Recentemente è fragorosamente esplosa la polemica sul Soccorso alpino in Abruzzo. Essa ha riguardato la sede di questo importante organismo per il soccorso sull’Appennino abruzzese, che ha fatto registrare negli ultimi anni gravi incidenti con numerose vittime. Valanghe, cadute accidentali, perdita di orientamento, recupero di escursioni feriti: sono state le cause principali dell’intervento delle squadre del Corpo nazionale del soccorso alpino.
Il movimento turistico e degli appassionati della montagna ha avuto un incremento esponenziale nell’ultimo decennio e la montagna abruzzese è stata presa d’assalto da appassionati, più o meno preparati ad affrontarla, con un incremento importante degli incidenti. Ne consegue che l’intervento tempestivo delle squadre di soccorso è l’elemento fondamentale per salvare le persone coinvolte. Ebbene, il solo fatto che il soccorso alpino del Cai (Club alpino italiano) non abbia una sede stabile fornita di un apparato rispondente alle necessità di pronto intervento, lascia molto perplessi. Come si può concepire, infatti, che la sede del Soccorso alpino possa essere itinerante? Un tempo si diceva Ubi Petrus, ibi Ecclesia (dove c’è Pietro, là c’è la Chiesa), lo stesso vale per il Soccorso alpino: dove c’è il presidente c’è la sede. Una volta a Penne, a Pescara, a L’Aquila, a Teramo, a Chieti ad Avezzano.
La polemica divampata qualche tempo fa, molto probabilmente celava un qualche interesse di campanile o politico, giacché ha avuto come luogo di discussione il Consiglio regionale. Il problema di fondo, però, rimane. È immaginabile che in una regione dove la montagna occupa gran parte del territorio e dove si sono avuti incidenti che hanno causato la perdita di vite umane (come non ricordare la valanga del Velino dello scorso anno che ha causato quattro vittime o la sciagura di Rigopiano) non vi sia una sede stabile, organizzata in attrezzature e uomini; dove risieda stabilmente un’unità di crisi in grado di organizzare in tempo reale il soccorso in montagna?
Non si tratta di una questione di campanile e meno che mai politica. Bisogna porsi il problema dell’organizzazione più efficiente e rapida per andare in soccorso delle persone che hanno bisogno di aiuto. Non è il caso di stare a discutere sulla baricentricità di questo o quell’altro luogo dove posizionare la sede operativa dei soccorsi, poiché sia L’Aquila, sia Pescara hanno questi requisiti. Invece, si tratterebbe di capire dove, in montagna, si registrano i maggiori incidenti, dove c’è una frequenza maggiore di distacchi nevosi, dove ci sono gli afflussi maggiori di escursionisti. E da queste informazioni mettere in piedi un’organizzazione di soccorso al pari di quelle aree alpine che hanno, da sempre, dato dimostrazione di efficienza organizzativa e di pronto intervento nelle situazioni di calamità in montagna.
I giovani impegnati nel soccorso alpino abruzzese (quelli del Cai, della Guardia di Finanza, dell’Esercito, dei Vigili del Fuoco) sono tra i più preparati d’Italia. Mettiamoli in condizione di poter esercitare il loro ineguagliabile ruolo in strutture adeguate e con punti di riferimento certi sul piano logistico e dell’interlocuzione istituzionale. Solo in questo modo potremmo sperare di salvare il più alto numero di persone in difficoltà che affrontano la montagna per diletto o per sport. st.pallotta@gmail.com