BASTEREBBE UN NIENTE A SALVARLI

RESTA ALTA L’EMERGENZA DELLA MORTALITÀ NATALE
By Marta Rossi
Pubblicato il 2 Novembre 2014

OGNI ANNO 2,8 MILIONI  DI NEONATI MUOIONO NEL PRIMO MESE DI VITA. NEL 2013 CIRCA 6,3 MILIONI DI BAMBINI SOTTO I CINQUE ANNI SONO MORTI PER CAUSE IN GRAN PARTE PREVENIBILI Nonostante i tassi di sopravvivenza dei bambini siano aumentati dal 1990 a oggi e il numero assoluto delle morti che avvengono tra 0 e 5 anni si sia dimezzato (passando da 12,7 a 6,3 milioni all’anno), resta alta l’emergenza per la mortalità natale, specie nei paesi più poveri del mondo: secondo i dati diffusi dall’Unicef in due rapporti, 2014 Committing to Child Survival; A Promise Renewed e Levels and Trands in Child Mortality 2014, un milione di neonati non arriva al secondo giorno di vita.

Ogni anno 2,8 milioni di bambini – quasi metà del totale della mortalità infantile under 5 – muoiono nel primo mese di vita. Nel 2013 circa 6,3 milioni di bambini sotto i cinque anni sono morti per cause in gran parte prevenibili: circa 300mila in meno rispetto al 2012. I momenti più delicati sono i primi 28 giorni di vita dei neonati, quando degli interventi semplici e a basso costo potrebbero essere risolutivi: ma spesso le carenze nel sistema sanitario durante questo periodo critico rappresentano un fattore significativo per queste morti prevenibili, infatti circa due terzi di questi decessi si sono verificati in soli 10 stati, perché esiste una notevole differenza – tra stato e stato, e all’interno dei singoli paesi – per la qualità dei servizi sanitari a disposizione delle donne in gravidanza e dei loro bambini. Infatti, circa la metà delle donne incinte non si sottopone alle quattro visite prenatali (il minimo raccomandato dall’Oms) nel corso della gravidanza, le complicazioni durante il travaglio e il parto sono responsabili di circa un quarto di tutte le morti neonatali nel mondo. Nel 2012, 1 bambino su 3 (circa 44 milioni in tutto) è nato senza un’adeguata assistenza medica. Altro fattore determinante per la sopravvivenza è l’allattamento al seno entro un’ora dalla nascita (che riduce il rischio di morte neonatale del 44%), eppure meno della metà di tutti i neonati nel mondo viene attaccato al seno.

La qualità delle cure offerte dai sistemi sanitari nazionali è spesso estremamente carente per le neo-mamme e per i neonati. Nei 10 stati a elevata mortalità infantile, secondo un’analisi dell’Unicef, meno del 10% dei bambini nati con una levatrice qualificata ha poi continuato a ricevere le “Sette azioni post-natali” raccomandate, fra cui, appunto, l’allattamento al seno immediato. Così, meno del 10% delle madri che ha visto un operatore sanitario durante la gravidanza ha ricevuto gli otto interventi prenatali. E i paesi con i più alti tassi di morte prenatale, sono anche quelli che hanno una bassa copertura di cure pre-natali per le mamme: Etiopia (84.000 decessi neonatali e 7% di copertura post-natale), Bangladesh (77.000 e 27%), Nigeria (262.000, 38%) e Kenya (40.000; 42%). Sono incisivi anche l’età della madre – per le donne che hanno meno di 20 anni o più di 40 presentano tassi di mortalità più elevati della media – e la zona e la famiglia di provenienza (se nasce in una zona rurale, se appartiene a una famiglia povera o se la madre è priva di istruzione).

Il triste record della più elevata mortalità infantile spetta all’Africa subsahariana, anche se dal 1990 il tasso si è ridotto del 48%: 92 decessi ogni 1.000 nati vivi, quasi 15 volte più della media nei paesi ad alto reddito. In pratica, un bambino che nasce in Angola, lo stato che registra il tasso di mortalità infantile più alto al mondo (167 decessi ogni 1.000 nati vivi), ha 84 volte più probabilità di morire prima di compiere il quinto compleanno, rispetto a un bambino che nasce in Lussemburgo, paese che vanta il tasso di mortalità infantile più basso al mondo (2 decessi ogni 1000 nati vivi). I dati infatti dimostrano che la disuguaglianza, soprattutto nell’accesso all’assistenza sanitaria, rimane alta nei paesi meno sviluppati: le donne appartenenti a famiglie più benestanti hanno quasi tre volte più possibilità – rispetto alle donne delle fasce più povere – di offrire al proprio bambino un’assistenza qualificata al momento della nascita.

“I dati dimostrano chiaramente che le probabilità di sopravvivenza di un neonato aumentano significativamente quando la mamma ha accesso a un’assistenza sanitaria di qualità durante la gravidanza e il parto – sintetizza Geeta Rao Gupta, vice-direttore dell’Unicef – Dobbiamo fare in modo che questi servizi, laddove esistano, siano pienamente utilizzati e che ogni contatto tra la madre e il suo operatore sanitario sia efficace. Dobbiamo impegnarci al massimo per assicurare che siano raggiunti i soggetti più vulnerabili”.

Comunque, l’Africa subsahariana resta un’eccezione nel panorama mondiale: il rapporto Unicef infatti evidenzia come il divario tra le fasce più povere e quelle più ricche per la mortalità infantile si sta riducendo. Le famiglie povere hanno visto miglioramenti nella sopravvivenza dei loro bambini più incisivi, rispetto ai loro connazionali più ricchi. “È profondamente incoraggiante che il divario nell’uguaglianza in merito alla sopravvivenza dei bambini continui a ridursi”, conclude Rao Gupta. “Dobbiamo sfruttare questo slancio e usarlo per portare avanti i programmi che concentrano le risorse sulle famiglie più povere ed emarginate; una strategia che ha le potenzialità per salvare il maggior numero di bambini”.

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