UNA SOMALIA DEL MEDITERRANEO DALL’ALTRA PARTE DEL MARE?

Resta poco tempo prima che la Libia non diventi la So-malia del Mediterraneo, a cinquecento chilometri di mare da casa nostra, a portata di malintenzionati missili a medio raggio, a rischio di pirateria. È ormai una questione che preoccupa le diplomazie e che si aggiunge alle tensioni già esistenti in tutta la parte settentrionale dell’Africa: a partire dall’Algeria scossa da fermenti per arrivare a Egitto e Israele e sfociare nella drammatica situazione dell’odierno conflitto siriano, con l’irruzione, collateralmente alla guerra civile, del sedicente califfato islamico con il suo seguito di violenze criminali. Il capitolo Libia appartiene a un contenzioso di potere interno al mondo musulmano, trasferitosi purtroppo su scala mondiale. Non a caso il paese è spaccato in due, da una parte con un governo “laico”, detto “di Tobruk”, espresso da elezioni più o meno regolari, dall’altra con un direttorio a ispirazione islamista, insediatosi a Tripoli dopo un vero e proprio colpo di stato. Il terzo incomodo è costituito da frange tribali, sostanzialmente interessate allo sfruttamento degli idrocarburi e ai profitti che ne derivano, e da un nucleo fondamentalista, incistato in alcune zone del paese, che si richiama al califfato e che, come quest’ultimo, pratica disumane e cruente forme di lotta. Un conflitto, comunque, di tutti contro tutti, e nel quale svolge un ruolo fondamentale il controllo delle fonti energetiche. Il governo di Tobruk è riconosciuto a livello internazionale (ha i suoi rappresentanti alle Nazioni Unite) e, sostenuto anche militarmente da Egitto e Giordania, gode dell’appoggio della Russia. Tripoli, che si autodefinisce “Alba libica”, trova il supporto di Turchia e Qatar (quest’ ultimo essenziale fonte di finanziamento), soprattutto per affinità di natura confessionale. Ma anche Stati Uniti e Gran Bretagna intrattengono rapporti con Alba libica, forse nella speranza di poterla convincere a una coalizione “nazionale” con Tobruk per eliminare l’Is nelle aree in cui si è istallato. Tutto, però, resta nell’incertezza sino a quando non assumeranno un ruolo decisivo le due massime potenze mediorientali, Arabia Saudita e Iran (notoriamente rivali nella conquista dell’egemonia regionale), che per ora danno l’impressione di stare a guardare. Quattro anni di caos e di guerra per bande, con migliaia di morti, centinaia di migliaia di profughi, immense distruzioni materiali in una situazione sottovalutata in Occidente (anche in Italia), stanno portando al limite dell’esplosione anarchica. Basti pensare all’annunciata prospettiva di almeno mezzo milione di migranti, vittime di un traffico di carne umana organizzato da schiavisti senza scrupoli e senza controlli, in attesa sulle sponde libiche di poter traversare il Mediterraneo e raggiungere le coste italiane.  La nostra diplomazia si sta movendo per una soluzione che coinvolga le Na-zioni Unite, non tanto con un intervento di interposizione dei caschi blu (che comunque richiede tempi lunghi e la cui efficacia non è sempre certa), quanto con l’autorizzazione a una specie di “coalizione dei volenterosi”, necessariamente e-spressa dallo stesso mondo arabo, che si impegni ad aiutare anche con la forza delle armi un governo legittimo per spazzare via i miliziani del califfato, disciplinare le inquietudini tribali  e restituire allo stremato popolo libico una speranza di tranquillità.  Per il momento tutto questo è un auspicio e l’Italia si limita a controllare il Mediterraneo con le sue navi. Basterà?

L'ECO di San Gabriele
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