Attualmente esistono 63 democrazie, contro 74 autocrazie, cioè Stati in cui non esistono né libere elezioni né uno Stato di diritto funzionante. Le cause? La crescente polarizzazione politica, il malcontento popolare verso le istituzioni tradizionali e l’ascesa di figure autoritarie
Mentre ci stiamo godendo il meritato riposo, oppure prepariamo le valigie per andare a farlo al mare, sui monti, in campagna, in Italia o all’estero, c’è chi continua a monitorare i cambiamenti della società. Report che ci piovono all’improvviso davanti agli occhi nei momenti meno opportuni, e che ci inducono a pensare ad argomenti importanti ai quali prestiamo poca attenzione. Uno di quei momenti è l’arrivo di uno studio sulle dinamiche politiche nel mondo e sulla tendenza alle autocrazie proprio in quei Paesi che sembravano ormai radicati fortemente nella democrazia. Li prendiamo come momenti di riflessione da scambiare con qualche vicino d’ombrellone o con il compagno di pesca sulle rive di un ruscello delle Alpi. Giusto un momento nelle nostre ore di rilassamento, ma che – proprio per la leggerezza della mente che la condizione feriale porta con sé – potrebbe incidere più che nelle giornate frenetiche del tran tran lavorativo. Questa volta a indurre alla riflessione è uno studio della Fondazione Bertelsmann (costola di una delle maggiori aziende multimediali al mondo): la qualità della democrazia è peggiorata negli ultimi 20 anni in 137 Paesi in via di sviluppo o emergenti. Secondo l’ultimo “Transformation Index” (5.000 pagine di rapporti nazionali, con l’aiuto di 300 esperti, università e think tank di circa 120 Paesi) attualmente esistono 63 democrazie, contro 74 autocrazie, cioè Stati in cui non esistono né libere elezioni né uno Stato di diritto funzionante. Tutto ciò sarebbe il risultato di un processo graduale influenzato da molteplici fattori: la crescente polarizzazione politica, il malcontento popolare verso le istituzioni tradizionali e l’ascesa di figure autoritarie.
Solo negli ultimi due anni, le elezioni in 25 Paesi sono state meno libere ed eque di prima. Periodo segnato da una nuova situazione geopolitica determinata dalla guerra in Ucraina e dall’uscita dalla pandemia di coronavirus. In 39 Paesi la libertà di espressione e la libertà di stampa sono state sempre più limitate. Le conseguenze del lockdown e delle restrizioni durante il periodo del coronavirus comincerebbero ad avere effetti proprio adesso. La pandemia è stata l’occasione per limitare ulteriormente i diritti e concentrare ulteriormente il potere nei governi, si sostiene nella ricerca, nella quale, tuttavia, si evidenzia come “in linea di principio, la pandemia non ha creato problemi che non esistessero già”. Il rapporto afferma che “questa graduale erosione della democrazia può aprire la strada all’istituzione di governi autoritari”. Per contrastare “l’erosione della democrazia”, sono essenziali istituzioni e meccanismi di controllo come la magistratura, il parlamento e i media. Elezioni libere e (parzialmente) eque hanno portato cambiamenti in alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale e sud-orientale, come Repubblica Ceca, Moldavia, Macedonia del Nord, Polonia e Slovenia, così come in America Latina (Brasile, Guatemala e Honduras).
I governanti autoritari giustificano le loro azioni sostenendo che le democrazie sono inflessibili e incapaci di tenere il passo con la concorrenza globale. Lo studio, però, contraddice questi punti di vista: i risultati peggiori nella gestione della pandemia sono stati ottenuti da regimi corrotti e organizzati in modo antidemocratico come Cambogia, Venezuela o Zimbabwe. I 45 Paesi con la minore efficacia non sono democrazie. Le autocrazie – si sostiene nel report – non agiscono con più cautela delle democrazie. Lo ha dimostrato la Cina durante la pandemia quando è diventato chiaro che i lockdown rigidi non funzionano, che ci sono state grandi proteste, nonostante tutta la repressione. Anche le autocrazie possono essere sotto pressione, perché la popolazione non è soddisfatta dei risultati.
Lo studio della Fondazione Bertelsmann fa il paio con la rilevazione della Democracy Index del The Economist Intelligence Unit (EIU): quasi la metà della popolazione mondiale vive in una sorta di democrazia (45,4%), ma solo il 7,8% vive in una “piena democrazia” (punteggi superiori a 8,00). Sostanzialmente, più di un terzo della popolazione mondiale vive sotto un regime autoritario (39,4%). La buona notizia è che il numero delle democrazie è aumentato di due, con il passaggio di Paraguay e Papua Nuova Guinea da “regimi ibridi” a “democrazie imperfette”. La Grecia è diventata una “piena democrazia”, ma il Cile è stato riclassificato come una “democrazia imperfetta”. Il Pakistan è stato declassato a “regime autoritario”, mentre l’Angola è stato promosso a “regime ibrido”. Dati che indicano un continuo malessere democratico e una mancanza di slancio in avanti. Solo 32 Paesi hanno migliorato il proprio punteggio, mentre 68 hanno registrato un calo e 67 sono rimasti invariati. La maggior parte della regressione a livello globale si è verificata tra le non democrazie, quando i “regimi autoritari” sono diventati più radicati e i Paesi classificati come “regimi ibridi” hanno faticato a democratizzarsi. Praticamente, tra conflitti ed elezioni problematiche come principali fattori, solo un quinto dei 210 Paesi analizzati è considerato “libero”.
Il calo del punteggio complessivo dell’indice è stato determinato da inversioni di tendenza in tutte le regioni del mondo, ad eccezione dell’Europa occidentale, il cui punteggio medio dell’indice è “migliorato” con il margine più piccolo possibile (0,01 punti: praticamente, non si è mosso). Le regressioni maggiori si sono verificate in America Latina e nei Caraibi, in Medio Oriente e in Nord Africa. Anche i Paesi del Sahel e dell’Africa occidentale sono stati tra i peggiori, poiché colpi di stato e conflitti si sono diffusi in tutta la regione. Gli sviluppi negativi in Canada hanno portato a un calo del punteggio del Nord America a 8,27, al di sotto di quello dell’Europa occidentale (8,37), segnando la prima volta che il Nord America non si è classificato come la regione con il punteggio più alto al mondo. Questo aspetto non fa che confermare come il “vento autocratico” spiri in ogni angolo del Globo, non risparmiando nessuno. Si placherà? E quando?