LA MEMORIA DELLA PASSIONE

Lo scorso 22 novembre ha avuto inizio, nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Roma, l’anno giubilare che commemora il 300° anniversario della congregazione fondata da san Paolo della Croce

Lo scorso 22 novembre ha avuto inizio nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Roma, l’Anno Giubilare dei passionisti, con l’apertura della Porta Santa. Ha presieduto la concelebrazione il segretario di stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin. Al suo fianco erano presenti il superiore generale, padre Joachim Rego e la sua Curia. Il Giubileo (22 novembre 2020 – 1° gennaio 2022) vuole commemorare il 300° anniversario della congregazione, fondata da san Paolo della Croce.

Per correttezza, sento il dovere di comunicare ai gentili lettori che la presente rubrica, che doveva concludersi con dicembre, proseguirà ancora per un anno. Non abbiamo creduto giusto interrompere il discorso su Paolo della Croce col Giubileo in corso. Perciò lo riprendiamo volentieri.

Comincio con un ritratto stilizzato di Paolo della Croce. Era amabile e premuroso con gli altri e severo con se stesso. Ma contro il peccato e il mal costume della società era intransigente. La devozione alla Passione di Gesù – era solito dire – è il mezzo più efficace per sterminare i mali del mondo. Aveva un solo desiderio fare e promuovere la memoria della Passione. Questa nota specifica si ritrova nelle Costituzioni: “La nostra missione è diretta alla evangelizzazione mediante il ministero della Parola della Croce”. Per lui è inconcepibile che “ci possa essere qualcuno che non pensi sempre a Dio”.

L’unica cosa che interessava a lui era “la conversione e santificazione degli uomini con l’imprimere nei loro cuori una continua memoria del Crocifisso”. Tra i mezzi che usava, figurano soprattutto le missioni, gli esercizi spirituali, la confessione sacramentale e la direzione spirituale. Quando predicava usava un linguaggio semplice e penetrante. Aborriva il linguaggio aulico e incomprensibile dal popolo. Anche nelle Regole prescrisse: “Non sarà lecito ad alcun religioso di questa minima Congregazione, tenere nel predicare uno stile tanto alto ed elegante che si renda oscuro alla povera gente”.

Come ho già evidenziato all’inizio, Paolo della Croce aveva tanta misericordia verso i peccatori, ma altrettanta severità nel denunciare i mali della società. Nei processi di beatificazione si legge: “Parlava agli ecclesiastici, ai magistrati e alle persone importanti del paese sempre con libertà apostolica e senza rispetti umani. Riprendeva le delinquenze nei pubblici uffici, la mancanza di esemplarità negli ecclesiastici, le offese alla giustizia e carità che si fanno a danno dei poveri da parte dei cittadini facoltosi”. Pur nella sua sincera umiltà, padre Paolo era un uomo libero a tutto tondo. Diceva: “Io non ho paura di alcuno altro che del mio Dio. Che mi potrebbero fare gli uomini? Mi potrebbero dare la morte: questa per me sarebbe una gran sorte”. “La sua predicazione – scrive il biografo Adolfo Lippi – non era certamente fatta per tranquillizzare la coscienza di sfruttatori e oppressori”.

Al contrario, era dotato di una straordinaria umanità per i lontani. “Un giorno – racconta ai processi padre Giovanni Maria di sant’Ignazio – il servo di Dio – mi confidò che il Signore gli aveva concesso la grazia di convertire la gente più perduta col prenderla con le buone maniere e trattarla con affabilità e dolcezza. Stando in una chiesa a confessare, gli si accostò un uomo che gli sussurrò all’orecchio: Padre, confessatemi perché sono dodici anni che non mi sono confessato. Padre Paolo lo pregò di attendere un po’. Nel frattempo ascoltò le confessioni di qualche altra persona per non destare meraviglia. Quindi condusse quell’uomo in un luogo appartato. Alla fine gli chiese: Perché hai fatto passare tanto tempo senza confessarti? Questa, la risposta: Sappia, padreche essendo andato a confessarmi, il sacerdote cominciò a sgridarmi, e cacciandomi via mi disse: va’ che sei un dannato. Io spaventato e atterrito, mai più mi sono accostato alla confessione”.

Dopo alcuni anni padre Paolo si imbatté di nuovo in quest’uomo, il quale con il candore di un bambino, gli confidò: “Padre, da quando mi confessai da voi, per grazia di Dio, mi sono conservato sempre fedele al Signore, né mai più sono ricaduto in quei peccati”.

Concludo con due episodi molto gustosi e significativi, in cui padre Paolo mostra insieme le peculiarità della sua santità: dolcezza, arditezza e potere taumaturgico.

Un giorno attraversava la campagna romana. “Ad un certo punto, fu attratto dagli urli e bestemmie di un bifolco che stava arando con un paio di buoi. Gli si avvicinò e cercò, con buone maniere, di fargli capire che non bisognava offendere Dio. Quell’uomo, indispettito dal richiamo del religioso, cominciò a bestemmiare più di prima. Il santo, allora, prese in mano il Crocifisso che portava con sé, disse con voce forte e risoluta: Giacché tu non vuoi rispettare questo Cristo, lo rispetteranno questi buoi. A quelle parole i buoi si inginocchiarono. Il bifolco, pieno di confusione, si prostrò pentito, chiedendo pietà”.

Un suo confratello fa sapere: “Nei viaggi che ho fatto con lui, mi ricordo che nelle osterie si fermava e radunava tutte quelle persone e faceva una fervorosa esortazione adatta alla loro capacità. Quegli uomini lo stavano ad ascoltare a bocca aperta”