che tutti i bambini nati in Europa o da genitori europei acquisiscano una nazionalità. Per un bambino, l’impossibilità di acquisire una nazionalità può avere enormi ripercussioni e determina una rilevante violazione dei suoi diritti umani”.

Il rapporto, con la fotografia sulla situazione e la panoramica sulla normativa degli stati europei, offre un importante contributo, secondo quanto spiega Nils Muižnieks, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa: “L’apolidia rende i bambini più vulnerabili a gravi violazioni dei diritti umani, come la tratta, lo sfruttamento sessuale e lavorativo, e le pratiche di adozione illegale. I bambini apolidi spesso affrontano forme multiple di marginalizzazione che si rafforzano l’un l’altra. Ma l’apolidia è un problema risolvibile e come evidenziato da questo rapporto, se i governi, gli attori regionali, le organizzazioni per i diritti umani delle Nazioni Unite, le agenzie delle Nazioni Unite e la società civile lavorassero insieme, sarebbe possibile sviluppare strategie per un’azione capace di affrontare e risolvere questo problema una volta per tutte”.

La rete europea sull’apolidia, Ens-European Network on Statelessness, che rappresenta oltre 50 organizzazioni della società civile in tutta Europa, sta portando avanti una nuova campagna: Nessun bambino in Europa deve essere apolide per accrescere la consapevolezza sul tema e promuovere soluzioni concrete.

Da parte sua, il Cir-Consiglio italiano per i rifugiati, membro della rete europea sull’apolidia, Ens-European Network on Statelessness ha pubblicato uno studio sull’Italia che ha dato un contributo al rapporto e alla campagna contro l’apolidia. Quello che emerge è un quadro non diverso dal resto d’Europa: gli apolidi sono soprattutto bambini che hanno ereditato questa condizione dai genitori, a loro volta senza nazionalità perché in fuga da paesi che non esistono più. Spiega Daniela Di Rado, referente per l’apolidia nel Consiglio italiano per i rifugiati: “In Italia il fenomeno dell’apolidia colpisce soprattutto i bambini. I figli nati nel nostro paese da famiglie sfollate dalla ex Jugoslavia che hanno vissuto nel nostro paese una vita intera. Questi bambini hanno ereditato la condizione di apolidia dai loro genitori o si sono ritrovati con una nazionalità incerta. Rappresentano la seconda o terza generazione, parlano italiano e per varie cause non hanno avuto accesso a uno status riconosciuto. A causa di questa condizione di sostanziale irregolarità non possono neanche ottenere la cittadinanza italiana: la loro esclusione dai diritti di cittadinanza è un dramma sociale e un problema giuridico rilevantissimo. Per prevenire e ridurre queste situazioni di apolidia tra i bambini sarebbe, nella maggior parte dei casi, sufficiente applicare e interpretare correttamente la legge italiana che già prevede delle garanzie a salvaguardia del diritto alla nazionalità per i bambini nati in Italia. Ma siamo sulla buona strada, siamo infatti molto soddisfatti per l’approvazione in via definitiva da parte del parlamento italiano della legge di adesione alla Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del 1961. Ora è necessario superare le distanze tra legislazione e prassi”.

“La situazione degli apolidi esplode in concomitanza di guerre e situazioni di profughi – dice ancora Chris Nash – Per esempio, in Siria, il paese della nazionalità della maggior parte degli arrivi di rifugiati, non permette alle madri siriane di trasferire la cittadinanza ai propri figli. Un bambino nato da una madre siriana e da padre ignoto o deceduto, non acquista la cittadinanza siriana. Allo stesso modo, molte famiglie siriane o di altre nazionalità in fuga dai paesi di origine trovano molte difficoltà nel registrare la nascita dei loro bambini nei paesi di transito e di accoglienza. Questo problema è stato documentato in Turchia, dove si stimano 60 mila bambini rifugiati nati dopo l’inizio della crisi. Ma vi è anche una necessità per i governi di altri paesi a diventare molto più consapevoli del rischio di apolidia affrontato da bambini rifugiati, e ad adottare misure per proteggere tutta una generazione futura di esiliati siriani di apolidia – i bambini che han-no già sofferto enormemente. Altri contesti che presentano un rischio di apolidia sono per i nati all’estero e fuori dal matrimonio, i figli di coppie dello stesso sesso, i bambini commissionati dai genitori europei attraverso la maternità surrogata, i bambini che sono stati abbandonati. In tutti questi casi è fondamentale ricordare che il diritto di acquisire una nazionalità è un diritto di ogni bambino.

Il punto cruciale è che il miglior interesse del bambino ad essere protetto dall’apolidia deve prevalere su tutti i quesiti che possono sorgere dallo status o scelte dai genitori. Allo stesso modo, il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la cittadinanza, deve essere assicurato. La linea di fondo è che gli stati devono fare di più per difendere il diritto dei bambini a una nazionalità, qualunque sia la circostanza, e garantire che le loro leggi e le prassi riflettano questo impegno”.

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