NORD E SUD SEMPRE PIÙ LONTANI

Devi credermi. Ci stiamo perdendo. Abbiamo paura. Siamo fantasmi. Inesistenti. Io mi sento al limite, un’oliva spremuta fino al nocciolo tutto secco e raggrinzito”. È lo sfogo di Fabrizio, 26 anni, di Crotone, raccolto da Niccolò Zancan nel libro Uno su quattro. Storie di ragazzi senza studio né lavoro (Laterza). Li chiamano Neet (Not in education, employment or training), hanno tra i 20 e i 34 anni, non studiano e non lavorano e in Italia sono il 28,9 per cento, quasi il doppio della media europea. Fabrizio le ha provate tutte: scaricatore di merce a cinque euro al giorno, trascrittore di documenti a un euro a pagina, vari lavoretti per sbarcare il lunario. Fino alla richiesta di un posto da cameriere al chiosco della spiaggia per ottenere il quale, però, “devi passare dalla ‘ndrangheta”.  Accanto a quella di Fabrizio, ci sono le storie di Micaela C. a Ostia, di F. in Sicilia, di Denis a Pontelangorino (Ferrara), di Ernesto a Torino. Una geografia della desolazione e della rabbia che riguarda il Sud, ma non solo. Conviene sempre partire dalle storie prima di addentrarsi nel tunnel, spaventoso, dei numeri. E chiedersi, magari: sono tutti bamboccioni, pigri, svogliati, incapaci a nulla questi ragazzi? Non sono stati forse sfruttati pur avendo competenze e titoli di studio?

Fuga dal Mezzogiorno

Nel paese pervaso da paure, spesso ingiustificate, e rancore, c’è un pezzo d’Italia che non scende in piazza, non abbaia sui social, non va in Tv o sui giornali per protestare. Semplice-mente abbandona il campo. Emigra. Se ne va. Un’apostasia silenziosa ma schiacciante e in costante aumento. “Dall’inizio del nuovo secolo hanno lasciato il Mezzogiorno 2 milioni e 15 mila residenti, la metà dei quali giovani fino a 34 anni, quasi un quinto laureati”. Sono i numeri del Rapporto Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), presentato agli inizi di novembre, che lancia l’allarme sulla “trappola demografica”. In Italia nel 2018 si è raggiunto “un nuovo minimo storico delle nascite”, si ricorda, sottolineando che al Sud sono nati circa 157 mila bambini, 6 mila in meno del 2017. La novità, spiega, è “che il contributo garantito dalle donne straniere non è più sufficiente a compensare la bassa propensione delle italiane a fare figli”. È la stessa fotografia scattata dal Rapporto sugli italiani all’estero della Fondazione Migrantes della Cei da cui emerge come negli ultimi 13 anni, dal 2006 al 2019, il numero di chi se n’è andato dall’Italia è aumentato del 70,2 per cento e gli iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), sono passati da poco più di 3,1 milioni agli attuali 5.288.281 e quasi la metà (48,9 per cento) è partito dal Sud. Proprio sul Meridione, il Rapporto accende un faro in più segnalando il suo “inesauribile impoverimento”: “Se negli anni successivi al secondo dopoguerra – spiega il dossier – i flussi migratori verso le regioni centrosettentrionali erano prevalentemente costituiti da manodopera proveniente dalle aree rurali del Mezzogiorno, nell’ultimo decennio mediamente il 70 per cento delle migrazioni dalle regioni meridionali e insulari verso il Centro-Nord è stato caratterizzato da un livello di istruzione medio-alto”. Studiano e si formano al Sud ma poi scappano. “Stiamo perdendo la parte migliore e più qualificata – conferma Manuela Stranges, docente di Demografia all’università della Calabria – dalla nostra regione il 50 per cento degli emigranti sono giovani dai 18 ai 34 anni e un terzo di loro ha la laurea. E la possibilità di tornare è ridottissima, quasi nulla”.

Le partenze nell’ultimo anno, è l’analisi di Migrantes, tornano a interessare fortemente non solo i giovani ma anche le famiglie che si sono formate da poco, donne e uomini spesso non uniti in matrimonio ma con figli: i minori sono infatti il 20,2 per cento degli oltre 128 mila registrati all’Aire, ovvero quasi 26 mila. Di questi, il 12,1 per cento ha meno di 10 anni, il 5,6 ha tra i 10 e i 14 anni e il 2,5 tra i 15 e i 17 anni. È probabilmente più semplice decidere un drastico cambiamento di vita quando ancora i figli o non hanno ancora raggiunto l’età scolare o frequentano i primi anni di istruzione: il peso di chi ha meno di 10 anni sul totale dei minori è, infatti, del 60 per cento.

Il divario sempre più netto

tra Nord e Sud

Un’emorragia costante che s’aggiunge alla crisi economica che riguarda tutta l’Italia ma il Sud in modo particolare. Perché se il paese è in stagnazione, il Sud è in recessione. Il 2019 si chiude per il Mezzogiorno con un Pil negativo (-0,2 per cento) e per il prossimo anno non si andrà tanto oltre la soglia dello zero (+0,2 per cento). L’ultimo Rapporto Svimez vede così una parte del paese allontanarsi sempre di più, accumulando su di sé ritardi nazionali ed europei. C’è il lavoro che manca, per agganciare i livelli del Centro Nord servono 3 milioni di posti. E non ci sono più i giovani visto la metà degli oltre due milioni di meridionali andati altrove dall’inizio del nuovo millennio sono sotto i 35 anni. Senza contare le conseguenze delle crisi industriali, a cominciare dall’ex Ilva di Taranto, una bomba sociale dalle conseguenze drammatiche.

Impressionanti anche le cifre sullo spopolamento registrate da Svimez. La “trappola demografica” al Sud determinerà nel giro dei prossimi cinquant’anni, se nulla cambia, la perdita di 5,2 milioni di persone, “quasi il 40 per cento del Pil”. Intanto negli ultimi dieci anni il “gap occupazionale” tra Nord e Sud si è allargato: dal 19,6 al 21,6 per cento. E i posti che si creano al Sud sono spesso sottopagati, con la scusa del part time. Non è al Reddito di cittadinanza che si appella lo Svimez giudicando “nullo” il suo impatto sul lavoro. Non solo: “Invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro”. Insomma, è il concetto, “la povertà non si combatte solo con un contributo monetario”, serve una rete dietro, un sistema di welfare che provi a far partire tutti dalla stessa linea di partenza.

Bagliori di luce

Per risollevare le sorti del Mezzogiorno la strada da imboccare sarebbe quindi un’altra e passa dalla costatazione che al momento il lavoro al Sud è poco remunerato. Così sottopagato come spiega un altro dato: al “Sud oltre un quarto degli occupati è a rischio povertà”. Non solo, guardando alla prima parte del 2019 “aumenta la precarietà che si riduce nel Centro-Nord” e “riprende a crescere il part-time, in particolare quello involontario che nel Mezzogiorno si riavvicina all’80 per cento, a fronte del 58 nel Centro-Nord”. A farne le spese spesso sono le donne, che hanno un tasso di disoccupazione intorno al 20 per cento, un tasso doppio rispetto a quello registrato nel resto del paese. Uno scenario solo a tinte fosche? No. Negli anni scorsi, dopo la grande crisi, un segnale di crescita il Sud lo aveva dato grazie all’agricoltura, con imprese innovative guidate da giovani che hanno avuto il coraggio di tornare, e al turismo. L’ultimo Rapporto Svimez individua un altro settore che promette bene, quello della bioeconomia, con la crescita significativa delle fonti energetiche rinnovabili. Tra i vari settori dell’economia circolare presenti al Sud, particolare rilievo assume la chimica verde. Dal Mezzogiorno parte una forte domanda di brevetti in questo settore. Le imprese del biotech sono cresciute moltissimo nelle aree meridionali, +61,1 per cento, rispetto a +34,5 per cento su scala nazionale. Tra gli esempi che vengono riportati nell’indagine Svimez, Novamont in Campania, Eni in Sicilia, Matrìca in Sardegna e Fater in Abruzzo. Il Mezzogiorno è, inoltre, sede di importanti realtà di ricerca nel settore, come l’università di Bari, l’università Federico II di Napoli, l’università di Palermo e il Consiglio Nazionale delle Ricerche, con l’Istituto per i Polimeri, Compositi e Biomateriali (IPCB) in Campania e in Sicilia. Ci sono zone d’eccellenza che vanno colte e fatte sviluppare prima che sia troppo tardi.

L'ECO di San Gabriele
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