PARAGONI TRA DUE CRISI

By Nicola Guiso
Pubblicato il 1 Maggio 2013

Nei giorni dei tre suicidi di Porto Civitanova, i sondaggi registravano che la grande maggioranza degli italiani è pessimista sul futuro personale e della società a causa della grave situazione economica e sociale. Il fatto porta a chiedersi perché nel 1945 – in una situazione incomparabilmente più grave – la speranza in un futuro migliore fosse invece un fattore decisivo anche per alimentare la volontà di sopravvivenza delle persone, delle famiglie e delle comunità. Prima di cercare di rispondere, credo utile ricordare (soprattutto per i giovani, sia pure in sintesi estrema) qualche dato, su quale fosse la situazione dell’Italia alla fine della guerra. Sette dei trentuno milioni dei vani d’abitazione distrutti o inagibili. Distrutte la flotta mercantile, quella peschereccia e gran parte dei porti. Rispetto al 1938, la capacità di trasporto delle ferrovie era ridotta del 60%, e il sistema viario semiparalizzato dalla distruzione di centinaia di ponti: nel giugno del 1945 gli spostamenti per mare da e per la Sardegna comportavano l’attesa di “almeno un mese” dalla data di prenotazione; e Roma e Bologna erano collegate da tre convogli ferroviari la settimana. Il 30% degli impianti industriali era demolito, e il restante lavorava al 20% delle capacità per mancanza di energia elettrica, di carbone e di materie prime. Lo zucchero (100 grammi a razione solo per bambini e vecchi) si acquistava con tessera una volta ogni due-tre mesi. Il baccalà e la pasta (altrettanto rare le loro apparizioni nei negozi, e razioni di 100 grammi a persona) costavano rispettivamente 126 e 26,5 lire al chilo (prezzi quintuplicati al mercato nero), mentre i salari variavano dalle 80 alle 100 lire al giorno. In questa situazione dominavano ovunque fame, coabitazione, mancanza di energia elettrica, di gas, di petrolio, la quasi paralisi dei servizi pubblici di trasporto, scolastici e ospedalieri. Nelle città e nelle campagne imperversava una spaventosa criminalità individuale e organizzata. Insomma, si moriva anche di stenti ma i suicidi non registravano incrementi rispetto a prima della guerra. Provo adesso, sempre in sintesi estrema, a rispondere alla domanda perché la reazione alla crisi delle persone e delle comunità sia stata nel 1945 tanto diversa da quella attuale. Certamente le esigenze, i desideri e le aspirazioni erano più elementari rispetto a oggi. La scarsa o nulla mobilità nelle e tra le comunità rendeva a tutti evidenti i problemi essenziali delle persone, delle famiglie e dei gruppi sociali, rafforzando la solidarietà nelle e tra le classi. La diffusa religiosità aiutava a trovare conforto delle pene e dava forza alla speranza; favoriva inoltre le iniziative di assistenza materiale e morale attraverso l’ampia rete delle associazioni parrocchiali. I fenomeni di sfruttamento a fini di lucro della scarsità di alimenti (e di tutti gli altri prodotti e strumenti essenziali per la vita e il lavoro) raramente suscitavano invidia, e comunque non diventavano modelli da imitare. Ma vi erano anche altre cose che contribuivano a non far perdere la speranza nel futuro. Nelle istituzioni e in politica, infatti, si stava affermando una classe dirigente che, nel complesso, si dimostrava spesso di alto livello morale, di grande passione civile e di solida formazione culturale. A loro volta i partiti (in particolare quelli che disponevano di una diffusa rete organizzativa nel territorio) costituivano una efficiente, e apprezzata, cerniera tra la società e il poco di istituzioni che riprendevano vita dopo i 20 anni di dittatura fascista e la tempesta della guerra. Tra essi era duro il confronto ideologico e politico, reso più aspro dalla fine della alleanza di guerra tra le democrazie occidentali (alle quali facevano riferimento la Dc, i liberali, i repubblicani, i monarchici e una parte degli azionisti) e l’Unione Sovietica comunista (alla quale facevano riferimento il Pci e i socialisti). Ma in quel confronto trovava spazio lo sforzo delle loro classi dirigenti di cogliere l’essenza dei problemi vitali  dei cittadini, e di dare a quei problemi le risposte più idonee consentite dalla drammatica situazione del paese. La qualità della classe politica, e il lavoro essenziale dei partiti di allora erano dunque aiuti preziosi ai cittadini nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, e aprivano anche alla speranza di un futuro migliore per il paese. Cose che, in gran parte, mancano oggi.

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