Un governo di legislatura è stato sempre un miraggio di stabilità. Una chimera. Ma non si può dire che nella Prima Repubblica, quando gli esecutivi cambiavano a una frequenza quasi annuale, non vi fosse stabilità. C’era, eccome. Era una “continuità discontinua”. E la Democrazia Cristiana rappresentava il perno insostituibile di un sistema politico che, pur con i suoi tanti difetti, assicurava benessere e crescita, non solo economica. Con le logiche di oggi, quel partito si sarebbe dovuto frantumare in tante sigle quanti erano i “cavalli di razza” (si diceva così) della Balena Bianca (copyright Giampaolo Pansa). Fatichiamo a immaginarle tutte quelle possibili derivate personali. Polvere di stelle e di stelline. La tendenza a dividersi contagiava più la sinistra socialista – verso destra o verso sinistra – percorsa dai fermenti e dalle contraddizioni della Guerra Fredda. Il partito comunista sembrava un monolite che pur avvicinandosi al potere – e in una stagione quella della solidarietà nazionale, condividendolo – ne era escluso per via del fattore K (copyright Alberto Ronchey). Una democrazia bloccata, certo. Ma stabile.
La caduta del muro di Berlino sommerse tutti. Anche chi poteva dichiararsi, a buon titolo, vincitore della lunga sfida per la libertà e la democrazia del Dopoguerra. Vittime trasversali. Una storia se volete ingrata. Tangentopoli regolò definitivamente i conti affossando, con conseguenze differenti, tutti i partiti della Prima Repubblica. Ovvero il cosiddetto arco costituzionale. Chi ne era escluso – e non poteva contribuire, nemmeno se l’avesse voluto, alla stabilità di una maggioranza – sopravvive, in forma ovviamente diversa, oggi. Sono spariti tutti i simboli politici del Novecento, ma la fiamma del Movi-mento Sociale continua ad ardere e comparire nelle schede elettorali. Fratelli d’Italia è un’altra cosa, beninteso. Non vi è alcun pericolo nostalgico. Solo l’annotazione dei curiosi meandri che il fiume della storia può imboccare lungo il suo corso. Con esiti imprevedibili.
E, tornando al tema della stabilità, non vi è dubbio che il Paese ha di fronte a sé l’opportunità di avere, finalmente, un governo di legislatura. Specie dopo l’esito delle Regionali in Lombardia e nel Lazio. Si voterà un’altra volta, per le Europee, tra più di un anno. Giorgia Meloni però dovrà tenere a bada le fibrillazioni dei suoi alleati, costretti a digerire scelte di governo assai lontane dalle promesse fatte in campagna elettorale. Può sembrare paradossale ma anche le opposizioni dovrebbero augurarsi un governo di legislatura. E non solo perché andando a un voto anticipato, così divise, perderebbero nuovamente. Nessuno si augura che il Paese venga travolto da una crisi finanziaria come quella del 2011 che portò alla caduta di Berlusconi e al governo tecnico di Monti. Dopo cinque anni, gli elettori possono giudicare meglio l’operato di un esecutivo che non avrà alcun alibi. Ciò spazzerebbe via anche il sospetto, trasversale in questo Paese, che vi siano sempre fantomatici poteri forti in grado di ribaltare l’esito elettorale. Non ci sono. E aggiungerei anche purtroppo.