IL VINO DELL’ABATE

Il moscatello casauriense, specialità goduta dapprima dalla famiglia monastica, era caduto nell’oblio a causa dell’insetto che attacca la vite e dello spopolamento delle are interne. È particolarmente vocato ad accompagnare dolci di ogni genere e frutta secca, ma anche formaggi stagionati, erborinati e carni bianche.

Il vino bevanda di “salvezza” sull’altare e gioia del palato sulla tavola. Nella Regola, san Benedetto afferma che sarebbe meglio per il monaco non bere vino ma raccomanda comunque di limitarsi nell’assunzione: “pensiamo basti una emina al giorno”. Nessuna deroga per chi guida la comunità monastica, ovvero, l’abate. Dobbiamo ritenere che quest’ultimo, pur rispettoso della quantità, fosse altrettanto intransigente sulla qualità. Certamente questa caratteristica, oltre alle pratiche di vinificazione, è legata sia al tipo di vitigno che alle peculiarità dei suoli. L’abate di San Clemente a Casauria, in provincia di Pescara, era a tal riguardo in una “botte di ferro” perché poteva contare in numerose stagionate e capienti botti di legno dove veniva custodito, tra altri eccellenti vini, il delizioso moscatello casauriense.

Non ai monaci si deve però la conservazione nei secoli del prezioso vitigno che accompagnava il “dessert dell’abate”, ma ad alcuni agricoltori di Castiglione alla Pescara (dal 1863 diviene Casauria) che attorno alla seconda metà del 1600 lo iniziarono anche a commercializzare nella vicina L’Aquila e fino agli anni venti del secolo scorso anche oltre. Questa specialità, goduta dapprima dalla famiglia monastica, successivamente dalle famiglie contadine e in ultimo dalle famiglie borghesi cittadine, cade nell’oblio fino alla recente riscoperta avvenuta qualche decennio addietro. Il declino è legato principalmente alla filossera (insetto che attacca la vite) e al fenomeno dello spopolamento delle are interne.

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